[Cina] Rivolta operaia a Taiyuan

Riportiamo il resoconto della lotta alla Foxconn avvenuta 2 mesi fa in Cina e pubblicato sull’ultimo numero di “Combat – Comunisti per l’Organizzazione di Classe”

“Cina fabbrica del mondo”. I prodotti cinesi invadono tutti i mercati, dall’abbigliamento all’elettronica. Anche in Italia, dalla multinazionale alla piccola azienda, vanno a rifornirsi di componenti e prodotti finiti cinesi a basso prezzo, per aumentare vendite e profitti.
Quello che è meno visibile è il prezzo che il proletariato cinese paga per questo “miracolo industriale”. Un prezzo di fatica, condizioni di vita alienanti, dura repressione – subita in silenzio da milioni di lavoratori. Ma ogni tanto, e sempre più di frequente negli ultimi anni, l’accumulo di umiliazioni, sfruttamento bestiale, trattamento inumano fa esplodere la rabbia e la rivolta tra gli operai, che solo l’intervento armato dello Stato riesce a sedare.

È successo a Taiyuan, capoluogo della provincia settentrionale dello Shanxi, alle ore 21,30 del 23 settembre scorso, nella filiale locale della Foxconn, nome con cui è conosciuta la Hon Hai Precision Industry Co., gigante taiwanese dei componenti elettronici. Praticamente in ogni congegno elettronico, dal pc alla TV al cellulare di quasi tutte le marche, sono presenti componenti Foxconn.
La Foxconn ha aperto decine di stabilimenti in Cina, dove ora conta circa un milione e trecentomila dipendenti (avete capito bene: un milione e trecentomila, pari a un quarto di tutti gli addetti all’industria in Italia)… Dopo aver attinto alla manodopera della regione costiera, negli ultimi anni sta spostando la produzione sempre più verso l’interno e il nord della Cina, come a Taiyuan, perché sulla costa orientale i salari stanno aumentando, mentre all’interno restano bassi.
A Taiyuan la Foxconn ha 79 mila dipendenti, una concentrazione di forza lavoro su scala cinese (in Italia Mirafiori era arrivata a 40 mila nei primi anni ’70. Oggi non ci sono più stabilimenti con più di 10 mila addetti). Lavoratori giovani, tutti tra i 19 e i 40 anni, provenienti dalle campagne delle provincie del nord (Shanxi, Henan, Shandong, Hebei) e assunti-arruolati nella fabbrica-città: dormitori dove gli operai sono costretti a vivere ammassati con i compagni di lavoro, negozi aziendali per guadagnare anche sui loro consumi, e anche locali per il tempo libero: tutto dentro il perimetro della fabbrica – come anche la stazione di polizia.
Una fabbrica-casa-caserma, in cui l’operaio non è più una persona, ma un agente della produzione, militarizzato.
La sera del 23 settembre le guardie hanno picchiato un operaio. Non è un fatto eccezionale. Picchiare gli operai che non rispettano le rigide regole aziendali (ad es. orari di lavoro, ma anche di rientro nel dormitorio, gli straordinari, i rendimenti produttivi) è un’attività normale delle guardie. Solo con la violenza si può costringere questi giovani operai a lavorare fino a 12-13 ore al giorno, per un salario (2.000 renminbi, pari a circa 270 euro al mese al cambio corrente) che è superiore al salario medio locale, ma con condizioni di sfruttamento molto più intenso e prolungato. Per questo alla Foxconn di Taiyuan ci sono ben 1.500 (sì, millecinquencento!) guardie.

Anche a Taiyuan ci dev’essere un organismo sindacale, ma del sindacato di Stato il cui ruolo è far passare tra gli operai la legge del padrone, sia esso il capitale di Stato o quello privato, cinese oppure estero.
La violenza delle guardie contro un operaio quella sera è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Anche perché negli ultimi mesi l’azienda ha ridotto anche della metà il personale nei reparti, chiedendo la stessa produzione, costringendo gli operai ad aumentare orario e intensità di lavoro fino al limite della sopportazione.
Ma quella sera alle 21:30 gli operai hanno reagito, in massa: aggredendo a loro volta i loro aguzzini, picchiandoli con bastoni, attaccando le portinerie, vere e proprie postazioni poliziesche, hanno sfasciato negozi aziendali, automobili delle guardie e poi della polizia: in ventimila hanno partecipato alla rivolta, e hanno respinto con forza anche i 500 poliziotti inviati di rinforzo dalle autorità dello Shanxi nella notte. Solo con un secondo invio di ben 5 mila poliziotti – una spedizione militare in piena regola – il capitale ha avuto la meglio e l’“ordine” è stato ristabilito. Il bilancio è di una decina di morti e oltre 40 feriti gravi – non si sa quanti tra le guardie e quanti tra gli operai. Qualche decina di operai sono stati arrestati.


L’ordine è stato ristabilito, ma il fuoco della lotta di classe cova sotto la cenere.

Gli operai della Voxconn hanno imparato che ribellarsi si può. L’hanno fatto con santa rabbia, senza capi, senza organizzazione, senza un obiettivo da rivendicare, senza un programma. E ora stanno certamente riflettendo che per la prossima volta occorre arrivarci organizzati.

da “Combat” Ottobre 2012

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