Convulsioni europee e relativa stabilità italiana

BELGIUM-EU-MERKEL-PARLIAMENT

Le passate elezioni europee hanno segnato un drastico mutamento del quadro politico del vecchio continente. Segnato, ma non determinato, perché non è nelle urne che vengono prese le decisioni politiche. Le elezioni sono un processo con cui la borghesia forma una compagine politica che sia la sintesi delle proprie frazioni; una sintesi imperfetta, che risente di molti fattori, fra cui anche gli umori dell’elettorato, ma nella quale i cittadini non hanno potere, salvo quello di scegliere quale uomo della classe dirigente avrà il compito di tutelare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il parlamento che viene eletto non è un centro decisionale, ma al più un ambito di confronto fra le diverse frazioni borghesi con potere si sola ratifica dei provvedimenti dell’esecutivo, e questo vale soprattutto per l’Unione Europea, dove di fatto comandano i governi nazionali e non l’assemblea degli eurodeputati.

Le elezioni sono comunque una cartina tornasole dello scontro politico, che negli ultimi anni ha visto l’ascesa vertiginosa di movimenti cosiddetti “euroscettici”, favorevoli all’abbandono della moneta unica se non di tutta l’Unione Europea, dichiaratamente fascisti o xenofobi, come Alba Dorata in Grecia, il Fronte Nazionale (FN) in Francia, il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP) in Gran Bretagna. Un certo spazio hanno trovato anche formazioni politiche di sinistra, come la lista Tsipras, che chiedono una rinegoziazione dei vincoli monetari, meno vincoli alla spesa pubblica e maggiore intervento statale nell’economia. Da destra o da sinistra, si attacca duramente non il sistema economico che ha prodotto la crisi, ma solo la sua parte finanziaria e la sua variante europeista e liberista, come se finanza e industria, mercato europeo e nazionale, liberismo e keinesismo borghese non fossero aspetti complementari dello stesso sfruttamento.

Al di là della velleità – o della malafede – con cui si esalta un capitalismo “buono” contro uno “cattivo”, queste elezioni hanno minato profondamente la stabilità di due dei tre maggiori paesi del continente: a Parigi come a Londra gli euroscettici diventano il primo partito mentre chi guida il governo arriva terzo in classifica; per contrasto a Roma come a Berlino i governi di coalizione in carica – Grosse Koalition e “larghe intese” – escono dalle urne rafforzati.

In Italia non c’è stata l’avanzata euroscettica temuta: il principale partito di governo guadagna oltre 2,5 milioni di voti sfiorando il 41% delle preferenze (record storico per una formazione italiana di centrosinistra) mentre ne perdono tutti i suoi avversari ad eccezione della Lega Nord (che recupera dopo il tracollo del 2013) e Tsipras (praticamente stabile rispetto a SEL nel 2013). Ma questo avviene nel quadro di un’astensione che oltrepassa il 41% dell’elettorato (di fatto, il vero primo partito), tanto che i voti raccolti dal vittorioso PD sono in realtà solo il 23% dell’elettorato totale. Astensione che ha colpito a destra, ma soprattutto il Movimento 5 Stelle, capace di raccogliere il voto di protesta nel 2013 per poi bruciarlo in sceneggiate parlamentari vistose quanto inconcludenti e in slogan minacciosi e roboanti quanto astratti e autoreferenziali.
I 2,5 milioni di voti guadagnati dal PD in un solo anno sono indice di un elettorato mobile e volubile, che potrebbe voltargli le spalle con la stessa rapidità con cui lo ha premiato. Ma per il momento il premier Renzi può ora vantare un successo che aumenta il suo spazio di manovra politica per aumentare lo sfruttamento e la precarietà. Chiuse le urne, il presidente di Confindustria Squinzi ha già chiarito che per il mondo del lavoro non serve un nuovo contratto a tutele crescenti, ma una maggiore flessibilità per gli assunti a tempo indeterminato. Non tutele crescenti per i nuovi assunti, ma decrescenti per gli altri!

Per noi comunisti diventa ancora più urgente fare da stimolo alla ripresa delle lotte e nel contempo approntare un’organizzazione politica indipendente, anche al di là dei nostri confini nazionali.
La continua crescita dell’astensionismo è un segnale positivo che denota un sempre maggiore distacco dei lavoratori dalle istituzioni borghesi, fermo restando che la stragrande maggioranza dei non votanti è rimasto a casa più per disimpegno totale che per coscienza politica, tanto che se le urne sono mezze piene, le piazze sono quasi vuote.
Spetta a noi far maturare questa sfiducia in impegno politico per una società senza classi.