Egitto : la ripresa progressiva delle lotte operaie e loro significato

Pubblichiamo qui un articolo di Solidarité Ouvrière del 23 settembre 2014 pubblicato da Jacques Chastaing per il sito “A l’Encontre”:

portsaiddemonstrations

Da agosto, dopo il mese del Ramadan, in Egitto c’è stata la ripresa incontestabile, seppure lenta, degli scioperi. Occorre senz’altro sottolineare che da oltre tre anni le lotte dei salariati e sfruttati egiziani sono state pressoché continue, hanno a volte raggiunto livelli di mobilitazione raramente visti nella storia e hanno avuto un ruolo politico centrale nella vita politica del paese … È inoltre importante dire, riconoscendone l’importanza, che esse sono state tenute nascoste.

Da agosto ci sono proteste sociali in lento ma indubitabile aumento

Malgrado il caldo estivo, per agosto una Ong ha rilevato 253 movimenti, scioperi o manifestazioni, al di fuori di quelle organizzate dai Fratelli Musulmani.
Su 121 scioperi rilevati, 35 riguardavano i salariati del privato, 26 i dipendenti statali, 9 il settore sociale, 9 i trasporti, 8 i venditori ambulanti, 7 gli insegnanti e 7 i giornalisti. 3 di questi scioperi vertevano sul salario, 10 sull’occupazione, 8 la flessibilità, 8 le condizioni di lavoro, 6 la richiesta di assunzione di precari, 4 l’orario di lavoro, e 4 i licenziamenti.
Riguardo alle manifestazioni, 34 sono state proteste contro la mancanza di elettricità, 10 l’aumento dei prezzi, 5 la carenza di abitazioni, 3 l’accesso all’acqua potabile e 3 per gli impianti di depurazione/smaltimento rifiuti.
Tra gli scioperi per il salario sono da evidenziare a fine agosto quelle dei lavoratori dell’impresa Samanoud di Gharbiya, di Ceramica nella città di Sei Ottobre, della società dei metalli di Helwan, della holding delle industrie metallurgiche di Nasr, delle sei fabbriche di Misr-Iran Textile, della società Nahr al-Khaled Garments a Port Said. A questi scioperi bisogna aggiungere un manifestazione dei lavoratori della Tanta Flexand Oil per la riapertura della fabbrica, una manifestazione dei piccoli commercianti di Port Said contro le imposte; le manifestazioni dei piccoli ambulanti (sono 5 milioni) contro la loro espulsione dai centri delle città e quelle dei tifosi ultra, in particolare dei Cavalieri Bianchi di Zamalek, contro la minaccia della loro dissoluzione.
Occorre soprattutto evidenziare il successo dei lavoratori di 250 fabbriche di mattoni della regione di Afteeh, che occupano 40 000 salariati i quali hanno cominciato con la protesta contro l’aumento dell’orario di lavoro da 13 o 14 ore a 15 ore giornaliere, e dopo tre settimane di scioperi hanno ottenuto diversi miglioramenti delle condizioni di lavoro e soprattutto l’aumento salariale da 7,5 a 10 lire egiziane ogni mille mattoni prodotti.
Come segnalato dalla militante sindacalista Fatma Ramadan, questo risultato è molto importante, da una parte perché nella regione lavorano oltre 500 000 operai nelle fabbriche di mattoni e sono 1 milione in tutto l’Egitto; in secondo luogo questo successo seppure parziale potrebbe incoraggiare a intraprendere una lotta molti altri lavoratori dello stesso settore, ma anche di altri.
A settembre, a 100 giorni della presidenza di Sissi, gli scioperi e le manifestazioni sembrano essere ancora aumentati.
Tra quelli che hanno attirato l’attenzione c’è lo sciopero per il salario dei giornalisti di Al Ahram – il giornale del potere – ancora più significativo per aver fatto licenziare i loro dirigenti agli ordini del regime. Possiamo evidenziare anche lo sciopero dei lavoratori dei depuratori in diverse città, dei dipendenti di 24 università che il 21 settembre erano al sesto giorno di sciopero; dei lavoratori dei trasporti di Sharqiya e di altre città dell’Est; dei conducenti di autobus di Qalubiya; dei dipendenti dell’ospedale di Beni Suef; degli agenti per l’igiene e la sicurezza dell’ospedale di Luxor; degli impiegati del Consiglio Nazionale per l’Handicap; di quelli del gruppo Badawi per l’industria alimentare; degli agricoltori del centro dell’Egitto in sciopero della fame contro l’espropriazione delle terre che possedevano dall’epoca di Nasser …
Da sottolineare che il 10 settembre 2000 diplomati hanno assediato la sede della direzione per l’Educazione a Abbasiya mentre altri manifestavano al ministero per l’Educazione.
Ci sono anche state manifestazioni degli utenti che chiedevano un maggior numero di treni; dei genitori degli studenti a Assuan contro la mancanza di posti a scuola e per le cattive condizioni delle strutture; altre nel quartiere popolare del Cairo, Imbaba, per chiedere abitazioni; a Heliopoli, il quartiere più chic, per la difesa della metropolitana; nei paesi di Kristin per l’acqua potabile e di Taarot per le strade, scuole, presidi medici, acqua potabile e smaltimento rifiuti …
Ma hanno colpito l’opinione pubblica soprattutto lo sciopero e le manifestazioni dei salariati della Società Tessile di Alessandria perché la polizia ha sparato contro di loro, e questo ha provocato diverse manifestazioni di solidarietà in tutto il paese.

Da tre anni e mezzo lotte sociali a carattere politico sono completamente tenute nascoste

Da tre anni e mezzo le lotte sociali a carattere politico sono completamente tenute nascoste dai media e dai partiti, soprattutto in Occidente.
Nondimeno, per la loro dimensione queste mobilitazioni sociali hanno avuto un ruolo centrale praticamente continuo nella vita politica del paese da inizio 2011 – e anche prima. La caduta di Mubarak nel 2011, lo scacco del colpo di Stato del CSFA nel 2012, la caduta di Morsi nel 2013 e poi ancora quella del governo Beblawi sotto l’autorità di Sissi nel febbraio 2014 sono dovute, o legate a queste mobilitazioni popolari, spesso con dimensioni di massa.
Infine, se queste lotte avevano obiettivi sociali ed economici evidenti di fronte all’estrema miseria che colpisce il paese, esse avevano anche un carattere politico evidente che il più delle volte si manifestava negli scioperi con la richiesta molto frequente di “smammare” – dopo lo stesso Mubarak – a tutti i piccoli Mubarak, tutti i responsabili a tutti i livelli dell’apparato dello Stato e dell’economia.
Però, questo ampio movimento non ha saputo trovare fino ad oggi una sua espressione politica. Quello che pesa in modo considerevole sul coordinamento di queste lotte su scala nazionale è la mancanza una coscienza operaia rivoluzionaria indipendente.
È facile comprendere che si tace sul ruolo cruciale di queste mobilitazioni operaie per impedire la maturazione appunto di questa coscienza politica operaia. A partire dall’Egitto, ma anche su scala araba e mondiale, dove essa, questa coscienza, potrebbe apparire come un’alternativa ai tentativi di mobilitazione delle coscienze contro il terrorismo islamista, oppure come prospettiva o incoraggiamento, in un momento in cui il mondo operaio, attaccato da ogni lato, cerca di riprendere fiducia in se stesso e nella propria forza.
Mentre cercano di convincerci che dopo l’inverno islamista siamo gunti a un inverno militare e che il tema centrale è oggi lo scontro tra Forze armate e Fratelli Musulmani, è importante cercare di spiegare la situazione da un punto di vista operaio, dal basso, anche con i pochi mezzi di informazione di cui disponiamo.
È la base minima per acquisire una visione indipendente e con essa il punto di partenza indispensabile per acquisire la capacità di costruire una politica indipendente.
Dunque in più di tre anni e mezzo di rivoluzione, la mobilitazione dei lavoratori non è mai venuta meno, se non per brevi fasi di uno o due mesi al massimo. C’è stata solo un’eccezione, vale a dire il periodo da inizio luglio 2013 fine gennaio 2014, sette mesi durante i quali gli scioperi e le manifestazioni operaie hanno avuto un livello molto basso. Ma poi sono riprese in massa in febbraio, marzo e aprile 2014 per il salario minimo, e hanno anche fatto cadere il governo. Si sono di nuovo interrotte per due mesi con le elezioni presidenziali a fine maggio e le promesse di Sissi di soddisfare le rivendicazioni popolari se fosse stato eletto.
Ma, dopo il mese di giugno post-elettorale seguito dal mese del ramadan a luglio, poco propizio per i conflitti, le lotte sono di nuovo riprese ad agosto, molto forti alla fine del mese, per poi continuare ad un livello discreto ad inizio settembre. Gli scioperi in corso non hanno il carattere di un’ondata crescente sufficiente per cambiare la situazione; non siamo ancora a questo. Ma il ritmo delle lotte è forte abbastanza – con alcuni successi di rilievo – da farle temere e da dimostrare che la rivoluzione non è finita malgrado la diserzione dell’opposizione e la repressione del regime.
Nessuno può prevedere il futuro. Tanto più che è difficile sapere con precisione quale sia lo spirito dei lavoratori in lotta, le loro aspirazioni e la loro coscienza dopo tre anni di rivoluzione. Il che è determinante.
Tuttavia si possono cogliere diverse cose nelle lotte in corso.

Lotte e scioperi che continuano malgrado i numerosi ostacoli

La ripresa delle lotte conferma innanzitutto che l’eccezionalità dei tre anni e mezzo trascorsi è data dal periodo di sette mesi – dal luglio 2013 al gennaio 2014 – l’unico periodo in cui l’attenzione alle relazioni tra i Fratelli Musulmani e le forze armate ha tenuto il centro della scena politica, metendo in secondo piano le opposizioni di classe.
In secondo luogo queste lotte sono avvenute nonostante un periodo di terribile repressione, forse più dura che sotto Mubarak. Centinaia di salariati, tra cui molti sindacalisti, vengono arrestati arbitrariamente per un breve o lungo periodo, mentre migliaia di altri vengono licenziati per aver scioperato o tentato di organizzare un sindacato.

Più in generale, l’Egitto è al secondo posto mondiale per condanne a morte e al terzo per il numero di giornalisti arrestati. In un anno sono state arrestate circa 41 163 persone e la legge impedisce qualsiasi manifestazione o sciopero. Oltre i Fratelli Musulmani, sono particolarmente colpiti dalla repressione i militanti rivoluzionari, ma anche le ONG, gli atei, gli omosessuali, i giornalisti indipendenti, gli artisti e i rapper rivoluzionari, i tifosi ultra, i blogger contestatari … In questo mese di settembre 295 persone sono in sciopero della fame, prigionieri politici ma anche all’esterno delle carceri, giornalisti, militanti di vari partiti, tifosi ultra di calcio … per chiedere la liberazione dei prigionieri e l’abrogazione della legge che impedisce manifestazioni e scioperi.
E ancora, queste lotte hanno luogo malgrado la demagogia permanente del potere militare che chiama all’unione patriottica per salvare l’economia egiziana e lottare contro il terrorismo che colpisce una parte del paese. La propaganda è incessante e onnipresente nella maggior parte dei media complici del regime, e che cercano di presentare questi lavoratori in sciopero come nemici dell’Egitto e complici dei terroristi islamisti.
Infine, ma non ultimo, queste lotte hanno luogo malgrado la totale defezione dei dirigenti operai o della sinistra come pure della maggior parte dei democratici rivoluzionari. In effetti i dirigenti delle confederazioni sindacali, di Stato ma anche delle nuove confederazioni indipendenti, si sono tutti pronunciati per l’arresto o la sospensione degli scioperi allineandosi dietro la demagogia anti-terrorista di Sissi; e i dirigenti sindacali e politici della sinistra come i principali partiti dell’opposizione laica e liberale o democratica hanno chiamato al potere Sissi per paura della rivoluzione montante di fine giugno 2013 e per la maggior parte hanno poi sostenuto il regime, o addirittura sono entrati nel suo governo e sono attori o complici della sua repressione.

Lotte e scioperi che rispettano il regime militare

Dunque è solo nei sette mesi “anomali” dal luglio 2013 al gennaio 2014 che si è affievolita la minaccia constante di una “rivoluzione della fame” che è alla base delle preoccupazioni di tutti e dei timori delle classi possidenti. Ma a malapena, perché Sissi, per ottenere una relativa pace sociale ha dovuto moltiplicare le promesse e le concessioni alla rivoluzione, almeno verbali e a volte reali, anche se secondarie – cosa che da questo punto di vista è molto diversa dall’era Mubarak.
Dopo l’aumento del salario minimo per 4,7 milioni di funzionari a gennaio e la promessa in primavera di estenderlo ad altre categorie, ha introdotto un tetto al salario dei più ricchi fra loro a fine giugno, con grande fanfara, anche se poi le misure attuative l’hanno svuotato di qualsiasi contenuto serio. Ci sono poi state le promesse di costruire centinaia di migliaia di alloggi, canali di irrigazione, stadi … la cui realizzazione ipotetica è stata affidata ai servizi tecnici delle forze armate … così, per quello che sarà fatto, da riempire le tasche di qualche generale. Ad inizio luglio si è parlato di tessere di approvvigionamento che permettono a milioni di poveri di fare spesa in 25 000 negozi di generi alimentari di prodotti di prima necessità sovvenzionati e meno cari. E poi, un po’ più serio, è previsto anche il miglioramento delle pensioni più basse, lo stop al fermo bancario per i contadini insolventi, l’erogazione della previdenza sanitaria per gli agricoltori, la creazione di un fondo di solidarietà per le catastrofi agricole e soprattutto la promessa l’8 settembre, appena prima del rientro scolastico, della creazione di 30 000 posti per insegnanti e l’apertura di 60 000 diplomi per insegnanti di tecnica per rispondere ai bisogni dei paesi del Golfo.
E quando Sissi ha osato per la prima volta colpire direttamente le classi popolari abbassando le sovvenzioni ai prodotti petroliferi, l’ha fatto prudentemente all’inizio del ramadan, il che non ha impedito uno sciopero immediato dei taxi privati e collettivi … che hanno anche manifestato, assieme ad altri settori dei trasporti, a nove riprese nel mese di agosto. Il che al momento ha dissuaso Sissi dal procedere oltre. Quando ha cercato, nella veste di maresciallo, di mantenere la sua promessa “di ordine e sicurezza”, si è messo a “ripulire” le strade delle città dalla galassia dei 5 milioni di piccoli commercianti ambulanti, il cui numero è andato aumentando alla stessa velocità in cui diminuiva l’autorità della polizia e che la disoccupazione aumentava (ufficialmente dall’8,9% nel 2010 al 13,4% nel 2013). Ma così facendo non ha fatto che perdere ulteriore sostegno da parte di questo strato miserabile di popolazione, suo principale sostegno, facendo appendere ovunque, per convinzione (o obbligo), il ritratto del maresciallo sulle loro bancarelle. Oggi la metà degli ambulanti è sindacalizzata e diversi di loro osano dire che d’ora in poi continueranno a occupare le strade fino alla caduta del maresciallo. Nel mese di agosto, come si diceva, ci sono state 8 manifestazioni degli ambulanti.
D’altra parte, il 22 agosto, uno sciopero delle forze di sicurezza di Ismailia, dove i militari coscritti si sono scontrati con gli ufficiali accusandoli di trattarli come schiavi, ha permesso di venire a sapere che nel mese di agosto ci sono stati altri cinque conflitti di questo tipo tra le forze di polizia o dell’apparato giudiziario e ha ricordato che le forze della repressione, in parte di leva, possono essere sensibili alle pressioni popolari.
Infine, quando il potere ha deciso di posticipare l’apertura delle università di un mese, all’11 ottobre, cercando di moltiplicare in tutta fretta le misure mirate a vietare i gruppi politici nell’università o i movimenti di protesta nelle città universitarie, istallare telecamere e metal detector, aumentare le tasse di iscrizione, tutto questo è sembrato non solo ridicolo dato che tutti sanno che queste misure non saranno mai applicate, ma anche la dimostrazione di una certa impotenza nei confronti della contestazione studentesca che a luglio si è manifestata ancora con forza. Forse è per questo che in segno di pacificazione, alla vigilia della riapertura delle università, il potere ha deciso di liberare alcuni militanti rivoluzionari come Mahienuur El-Massry o Alaa Abd El Fattah e che allo stesso tempo, proprio nel momento del rientro scolastico del primo ciclo, il 21 settembre, ci sono stati violenti attentati saliti alla ribalta delle cronache che hanno permesso ad un ministro di dichiarare: «Siamo in guerra. E in guerra non si può ammettere una opposizione».
Come diceva un membro del “Movimento del 6 aprile”: gli scioperi sono vietati ma hanno luogo, siamo disciolti, ma organizziamo manifestazioni ad inizio settembre contro l’aumento dei prezzi del petrolio, dei trasporti e delle interruzioni di corrente.
La repressione è tanto più violenta che il potere può sì moltiplicare le sue decisioni, ma non riesce ad applicare quello che decide, a cominciare dal divieto di scioperare o manifestare.
Non è il primo ad avere queste difficoltà. Una delle prime misure che tutti i governi dopo Mubarak, CSFA o Morsi, hanno tentato di attuare appena saliti al potere, è stato questo divieto di scioperare e manifestare che non sono mai riusciti a rendere effettivo.

Una rabbia sociale tanto pericolosa che potrebbe cambiare dirigenti

È molto difficile farsi un’idea di quanto è cambiato da tre anni nello spirito degli operai e dei militanti e di ciò che è determinante nella situazione attuale. Sta nascendo una coscienza politica nella classe

Un fatto da evidenziare nel movimento di scioperi da febbraio e marzo è l’emergere a metà marzo, per la prima volta nella storia della rivoluzione egiziana, di un coordinamento che vuole coordinare a livello nazionale le lotte e gli scioperi attorno ad un programma sociale comune a tutti.
Gli scioperi di questo periodo, per il solo fatto di esistere, hanno distolto l’attenzione politica dalle relazioni tra Forze armate e Fratelli Musulmani e riproposto in primo piano sulla scena politica la questione sociale. Ma, ancor più, con questo coordinamento, esse hanno fatto emergere lo spettro di una coscienza politica operaia.
Il coordinamento è stato avviato dal movimento di sciopero dei medici (la grande maggioranza dei quali in Egitto è povera, anche se una piccolissima minoranza è eccessivamente ricca), sciopero organizzato attorno ad un’Assemblea Generale e a un comitato centrale di sciopero nazionali, iniziato nel gennaio 2014 per poi diventare in marzo uno sciopero totale di due mesi. Questo coordinamento si è poi esteso ad altre professioni della sanità, farmacisti, dentisti, veterinari, segretari medici, impiegati del ministero della Sanità … ma anche ai postini in sciopero e a 11 grandi imprese nazionalizzate e poi riprivatizzate in lotta, con rappresentanti dell’aviazione civile e delle ferrovie.
Per unificare meglio le lotte, questo coordinamento aveva stabilito un programma comune riprendendo la parte essenziale delle rivendicazioni: il salario minimo per tutti, la rinazionalizzazione delle imprese privatizzate, l’aumento del bilancio per la sanità e il licenziamento di tutti i funzionari a livello locale o nazionale.
A causa dell’ampiezza del suo programma sociale e del suo carattere chiaramente politico il coordinamento si è subito scontrato con Sissi … che, davanti ad esso, ha preferito fare un passo indietro e ha scelto di presentarsi alle elezioni presidenziali per tentare di fermare uno sciopero che stava assumendo un carattere politico così pericoloso.
In questo momento il movimento popolare è fermo. Il coordinamento – che aveva rappresentato la punta avanzata della sfiducia o della coscienza popolare nei confronti delle confederazioni sindacali che sostenevano Sissi e che non hanno mai cercato di organizzare il movimento sociale su scala nazionale – non ha avuto il tempo di intervenire e di pesare sul corso degli scioperi e sulla situazione generale.
Per il futuro della rivoluzione la questione, oggi, mentre gli scioperi riprendono circa cinque mesi dopo questi avvenimenti, è sapere cosa resta di questo coordinamento negli spiriti e nei progetti.
I dirigenti politici e sindacali dell’opposizione hanno sostenuto Sissi, e questo spiega la relativa inattività sociale dei sette mesi trascorsi, ma, al contempo, si tratta spesso di militanti usciti dalle tendenze politiche e sindacali che animano o sono all’origine di una grande parte delle lotte. È certo che la maggior parte di coloro che sono stati influenzati temporaneamente dai loro dirigenti e sono rimasti inattivi di fronte a Sissi, si sono ora ricreduti su alcune loro vaghe illusioni precedenti. I formidabili tassi di astensione, al referendum convocato da Sissi a gennaio e alle presidenziali di maggio, avevano già dimostrato che se gli egiziani non gli si opponevano attivamente, non lo sostenevano neppure. E oggi, è chiaro che Sissi non mantiene le promesse e fa sparare contro gli operai.

Vedremo ricomparire questa forma di organizzazione quale riflesso di questa coscienza?

Per ora, i conflitti in corso, operai dei mattonifici, lavoratori delle università, giornalisti di Al Ahram, piccoli ambulanti di strada … sembrano interessare i settori più sfruttati, meno organizzati o meno coscienti dei salariati. I nuclei della contestazione sociale dei periodi precedenti non sembrano ancora un movimento. Forse perché sono frenati dai loro militanti più vicini alla sinistra. Oppure, semplicemente, perché sono stati essi a subire la maggiore repressione o ancora perché hanno bisogno di tirare il fiato e prendere tempo per fare il punto dopo mobilitazioni tanto intense e in un caos politico di tale dimensione.
Inoltre, a parte i giornalisti di Al Ahram, non sembra che per il momento oltre alle rivendicazioni economiche essi abbiano la rivendicazione politica di far “smammare” i loro dirigenti, come invece era molto frequente nel periodo precedente.
Ma questo può cambiare molto velocemente. Anche perché i medici hanno organizzato una protesta il 31 agosto minacciando di riprendere gli scioperi se non veniva dato loro qualcosa di più delle briciole che erano state concesse in primavera.
Ma nell’attesa, c’è un altro pericolo che incombe sugli operai, oltre alla repressione e le vaghe illusioni su Sissi.
Si tratta dei Fratelli Musulmani, in agguato per tentare di recuperare un movimento sociale ancora privo di direzione politica.
La politica dei Fratelli Musulmani sembra stia cambiando in questo mese di settembre. La mancanza di direzione politica operaia a sinistra assieme alla continuazione delle lotte, anche se da parte di settori meno coscienti, potrebbe esserne la causa.
Finora i dirigenti della Fratellanza avevano fatto il possibile per risparmiare i loro membri dalle pressioni popolari che erano loro ostili dopo che Morsi si era proposto come fautore di una politica di austerità anti-operaia provocando l’odio nei suoi confronti. Avevano perciò centrato i loro appelli costanti a manifestare sulla difesa dell’islam o della legittimità del potere di Morsi. Oggi, dalla fine di agosto e primi di settembre, questi due aspetti tendono ad essere sostituiti da rivendicazioni di tipo più sociale, contro l’aumento dei prezzi e le interruzioni di corrente elettrica. C’è persino stato, il 7 settembre, un appello ad uno sciopero generale dei lavoratori, a una “insurrezione dei poveri” e a una “rivoluzione della fame”. Il 9 settembre è comparso un movimento, “Dank”, sconosciuto, i cui portavoce si presentano mascherati, ma che viene attribuito generalmente ai Fratelli Musulmani, che ha chiamato ovunque a manifestare per la giustizia sociale, contro l’aumento dei prezzi, il deterioramento dei servizi e per una rivoluzione dei poveri.
Questa evoluzione dipende forse dal ringiovanimento dei quadri della Fratellanza a causa dei massicci arresti dei suoi dirigenti e attivisti. Nei mesi precedenti si era già notato uno spostamento simile nelle manifestazioni dei Fratelli Musulmani. Le famiglie degli studenti dei Fratelli Musulmani erano divenute il centro della loro mobilitazione al posto dei vecchi attivisti, diffondendo da allora le loro rivendicazioni, vale a dire dalla libertà nelle università alla liberazione di tutti i prigionieri. L’attuale evoluzione potrebbe riguardare solo una parte dei Fratelli ma si vede bene che è anche il prodotto di una logica sociale.
Un aneddoto forse significativo, il 16 settembre la stampa ha riferito dell’arresto a Ismailia di quattro giovani dai 19 ai 24 anni, che seguivano dei poliziotti fino a casa loro alla fine del turno di lavoro e che poi incendiavano le loro macchine fuori dalle loro abitazioni. Secondo la stampa questi giovani erano membri presunti di un gruppo di Fratelli Musulmani, chiamati … “Che Guevara”. Non si può sapere se si tratta di una falsificazione da parte della polizia e della stampa affinché nella mente delle persone il movimento rivoluzionario venga identificato con il terrorismo, ma bisogna tener presente che in un paese di 87 milioni di abitanti (più di 6 milioni sono all’estero) con un tasso di crescita del 2,5% all’anno, ogni anno ci sono 2 milioni di giovani in più che possono risvegliarsi alla vita politica senza aver vissuto coscientemente il passato e neppure conosciuto Morsi al potere.
Per ora sembra che i Fratelli Musulmani siano ancora lungi dall’aver ritrovato la fiducia e il sostegno della popolazione. Anche perché quasi tutti ricordano bene la politica anti-operaia di Morsi quando era al governo e la violenza dei Fratelli contro la rivoluzione nei giorni seguenti il 30 giugno. E poi, ancora, c’è oggi in Egitto un terrorismo islamista reale derivato dalla guerra in corso in Sinai tra le forze armate e le tribù beduine associate ai jihadisti (il movimento più influente dei quali si è appena unito a Daech). Questo terrorismo è mal visto dagli egiziani perché colpisce alla cieca tutti e chiunque … E il governo l’attribuisce ai Fratelli Musulmani. Infine gli scioperi attuali si concentrano nelle regioni dove ci sono state la maggior parte delle lotte contro Morsi nel 2012-2013.
Tuttavia il cambiamento politico della Fratellanza dimostra che essa potrebbe attestarsi positivamente per tentare di intercettare il movimento sociale che i dirigenti sindacali e politici nasseriani e di sinistra hanno abbandonato o tradito e che non interessa al movimento democratico rivoluzionario. Soprattutto se tarda ad arrivare il cambio della guardia a sinistra.
Sicuramente c’è sempre meno gente alle manifestazioni più che settimanali dei Fratelli Musulmani. Nondimeno esse non sono cessate, malgrado la violenta repressione dopo il colpo di Stato di Sissi del 3 luglio 2013. Se ne sono contate 414 in agosto. Non è cosa da poco. Anche se è difficile sapere esattamente in cosa consistano, dato che la stampa di regime sopravvaluta sistematicamente queste manifestazioni per meglio accrescere il timore del terrorismo e giustificare gli attacchi a tutte le libertà.
Ma non ci stupiremmo, malgrado la realtà di una repressione sempre presente e la demagogia dello Stato contro il terrorismo islamista, scoprire che sta iniziando, o che addirittura è già in atto, un certo giochetto con queste manifestazioni.
Da un lato, il potere ha bisogno di questo nemico per giustificare la continuazione della sua politica anti-terrorista. E dall’altro, ce ne sarà bisogno anche, come nel passato, per canalizzare la contestazione sociale se questa dovesse svilupparsi, dato che la sinistra ha probabilmente esaurito parte della propria influenza e potrebbe essere sorpassata da nuovi dirigenti più radicali.
I Fratelli Musulmani potrebbero allora negoziare con il potere la loro capacità di sviare questa collera sociale. E questa operazione, se non viene già fatta in segreto con il potere – cosa che spiegherebbe in parte l’aggiornamento indefinito delle legislative, è in ogni caso nel loro spirito.
Si vede quale sia la posta in gioco di un rapido risveglio di una nuova generazione politica operaia e rivoluzionaria a sinistra. C’è un cambio di marcia.
È il motivo per cui, anche da lontano, quello che noi diciamo può avere un ruolo, seppur minimo, in questo risveglio. Affermare la propria solidarietà, tenere alta la bandiera di un programma socialista rivoluzionario internazionalista è certamente necessario.
Ma più concretamente si può anche affermare che qualsiasi politica rivoluzionaria indipendente non può che avere come punto di partenza l’espressione di quello che pensano e sentono gli sfruttati, cominciando magari, da parte nostra, a descrivere questo movimento operaio, le sue aspirazioni, i suoi bisogni e la sua coscienza, e facendolo anche casa nostra.