Gentiloni e Minniti nelle sabbie mobili libiche, mentre preparano la stretta sugli immigrati

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L’Italia riapre l’ambasciata di Tripoli, vi insedia l’ambasciatore Giuseppe Perrone, riconferma l’appoggio al governo Sarraj, invia il Ministro degli interni Minniti a trattare una stretta sull’immigrazione dalle coste libiche che costituisce il 90% di quei 180 mila richiedenti asilo arrivati sui barconi nel corso del 2016. Il tutto a pochi giorni dall’insediamento di Trump e da un possibile nuovo corso della politica estera Usa, che ha nella Libia uno dei suoi nodi. Nel frattempo la repressione dei migranti comincia a casa nostra.

In Libia aumentano le tensioni fra le frazioni in lotta

Come ritorsione alle mosse italiane, in questi giorni a Tripoli l’ex premier Khalifa Ghwell ha occupato con le sue milizie (gli islamici di Salvezza nazionale, appoggiati dal Qatar, dagli Emirati e dalla Turchia), alcuni ministeri, una sorta di minigolpe poi rientrato per l’intervento di una unità dell’esercito fedele a Sarraj (Ghwell aveva tentato una manovra simile il 15 ottobre, ritenendo ormai privo di valore l’accordo firmato con Sarraj in Marocco nel dicembre 2015).

La riapertura dell’ambasciata ha suscitato le ire anche del governo di Tobruk, guidato da Abdullah al-Thani, che ha accusato l’Italia di “rioccupare” il paese e ha denunciato come “ palese aggressione” la presenza di navi militari italiane in acque libiche (alludendo alla San Giorgio inviata nel quadro dell’operazione Sophia di EunavforMed).

L’uomo forte di Tobruk, il generale Khalifa Haftar negli stessi giorni è stato ospite della portaerei russa Admiral Kuznetsov, presente in acque libiche nel suo viaggio di rientro in Russia dalla Siria. In gioco c’è la concessione di una base militare a Mosca sulle coste della Cirenaica (fonte della “soffiata” è il quotidiano qatariota al Quds al Arabi). Di recente Haftar ha fatto bombardare la base aerea di al- Jufra, controllata dalle milizie di Misurata, che a loro volta, conquistata Sirte, stanno minacciando l’area petrolifera tra bin Jawad e el-Brega che Haftar ha conquistato in settembre.

Gli interventi italiani

Scopo dichiarato della missione Minniti è ridurre il flusso di migranti. Scopo non dichiarato quello di consolidare il governo Serraj, cliente del governo italiano, che pur essendo l’unico riconosciuto dall’Onu, non è né forte né autorevole. Debole e dipendente dalle truppe di Misurata per la propria difesa militare, non controlla nemmeno Tripoli dove milizie rivali si disputano il controllo di quartieri e edifici strategici. Francesi, inglesi e russi, insieme agli egiziani, appoggiano il governo rivale di Tobruz. Al di là della retorica europeista e della “comunità internazionale”, in Libia si continua a combattere e morire per chi – tra ENI, Total, Gazprom, ecc. – controllerà le risorse energetiche del sottosuolo.

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L’obiettivo di fermare il flusso dei migranti, a parte la dubbia capacità di controllo da parte del governo Serraj, significherebbe di fatto bloccare i migranti che desiderano raggiungere l’Europa in campi di concentramento libici, dove già sotto Gheddafi essi subivano ogni genere di maltrattamenti e soprusi, per poi respingerli nei paesi dai quali sono fuggiti. Una bella missione di civiltà!

L’Italia ha schierato a Misurata una missione militare sanitaria (Operazione Ippocrate) con un ospedale da campo che ha già effettuato oltre 3mila prestazioni sanitarie per lo più a favore di miliziani rimasti feriti nella battaglia di Sirte. Il 27 dicembre, in visita a Misurata, il generale Claudio Graziano, Capo di Stato Maggiore della Difesa, ha dichiarato che “le nostre Forze armate continueranno ad assicurare la missione fino a quando sarà ritenuto necessario dalle autorità libiche”.

Anche di questo Haftar si è aspramente lamentato, sostenendo che se l’Italia li snobba, è sempre possibile “la cooperazione con la Gran Bretagna, la Francia o la Germania”, tutte piuttosto interessate ai pozzi e ai terminal petroliferi che Haftar attualmente controlla in Cirenaica (Zueitina, Brega, Ras Lanuf e Al-Sidra).

Se le ostilità fra Misurata e Tobruk esplodessero l’Italia si troverebbe in mezzo senza possibilità di tirarsene fuori.

Riflessi in Libia del nuovo asse Russia-Egitto-Turchia in attesa di Trump

Il governo di Tobruk acquista negli ultimi mesi autorevolezza nella misura in cui dietro di lui si schiera la Russia di Putin in coppia con l’Egitto di al Sisi, e un po’ più defilate Francia e Gran Bretagna. Sembrano passati decenni dai tempi in cui l’Eni cercava la partnership della Gazprom per lo sfruttamento in Libia del giacimento Elephant e l’Italia si proponeva come apripista per la presenza russa nel Mediterraneo. Oggi la Russia nel Mediterraneo un posto se l’è ricavato autonomamente grazie all’intervento in Siria. Tanto da poter contare, oltre che sulla base militare di Latakia anche su una base a Cipro, una base in Egitto e adesso punta a una o due basi in Libia da cui i suoi uomini d’affari erano stati cacciati nel 2011 dalla spedizione franco-britannica-americana. Si parla di Sidi Barrani e addirittura di Bengasi.

Nel frattempo l’Italia di Renzi è diventata l’esecutore più fedele dei piani Usa in Irak e Afghanistan proprio per ottenere una sorta di investitura statunitense alla leadership in Libia.

La presidenza Trump potrebbe scombinare le carte da questo punto di vista e quindi il rinnovo del sostegno a Sarraj da parte di Minniti appare ad alto rischio per l’imperialismo italiano.

Trump potrebbe tranquillamente accordarsi con Putin sul destino della Libia, saltando a piè pari l’intermediazione diplomatica italiana. E potrebbe anche togliere a Sarraj una investitura che è opera del duo Obama-Kerry.

Nel 2015 durante l’Expo, Putin era intervenuto personalmente per convincere Renzi a ridurre le sanzioni, che stavano infliggendo notevoli danni alla Russia, ma anche alla piccola e media industria italiana e a regioni come il Veneto e l’Emilia Romagna. Renzi scelse di schierarsi nettamente con Obama, di fatto allentando il tradizionale canale diplomatico con la Russia, coltivato invece con particolare attenzione da Berlusconi, puntando sugli Usa come garante del ruolo privilegiato italiano in Libia.

In questo quadro Minniti come Ministro degli Interni nel governo Gentiloni ricopre un ruolo che sembra andare oltre le sue competenze. Definirlo renziano ha poco senso dal momento che l’uomo ha servito in tutti i governi ulivisti del PDS e del PD con vari incarichi per la difesa o per gli interni, come esperto di servizi segreti, e dell’area Nord-Africa /Medio Oriente, ben introdotto nel complesso militar industriale. Proveniente da una famiglia di militari, formatosi con Massimo d’Alema ma molto vicino anche a Cossiga,[i] rappresenta molto bene dentro il PD la corrente trasversale di legge e ordine, e in politica estera la linea di alleanza stretta con gli Usa e in subordine di sostegno alla Nato. Non è una linea ideologica quanto corrispondente a precisi interessi. Minniti come d’Alema (allora premier) e come Mattarella (allora Ministro della Difesa) ha appoggiato senza se e senza ma l’intervento militare in Kosovo. E in tempi recenti è stato coerente sostenitore dell’intervento armato in Libia nel 2011 e poi di tutte le missioni militari all’estero.

Va quindi lui a trattare con il governo di Tripoli al posto del ministro degli Esteri degli Esteri Alfano, certo anche perché ha centrato il suo ministero sulla garanzia di ridurre gli arrivi dei migranti ed aumentare le espulsioni, ma anche come mossa preventiva in vista dei potenziali stravolgimenti dello status quo da parte di Trump.

Lager in Libia e Cie in Italia

A pagarne per ora il prezzo sembrano essere destinati gli immigrati, i profughi, i richiedenti asilo.

Per i quali si preparano nuovi lager in Libia e nuovi Cie in patria, riproposti per ottenere consensi in funzione preelettorale.

L’accordo col governo libico sulla falsariga di quello a suo tempo firmato da Berlusconi con Gheddafi, certamente è stato corredato da promesse economiche, essendo la versione nordafricana dell’accordo sponsorizzato dalla Merkel con la Turchia.

Se i campi profughi in Turchia sono luoghi di violenza e sfruttamento, i luoghi di detenzioni destinati ai migranti in Libia sono e saranno anche peggiori. Firmare questo accordo forse pagherà in termini elettorali, soddisferà forse le pulsioni populiste di cui si nutrono Lega e Movimento 5 Stelle, e sicuramente renderà l’imperialismo italiano complice dei peggiori soprusi.

A breve termine peraltro il governo Sarraj non può garantire il controllo dei flussi migratori dal momento che il traffico dei migranti costituisce un terzo del Pil della Tripolitania e avviene in gran parte a Sabrata, gestito dalle milizie, dalle bande criminali ma anche con l’assenso degli stessi militari che “proteggono” Sarraj.

Nel frattempo l’anno nuovo si è aperto, anche sul fronte interno, con una nuova stretta contro gli immigrati. Non più merce di scambio con l’Europa per ottenere sconti sul controllo del bilancio, gli immigrati sono il bersaglio più facile su cui scaricare il malcontento per una situazione sociale difficile, complice anche l’ultimo attentato di Berlino.

Con una circolare congiunta del 30 dicembre, parto di Minniti e del suo fedele Gabrielli, si propone:

  • il raddoppio delle espulsioni (da 5 a 10 mila l’anno),
  • l’apertura di un Cie in ogni regione,
  • la stipula di nuovi accordi bilaterali di riammissione,
  • la riforma in senso restrittivo delle norme sul diritto di asilo.

Sul fronte espulsioni va detto che l’Italia non ha aspettato Minniti. Nel 2014 ne sono stati espulsi 25 mila e 34 mila nel 2015 (dati Ministero dell’Interno). Oggi si stima che gli immigrati irregolari siano 435 mila circa (fonte ISMU), lo 0,4% della popolazione, una buona metà badanti che lavorano in nero, gli altri sono perlopiù lavoratori dipendenti che hanno perso il posto o persone a cui è scaduto il permesso umanitario. Quindi quella di Minniti è una mossa politica al solo scopo di ottenere consensi in Forza Italia e nella destra a fini elettorali, ma efficace per aumentare il ricatto contro gli immigrati che lavorano non per loro scelta in nero.

Tutti sanno che la difficoltà per l’esecutivo è rendere effettive le espulsioni se non c’è un accordo o col paese d’origine o col paese di transito, nella fattispecie la Libia. Accordi che non ci sono,[ii] che costano (Berlusconi pare avesse promesso alcuni miliardi di euro a Gheddafi) e che soprattutto sono accordi di repressione quando non eliminazione fisica dei migranti, che avviene semplicemente lontano dagli occhi dei media. Non a caso questi accordi regolarmente sono accuratamente tenuti segreti. Minniti ne ha in programma uno con la Tunisia e uno con la Libia.

La cosa più vergognosa è che un possibile codicillo a questi accordi è il respingimento tout court dei richiedenti asilo, dopo una frettolosa disamina delle loro richieste, una proposta che hanno già fatto i grillini, vere mosche cocchiere della xenofobia.

E arriviamo ai CIE, i Centri di identificazione ed espulsione, successori dei CPT istituiti nel 1998 dalla Turco Napolitano come luoghi di reclusione per i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno. Con la Bossi Fini nel 2002 e il Pacchetto Sicurezza di Maroni nel 2009 il possibile tempo di detenzione viene allungato fino a 18 mesi. Nei CIE gli stranieri colpiti da un decreto amministrativo (l’espulsione) – spesso deciso da un giudice di pace, quindi al di fuori della magistratura ordinaria, sulla base di un “reato”, (l’irregolarità) prodotto artificialmente dalla stessa legislazione italiana – sono privati della libertà personale e sono sottoposti ad un regime di coercizione che, tra le altre cose, impedisce loro di ricevere visite e di far valere il fondamentale diritto alla difesa legale: peggio del carcere per la sola colpa di trovarsi sul suolo italiano. E quel che è più grave il Prefetto ne affida i servizi di gestione a soggetti privati, responsabili del rapporto con i detenuti e del funzionamento materiale del centro, da loro gestito non in quanto operatori sociali o tutori dell’ordine, ma a mero scopo di lucro. E’ una formula che in paesi come gli Usa è ormai estesa alle carceri normali con gli effetti che tutti sappiamo.

Certo alcuni CIE sono stati chiusi, ma ne funzionano ancora 5. Le proteste di qualche anno fa hanno indotto alla chiusura dei centri più malfamati; il parlamento ha deliberato incaricando il governo di predisporne l’abolizione, collocandoli in una sorta di limbo legislativo, da cui vengono prontamente riesumati in un momento in cui l’attentato di Berlino consente all’esecutivo di agitare lo spauracchio del terrorismo.[iii] L’unico miglioramento recente è che lo straniero destinato all’espulsione può essere trattenuto solo per 30 giorni (o solo eccezionalmente per 90) e non più per 18 mesi. Nel frattempo, denunciano i volontari della Casa delle Culture di Trieste dal 1998 ad oggi sono morte almeno 25 persone nei CIE italiani: morte per le botte, per il mancato soccorso, per la disperazione.

I CIE sono stati ridotti drasticamente perché tutte le commissioni d’inchiesta hanno stabilito che costavano moltissimo, nonostante le condizioni di degrado in cui erano tenuti i migranti, non erano di fatto funzionali ai rimpatri, erano inutili oltre che disumani. E soprattutto sono uno dei terreni di cultura più favorevoli al reclutamento mafioso e terrorista, assieme alle carceri e a quei centri di “accoglienza” fatiscenti che sono pessimamente gestiti da cooperative amiche degli amici nell’indifferenza dei prefetti .

Al contrario di quanto sostengono leghisti e 5Stelle, la regolarizzazione degli immigrati toglierebbe terreno sotto i piedi alle mafie e anche ai reclutatori di terroristi. Estendere i CIE è l’ultimo dei provvedimenti utili alla “sicurezza”.

Senza contare che togliere diritti agli immigrati è spesso una sperimentazione di mezzi che poi andranno a ridurre gli spazi di libertà di tutti i lavoratori italiani.

Organizziamo l’opposizione agli interventi militari italiani
e alle misure contro gli immigrati!

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Cfr.: L’ospedale “corazzato” per la guerra di Libia

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[i] Minniti nel 1009 ha creato con Cossiga la Fondazione ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis), un centro di analisi ed elaborazione culturale che intende trattare in modo innovativo i temi della sicurezza, della difesa e dell’intelligence. L’ICSA fornisce consulenze e rapporti agli 007 come ai generali ed è un elemento di forte compenetrazione fra PD e apparato d’ordine: Minniti ne è stato presidente fino al 2013, poi sostituito dal generale Tricarico.

[ii] La maggior parte degli immigrati degli ultimi due anni provengono da Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d’Avorio, Gambia. L’Italia ha accordi di espulsione solo con Algeria e Marocco, quelli con Egitto e Tunisia sono inoperanti per le recenti vicende politiche

[iii] Lo stesso è avvenuto per il reato di clandestinità. Il reato, infatti, non è abolito, ma è di fatto “spostato” a dopo l’aver ricevuto un decreto di espulsione. La nuova legge prevede l’arresto per chi rientra in Italia dopo aver ricevuto un “provvedimento di espulsione”.