M.Basso – Il grande tiranno

C’è un tiranno, più spietato di Hitler e Mussolini, più forte dei potenti che siedono alla Casa Bianca, a Pechino o a Berlino. Il potere estraneo, al quale gli uomini sono asserviti, è il mercato mondiale: decide del lavoro e della disoccupazione, della ricchezza o del fallimento. Costringe operai e impiegati a lavori e orari massacranti, mentre riduce altri a consumarsi in un’inattività forzata e senza mezzi. Risparmi di una vita bruciati in un minuto, sfratti, imposte bestiali, regali favolosi alle banche, compravendita di senatori e deputati, stati e governi presi a noleggio dall’alta finanza, ecco le gioie dell’economia di mercato. Per sue esigenze, l’informazione si trasforma in propaganda menzognera, si fanno guerre per conquistare sbocchi alle merci e monopolizzare le materie prime, a cominciare da petrolio e gas. Si incrementano profitti e rendite terriere con la speculazione edilizia, si accrescono l’inquinamento e la distruzione dell’ambiente.
Il mercato incrementa i prezzi dei generi di prima necessità e degli affitti, mentre rende disponibili prodotti industriali non sempre indispensabili, e soprattutto quelli dannosi. Sottrae risorse all’alimentazione per produrre carburanti “ecologici”. Investe una quantità spropositata di capitali nella produzione di armi, e, per giustificare ciò, politici e giornalisti mercenari attizzano odi e tensioni fra i popoli. Finché c’è guerra c’è speranza di profitti.
Milioni di emigranti sono costretti a lasciare il loro paese per seguire vie tracciate dal capitale, e gli sfruttatori attizzano razzismi e discriminazioni, per impedire la solidarietà tra sfruttati locali e stranieri. Un’infinità di abusi, di licenziamenti, di tagli ai salari e alle condizioni di vita e di lavoro sono giustificati con l’esigenza di rimanere nell’ambito della concorrenza internazionale, o perché il nostro paese non si allontani dall’Europa (una variante della teoria della deriva dei continenti!).
Col pretesto di esigenze concorrenziali, molte ditte si trasferiscono in Romania o in Cina – dove possono contare su salari più bassi e inquinare ancor peggio che da noi – gettando sul lastrico migliaia di salariati.
I salari, nei paesi industrializzati, raramente superano il 6% dei costi, ma giova comprimerli ancora, con la solita scusa. La concorrenza sbandierata spesso è una lustra, vigendo prezzi di cartello. Si pensi alla benzina in Italia, sale a ogni stormir di fronda, e non scende neppure quando cala vistosamente il prezzo del greggio.
Queste le gioie del mercato, ma, a sentire psicologi e politici di regime, chi è senza lavoro è colpevole, manca d’iniziativa, è un bamboccione, uno sfigato.
Le forme più brutali e assurde che caratterizzano la nostra epoca sono legate al mercato: il mercato della droga, il mercato delle armi, il mercato del prostituzione, per non parlare del mercato del lavoro, dove il salariato viene truffato ogni giorno. Non si tratta di una maledizione biblica, ma di uno sviluppo storico. Pur con frodi, violenze, tragedie e devastazioni, l’economia di mercato per secoli ha fatto progredire l’umanità, ora rischia di distruggerla. L’incremento della produzione industriale costituisce un peso insopportabile per il pianeta, e il metodo capitalistico per risolvere il problema è la guerra, con la distruzione di forze produttive umani e materiali.
Contro singoli aspetti di questo inferno si sviluppano lotte, ma sono inevitabilmente riassorbite. Non basta neppure un puro rivolgimento politico, occorre una rivoluzione contro il mercato, perché l’umanità cessi di essere uno zimbello di questo dio, e dell’economia eslege del capitale, incontrollata e incontrollabile, nonostante le mille teorie sulla crescita equilibrata del capitalismo, sullo sviluppo compatibile, sulla decrescita felice. O, meglio: è possibile una parziale pianificazione-militarizzazione del capitale, ma ogni passo in avanti in questa direzione costituisce un ulteriore asservimento dei lavoratori e di tutta la popolazione alle esigenze del profitto. Le carceri americane gestite dei privati, che fanno lavorare i detenuti per salari infimi, ne sono un esempio chiarissimo. Il tardo capitalismo riscopre i metodi dei negrieri e degli schiavisti.
Le rivoluzioni non sorgono perché le decide un partito o una classe sociale, scoppiano spontaneamente, ma, se manca il partito che le sappia guidare, sono inevitabilmente sconfitte, anche se lasciano sempre un segno. Ne “L’Ideologia tedesca”, Marx ed Engels collegano la possibilità della rivoluzione allo sviluppo delle condizioni economiche, sociali, politiche ereditate dalle generazioni precedenti, ma la massa rivoluzionaria non deve agire solo “contro alcune condizioni singole della società fino allora esistente, ma contro la stessa “produzione della vita” come è stata fino a quel momento, “l’attività totale”su cui si fondava…”. Non solo contro gli speculatori, i banchieri, gli industriali e i loro servi politici . Se mandassimo tutti costoro in galera, ma lasciassimo il mercato, questi li riprodurrebbe in breve tempo.
Se la scossa rivoluzionaria non è abbastanza forte per eliminare il mercato “allora è del tutto indifferente, per lo sviluppo pratico, se l’idea di questo rivolgimento sia già stata espressa mille volte: come dimostra la storia del comunismo”. Queste parole, scritte negli anni quaranta dell’ottocento, spiegano molte cose anche per epoche successive. Il movimento operaio ha sviluppato lotte immani, in certi paesi ha conquistato il potere, e in Russia per un periodo non indifferente. Ma anche le più grandi rivoluzioni, se non riescono a superare il mercato, ricadono inevitabilmente sotto il suo dominio. Nessuno più di Lenin ebbe chiaro ciò, e sotto la sua direzione i bolscevichi cercarono di estendere la rivoluzione nei paesi avanzati, che avrebbero aiutato la Russia a superare l’arretratezza, in modo da poter passare tutti insieme all’economia socialista. Le sconfitte in occidente, soprattutto in Germania, isolarono la Russia e tale isolamento si tradusse a livello ideologico in un nuovo revisionismo, la teoria del socialismo in un solo paese. Alla fine di un lungo processo, la resa più totale al mercato si giustificò con l’assurda ideologia del socialismo mercantile. E’ un ossimoro, come la “vergine madre”. La chiesa, almeno, si trae d’imbarazzo parlando di mistero, mentre i supposti marxisti aggiungono assurdità ad assurdità pretendendo di sviluppare analisi economico-sociali improntate a metodi scientifici.
Di tutto quel mondo di lotte e di conquiste è rimasto solo un ricordo, e per i più giovani poco più di un mito. Si deve ripartire da zero. Non possiamo dire che Marx ed Engels non ci abbiano avvertito.
Oggi, le condizioni economiche per il superamento del capitalismo ci sono in quasi tutto il mondo, milioni e milioni di proletari puri sono sorti in Cina, India, America latina, e in parte dell’Africa. Suo malgrado, il capitalismo ha seminato draghi, e non è possibile trasformare in aristocrazia operaia tali masse sterminate. Dovranno inevitabilmente costituire proprie organizzazioni economiche, isolando e abbattendo i sindacati di regime. Sarà più difficile di un tempo formare il partito di classe. In tempo di relativa pace sociale, la borghesia cerca di screditare l’idea stessa di partito, di ridicolizzarla. In realtà, lo stato borghese si blinda sempre più, prepara la controrivoluzione preventiva, perché, a differenza di tanti chiacchieroni ‘di sinistra’, i veri borghesi sanno che la rivoluzione è sempre possibile in tempi di crisi. Non potendo dire i veri motivi di questo riarmo, parla di lotta al terrorismo, non esitando spesso ad organizzare attentati, magari compiuti da un “pazzo isolato”.
Il partito non può sopravvivere, se non in minimi gruppi, se la temperatura sociale è troppo bassa, ma, quando le lotte riprendono, sorgono le condizioni per la sua rinascita. Il pericolo è che questa avvenga troppo tardi, come fu per i partiti comunisti di Germania e d’Italia, nati quando ormai la controrivoluzione aveva affilato le proprie armi. Non dobbiamo trarre conclusioni sbagliate dall’apparente inerzia delle masse. La situazione è insostenibile, la borghesia non può risolvere la crisi, ma si prepara a schiacciare ogni lotta. Almeno in questo campo, sa cosa fare. I lavoratori non ancora. Occorre ricuperare questo ritardo, non abbiamo decenni da attendere. Siamo entrati in un’età di guerre e di rivoluzioni, che possono trasformarsi in controrivoluzioni se i lavoratori non sapranno costruire una loro organizzazione politica veramente indipendente.

Michele Basso

7 agosto 2012

www.sottolebandieredelmarxismo.it

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