La Coalizione sociale in piazza il 28 marzo

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Sabato 28 marzo si svolgerà a Roma la manifestazione contro il Jobs Act. Una manifestazione che dovrebbe servire da battesimo per la cosiddetta “Coalizione Sociale” lanciata dal segretario FIOM

Maurizio Landini oltre una settimana fa. Una coalizione – ma non un partito – che dovrebbe unire diverse forze di azione politica (organizzazioni non governative e di volontariato, organismi sindacali come la stessa FIOM, e altri) per un’azione di difesa del mondo del lavoro.

L’iniziativa non sembra avere trovato molte adesioni; sono invece iniziate le polemiche, a partire dalla dura reazione di Susanna Camusso, secondo la quale le strutture della CGIL devono restare autonome rispetto agli schieramenti politici. E’ una risposta ipocrita: per decenni la CGIL ha agito in funzione dello scontro parlamentare chiamando alla lotta i lavoratori o tenendoli a freno a seconda di cosa poteva essere utile in passato al PCI e più recentemente al PDS-DS-PD. Nei tempi più recenti la CGIL ha collaborato coi “governi amici” e fatto da sponda contro i governi Berlusconi, fino a stringere con Confindustria e altre organizzazioni padronali un umiliante accordo contro l’agonizzante governo Berlusconi.

Ma a quest’opera di svendita del proletariato al mercato dello scontro parlamentare non è estranea neppure la FIOM, che in moltissime occasioni ha svolto opera di contenimento e non di stimolo delle lotte proletarie, ad esempio stringendo accordi rinunciatari come all’Elettrolux o all’AST di Terni.

Persino nei momenti di maggiore conflittualità sociale, un punto fermo di tutto il sindacalismo confederale, compresa la FIOM, è stato il principio di compatibilità col sistema capitalista, per conciliare gli interessi dei lavoratori con quelli dell’”Azienda Italia”, sacrificando conseguentemente i primi sull’altare dei secondi, come è avvenuto con la rinuncia alla Scala Mobile, la concertazione, l’accettazione delle riforme pensionistiche che non venissero fatte dai governi berlusconiani, il Pacchetto Treu.

I roboanti annunci di occupazione delle fabbriche fatti nel comizio finale della manifestazione del 12 dicembre non sono stati fin’ora seguiti da uno straccio di azione concreta, ma solo da dichiarazioni stampa, interviste televisive e denunce del Jobs Act sacrosante quanto inoffensive per governo e padronato in quanto semplici testimonianze di dissenso che non scalfisce i profitti della borghesia e quindi è totalmente inutile per gli interessi dei lavoratori.

Del resto le posizioni di Landini vanno prese con beneficio d’inventario, dato che aveva inizialmente espresso valutazioni positive verso il premier Renzi, forse vedendovi una sponda nello scontro con Susanna Camusso; successivamente è passato alle dichiarazioni dure per approdare – ed è cronaca di questi giorni, subito dopo il lancio della Coalizione Sociale – a un riavvicinamento alla FIM-CISL e UILM-UIL, organizzazioni apertamente filopadronali.

E’ forte il sospetto che, nonostante le smentite del diretto interessato, questa Coalizione Sociale sia un cantiere per la costruzione di un nuovo soggetto parlamentare – partito, movimento, lista, coalizione o altro – che riempia il vuoto politico a sinistra del premier Renzi. E’ una prospettiva evocata da molti lavoratori che ancora vedono nel Parlamento un centro decisionale e quindi nutrono illusioni sull’effettiva utilità della partecipazione alle elezioni.

Ma al di là della coerenza della dirigenza FIOM e delle eventuali aspirazioni di carriera parlamentare di Landini, il nodo centrale della questione è che nessuna difesa dei lavoratori potrà mai essere portata avanti se non con la lotta di classe; la stessa proposta di un referendum contro il Jobs Act non è solo un’ammissione di impotenza, ma anche una rinuncia a compiere azioni di lotta.

Per questo non si deve assolutamente assecondare l’ipotesi di un nuovo soggetto politico che, dall’interno o dall’esterno delle istituzioni parlamentari, segua una strada alternativa allo scontro sociale, per giunta senza mettere in discussione l’economia basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo proprio in un momento storico in cui questo sfruttamento diventa sempre più evidente.

La “coalizione sociale” che serve veramente è quella capace di unire le lotte che oggi sono diffuse a macchia di leopardo e scollegate fra loro per dare loro un effettivo potere contrattuale capace di frenare la continua erosione dei diritti dei lavoratori e del loro salario reale.

E’ inoltre necessario collegare le soggettività politiche che ora sono frammentate in una miriade di microorganizzazioni autoreferenti.

Per questo è indispensabile che la mobilitazione del 28 marzo a Roma sia non il lancio di una coalizione avulsa dallo scontro sociale ma a dispetto della volontà di chi l’ha indetta costituisca un momento della ripresa della lotta di classe.