L’ACCORDO TURCHIA GERMANIA, ENNESIMO CAPITOLO DELL’EUROPA DEI MURI E DEI RESPINGIMENTI

Quando i muri si moltiplicano come funghi

La UE, che non ha mai applicato in modo conseguente uno dei principi fondamentali da essa proclamato, la libertà di circolazione della forza lavoro nell’area Schengen dosandola di volta in volta base alle esigenze di profitto del capitale, sta ora erigendo muri e recinzioni non solo sui suoi confini esterni, ma anche tra i paesi aderenti. È la guerra che gli imperialismi europei stanno combattendo contro i milioni di uomini che fuggono dai conflitti armati da essi provocati, volta a placare i movimenti politici nazionalisti e xenofobi.

La guerra contro i profughi svela nuovamente le profonde fratture tra i paesi della “Unione” europea, che la scorsa estate sono tornati a litigare per la redistribuzione di (ben!) 120mila emigranti, a fronte del milione di profughi che quest’anno l’Ocse prevede entreranno in Europa. Si è giunti anche ad uno aspro scontro tra Serbia e Croazia, due repubbliche ex iugoslave, sotto la pressione della crisi che la “grande” UE non sa gestire. La Serbia, dopo aver chiesto alla Croazia di riaprire le frontiere (chiuse dopo che l’Ungheria aveva chiuso il confine con la Serbia), ha messo in atto la minaccia di bloccare l’ingresso a tutte le merci croate. Non si è fatta aspettare la risposta di Zagabria, che per quasi tre giorni ha vietato l’ingresso a tutti i veicoli serbi, creando una fila di 15 km di camion in attesa (e perdite economiche agli imprenditori locali valutato in circa 30 mn. di €).

Mercanteggiare sui profughi

Intanto il disastro umanitario costituito dai milioni di persone per la maggior parte fuggite alla devastazione della guerra nella speranza di almeno sopravvivere, e costrette ad affidarsi ai mercanti di uomini che le derubano già in partenza della maggior parte dei loro averi, è divenuto merce di scambio politico ed economico tra le stesse potenze che lo hanno causato.

La notizia più recente a riguardo, osannata dal governo italiano, è la possibilità di scontare dal bilancio statale le spese sostenute “per i migranti”, per la gran parte in realtà intascate da albergatori e organizzazioni criminali. Lo “sconto migranti” ipotizzato dalla Commissione UE che varrebbe 3 miliardi, un misero 0,2% del PIL italiano, sarebbe un passo avanti nella battaglia tra Roma e Bruxelles per ottenere maggiore libertà di manovra per il bilancio statale. Renzi sperava che servisse anche a smorzare le proteste xenofobe dei leghisti di Salvini, che però ha subito contrattaccato contrapponendo la supposta spesa per gli immigrati a quella necessaria a sostenere occupazione e pensioni. L’ennesima dichiarazione che contrappone i lavoratori e pensionati italiani ai loro compagni di classe immigrati.

Lo “sconto” potrebbe tornare utile anche alla Merkel contro i recalcitranti paesi dell’Est Europa, per far passare il principio che solo i paesi che non rifiutano la redistribuzione dei profughi hanno diritto di attingere alla mangiatoia europea.

L’Accordo Merkel Erdogan

Un piatto più sostanzioso dello scambio sulla pelle dei profughi è il negoziato che la UE sta concludendo con il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, su pressione e intervento diretto della Cancelliera tedesca, verso il quale hanno espresso cautela alcuni governi europei, la Francia in particolare. I leader europei hanno dato il loro appoggio di principio all’accordo con Ankara, ma non hanno dato alcun via libera formale. Non c’è infatti ancora nessun consenso sul meccanismo permanente per la redistribuzione di richiedenti asilo fra tutti i Paesi.

Nel tentativo di strappare il più possibile dall’accordo, Erdoğan ha accusato la UE di essersi “svegliata troppo tardi” sull’importanza che la Turchia può avere nel fermare il flusso di migranti dalla Siria, sottolineando che per i quasi 2,5 milioni di profughi siriani e 300mila iracheni presenti in Turchia Ankara avrebbe speso finora 7,8 miliardi di $, mentre altri paesi hanno contribuito solo per 417 milioni di $.

Viste la lentezza del dibattito e le divisioni interne alla UE, la Merkel è andata a trattare personalmente con Ankara, offrendo la facilitazione dei visti per l’Europa e aiuti finanziari.[1] Ha anche prospettato la ripresa del processo per l’ingresso della Turchia nella UE. Sembra che in occasione di questo incontro Erdoğan abbia in qualche modo chiesto che la UE non ingerisca nella sua “legittima” repressione contro il PKK, in quanto organizzazione terrorista, e di conseguenza contro qualsiasi organizzazione che venga definita tale. In aggiunta Erdoğan ha sollecitato il sostegno della UE per la creazione di una “area protetta” nel Nord Siria. Un’area che di fatto finirebbe sotto il controllo turco e servirebbe a impedire l’unificazione di una regione curda autonoma. Qui dovrebbero essere costruiti tre insediamenti fatti da container per circa 300 000 rifugiati che vogliano a tornare in Siria. Container, appunto, come per qualsiasi merce.

L’UTILE TIRANNO!

Nulla di nuovo sotto il sole: prima delle primavere arabe l’Italia in prima fila e l’Europa contrattavano con i Gheddafi, i Murabarak, i Ben Ali perché trattenessero gli immigrati a morire nel Sahara, chiudendo tutti e due gli occhi sulla loro tirannica gestione degli affari interni. Ora è la volta del “sultano Erdogan”! Non c’è dubbio che per Erdogan l’accordo siglato è stato anche un utile tassello della propria assordante campagna elettorale, giocata tutta sulla tematica della sicurezza ma anche della nuova statura internazionale della Turchia. Per vincere le elezioni Erdogan ha condotto una dura e sanguinosa repressione dell’opposizione politica, in primis quella curda. Merkel ha di fatto chiesto a Erdogan di tenersi i profughi e in cambio chiuso gli occhi su tutte le violazioni dei diritti all’interno della Turchia. In un sol colpo si sono calpestati i diritti dei profughi e quelli dei curdi e dei lavoratori turchi.

Un pacchetto sostanzioso, quello della Merkel, offerto in cambio di aiuti per la “risoluzione” della crisi dei profughi. Vale a dire: pattuglie congiunte di Turchia e Grecia, con la supervisione dell’agenzia europea Frontex, devono fermare i profughi diretti alle isole greche, e deportarli direttamente in Turchia, dove all’occorrenza si dovranno creare nuovi campi profughi. Ma perché la cosa sia “legale”, l’Unione europea deve riconoscere la Turchia come “paese terzo sicuro. E se la Turchia venisse riconosciuta “paese sicuro”, per gli oppositori turchi perseguitati dal regime e per la minoranza curda diventerebbe più difficile chiedere asilo nei paesi europei.

La prima tappa del cosiddetto Action Plan è in corso di attuazione. Nel “mini-vertice” del 26 ottobre al quale hanno partecipato dieci paesi europei[2] più Albania, Macedonia e Serbia, è stato deciso l’invio di Frontex ai confini della Grecia con l’Albania e la Macedonia. Dando di fatto il via alla chiusura dei confini per i numerosi profughi provenienti da Siria, Afghanistan e Irak, che attraverso la Grecia sono per lo più diretti in Germania, 250mila in un mese dalla metà di settembre. Sono stati mandati in Slovenia anche 400 poliziotti di altri paesi.

I respingimenti saranno allargati all’Afghanistan, con il quale è stato siglato un accordo di “riammissione”, perché a decine di migliaia fuggono dalla guerra che si è riaccesa e alla quale l’Italia ora parteciperà in forze maggiori, e rappresentano il secondo maggior gruppo di richiedenti asilo nella UE, dopo i siriani.

Tattiche e strategie della Merkel

La scorsa estate, di fronte all’accelerazione dei flussi di immigrati, soprattutto siriani, in arrivo dai Balcani la Merkel si presentò con una facciata umanitaria (vedi nostro articolo precedente). Le testate della borghesia tedesca spiegavano che il padronato lungi dall’allarmarsi per i previsti 800mila richiedenti asilo per l’anno in corso vede nei rifugiati un’opportunità da cui attingere forza lavoro qualificata per assicurare la crescita delle aziende e la prosperità di lungo periodo. Queste posizioni di apparente benevolenza verso gli immigrati non hanno impedito tuttavia che a luglio il Bundestag (parlamento) varasse una legge che facilita i respingimenti e ne amplia la possibilità di attuazione. Ad esempio se nella sua fuga un profugo ha dato denaro a un trafficante viene punito respingendolo! Inoltre la legge elimina per il futuro i sussidi in denaro ad essi erogati. I rifugiati riceveranno solo prestazioni in genere.

 

Nell’ultimo mese appare cambiato l’atteggiamento del governo tedesco nella crisi dei profughi: non più ingresso illimitato, ma “controllato”.

Perché? Un fattore importante è quello del consenso politico all’interno: le divisioni in seno alla borghesia tedesca e ai suoi rappresentanti politici anche dentro la coalizione di governo e nello stesso partito della Merkel, la CDU; il montare delle manifestazioni e delle azioni squadristiche xenofobe.[3]

Un altro fattore riguarda gli equilibri di potenza nella guerra siriana, scossi dall’entrata sul campo di battaglia della Russia a (parziale) difesa del regime di Assad per impedire lo sgretolamento della Siria che porterebbe ulteriore instabilità nella regione, e a favore del coinvolgimento di Teheran per la soluzione della questione siriana.

Probabilmente la Merkel, suggerendo alle grandi potenze concorrenti che la Turchia potrebbe divenire parte della UE, cerca di bilanciare il rafforzamento dell’Iran favorito dall’intervento militare e diplomatico russo.

It is business, stupid!

Un terzo fattore di peso non minore è quello degli affari.

Lo dimostra il fatto che già allo scoppio della crisi dell’euro si sono moltiplicate le visite in Turchia di ministri economici dei Land tedeschi e di delegazioni economiche.

La Germania è il maggior partner commerciale della Turchia;[4] la guerra nei paesi confinanti non ferma gli investimenti esteri nel paese che, dopo una fase di rallentamento, sono ripresi con forza,[5] soprattutto nella chimica, manifatturiero, energia e servizi. Su un totale di 28 500 gruppi esteri operanti in Turchia, quelli tedeschi sono 4688, il gruppo più numeroso, seguiti dai 2345 del UK.[6]

Attirano le imprese, non solo tedesche, le commesse che si prospettano per una serie di grandi progetti infrastrutturali varati dal governo turco.[7] La ripresa della produzione manifatturiera registrata già nel 2014 e che continua quest’anno, significa una maggior domanda di macchinari e impianti, settore per il quale i gruppi tedeschi sono i maggiori fornitori.

E qui si collocano le ragioni per cui al vertice dei Balcani sull’immigrazione il 25 ottobre, l’Italia, come registrano costernati i nostri quotidiani, non è stata invitata. «nonostante durante il vertice è emersa la preoccupazione dell’Ue che gli scafisti possano aprire questo inverno una nuova rotta tra Albania e Italia, come vent’anni fa, se le altre frontiere balcaniche dell’Ue saranno sigillate con maggiori controlli» (l’Avanti 26.10’15). Possiamo ipotizzare che, nonostante i ripetuti corteggiamenti di Renzi, la Germania, unico dei maggiori imperialismi europei a partecipare/dirigere l’incontro, abbia preferito non avere concorrenti di peso in un’area come i Balcani che vuole mantenere sotto la sua sfera di influenza e per i quali con l’Italia si è già scontrata negli anni ’90. Ma certo anche per non consentire all’Italia di entrare nella partita con la Turchia, dove pure i due paesi competono.

 

Affari e guerra sono elementi interconnessi per il capitalismo, legati dal comune obiettivo di far sopravvivere la società capitalista. Le enormi sofferenze umane che ciò comporta, per il capitale sono solo “effetti collaterali”. Tuttavia la popolazione dei paesi di transito dei profughi non rimane insensibile alle loro tragedie, che cerca di alleviare come può. Una solidarietà naturale per un essere umano, che purtroppo rimane relegata all’iniziativa individuale o di gruppi di volontariato. Se anche politicamente motivata contro le cause profonde di questi disastri, potrebbe divenire un punto di partenza per la lotta più generale contro la società capitalista.



[1] La richiesta turca sarebbe di complessivi tre miliardi di euro; la UE ha parlato di 1MD di € per la costruzione di sei campi profughi.

[2] Austria, Bulgaria, Croazia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Olanda, Romania, Slovenia e Ungheria.

[3] Nel 2014 si sono contati 170 attacchi contro strutture destinate ad ospitare i profughi, il triplo dell’anno precedente; nei primi sei mesi del 2015 sono già il 50% di più dello stesso periodo del 2014; nel primo fine settimana di ottobre, sono scesi in piazza in Sassonia 10mila manifestanti anti-immigrati.

[4] Per le esportazioni turche al primo posto la Germania, seguono UK, Irak e al 4° posto l’Italia; per le importazioni: al primo posto la Cina, seguono Germania, Russia e ancora al 4° l’Italia.

[5] Nei primi otto mesi 2015 +36% sullo stesso periodo 2014. Le imprese tedesche operanti in Turchia sono 4688, le più numerose seguite dalle 2345 del UK, su un totale di 28 500 gruppi esteri; oltre la metà (14,574) sono di paesi della UE.

[6] Dati Camera di commercio turco-Usa.

[7] Due centrali nucleari, un aeroporto, un gasdotto transanatolico, autostrade, una raffineria, un centro finanziario, un canale, un tunnel euroasiatico

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La Spagna è stato il primo paese UE a costruire negli anni Novanta un muro alto 6 metri e lungo 11 km, nelle sue exclave in Marocco di Ceuta e Mellilla, attrezzato di una moderna strumentazione di rilevazione.

La Grecia aveva costruito già nel 2012 una doppia recinzione di filo spinato lunga 10 km, ai confini con la Turchia, e da allora i profughi cercano di entrare in Grecia sui barconi dei trafficanti turchi.

Nell’estate del 2014 la Bulgaria ha eretto una recinzione di 30 km. ai confini con la Turchia.

Lo scorso agosto l’Ungheria ha elevato una recinzione di filo spinato lunga 175 km ai confini con la Serbia, poi un’altra di 41 km quando i profughi hanno cercato di passare attraverso la Croazia, la prima tra paesi della UE. Ha inoltre inviato un nuovo corpo speciale di oltre duemila uomini armati per reprimere i tentativi di oltrepassare il confine.

Anche l’Austria ha comunicato che il 28 ottobre inizia a costruire una recinzione al confine con la Slovenia; il suo ministro degli Interni ha dichiarato che si tratta solo di “misure tecniche” per permettere un “ingresso ordinato e controllato; il ministro degli Esteri aveva detto che non è vero che le recinzioni non funzionano.

Anche la Slovenia ha deciso di costruire un muro ai confini con la Croazia.