Le lotte dei salariati cinesi rafforzano la nostra determinazione rivoluzionaria

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Nel 2012, secondo la Banca Mondiale, c’erano in Cina quasi 790 milioni di salariati (esattamente 787.632.272). Un vero e proprio esercito di proporzioni storiche. Giungono più frequenti rispetto allo scorso decennio le notizie sulle loro condizioni e sulle loro lotte. E confermano ai comunisti che lo scontro di classe è più che mai vivo e attuale, anche se nel vecchio Occidente è, nei migliore dei casi, in fase di difesa, tranne in alcuni comparti o aree.

Alcuni recenti episodi delle battaglie di classe in Cina
7 marzo 2014: oltre 1000 lavoratori di uno stabilimento IBM a Shenzen, Sud Cina, sono scesi in sciopero chiedendo un risarcimento in vista del trasferimento della fabbrica al produttore cinese di PC Lenovo, a cui IBM ha venduto per $2,3 MD le attività di server di fascia bassa. Lenovo ha promesso di mantenerli alle stesse condizioni. I lavoratori, come nella maggior parte degli scioperi in Cina, non hanno abbandonato la fabbrica per non rischiare di essere arrestati per turbativa di ordine pubblico; hanno inoltre agito in modo indipendente dal Consiglio di Fabbrica composto da delegati appartenenti alla All China Federation of Trade Unions – ACFTU, il sindacato di stato cinese – ed hanno eletto 20 loro rappresentanti, poi licenziati da IBM.

Sempre a marzo, provincia dello Yunan, è stato chiuso un supermercato Walmart: dei 135 dipendenti la metà ha accettato le condizioni, mentre 70 lavoratori sono scesi in sciopero per strappare migliori condizioni di fine rapporto; la polizia ha incarcerato per una settimana senza alcuna imputazione alcuni scioperanti. La direzione ha rifiutato la richiesta di negoziati collettivi e vuole trattare solo individualmente. I 70 licenziati continuano a riunirsi quotidianamente cercando di controllarne la chiusura, in attesa di un’udienza arbitrale entro il mese. Walmart usava le 30 uscite di sicurezza per entrare e uscire dal magazzino.

Ad aprile hanno scioperato per il pagamento dei contributi previdenziali circa 40 000 salariati del gruppo calzaturiero di Taiwan, Yu Yuen, che produce per le grandi firme internazionali (Adidas, Nike, Asics, etc.); lo sciopero sarebbe costato almeno $58mn, e sarebbe il maggiore degli ultimi anni in Cina. Quando la situazione si è fatta calda, il governo e i funzionari ACFTU sono stati costretti a riconoscere che la società non aveva pagato quanto doveva e hanno consentito ai dipendenti di eleggere rappresentanti per negoziare, ma hanno poi costretto i lavoratori ad accettare un compromesso e fatto ricorso alla polizia per rispedirli alle catene di montaggio. Sono stati mandati poliziotti anti-sommossa e militari nella città di Gaobu dove si trovano le fabbriche, la maggior parte piazzati davanti ai cancelli per impedire ai lavoratori di riunirsi e protestare, ma i poliziotti sono entrati anche negli stabilimenti, dove arrestano quelli che osano continuare lo sciopero.

Cina-conflitti

Conflitti tra polizia e lavoratori
Numero di casi per mese, genn. 2012-dic. 2013; in arancio: interventi della polizia; in rosso incidenti con arresti
Fonte: Inchiesta del China Labour Bulletin

Le proteste più coraggiose fanno emergere il cambiamento in corso nel mercato del lavoro cinese, cambiamento che ha importanti riflessi per le multinazionali che producono o fanno produrre in Cina. Le multinazionali, spesso accolte con deferenza al loro arrivo in Cina, ora devono fare i conti con la determinazione dei lavoratori non più disposti a piegarsi facilmente.

La maggior parte delle lotte più vigorose si svolgono nei centri di produzione manifatturiera lungo la costa sudorientale, ma soprattutto in gruppi di proprietà estera.

Stanno iniziando però a giungere notizie anche di scioperi riguardanti ad es. i trasporti. 69 scioperi nei primi quattro mesi, +28% rispetto allo stesso periodo del 2013. 2000 autisti di autobus scioperano nel Guandong. Protestano contro gli abusi della direzione, chiedono: maggior chiarezza nel sistema di calcolo del salario; il pagamento degli straordinari, meno giornate di lavoro e l’abolizione delle penalità che costringono gli autisti a pagare i danni al veicolo causati da incidenti, pena il licenziamento.

Richieste scioperanti

Distribuzione proteste

Fonte China Labour Bulletin, inchiesta in 470 scioperi di fabbrica, tra giugno 2011 e dicembre 2013
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Il Financial Times ci informa che in Cina sta crescendo il numero delle proteste operaie, anche in settori dove in precedenza non c’erano mai state e l’equilibrio di forze si sta lentamente spostando più a favore dei lavoratori.

Le lotte, divenute più violente e determinate, sono spesso causate da ristrutturazioni, fusioni o acquisizioni. Si registrano episodi di sequestri di padroni da parte dei dipendenti. Dal 2011, anno con il maggior numero di popolazione attiva, gli attivi sono diminuiti di 5,9 mn.; le fabbriche faticano a trovare lavoratori qualificati, e a controllarli. Questo è uno dei fattori del cambiamento dei rapporti di forza. Altri fattori sono una maggiore coscienza della propria condizione – facilitato oltre che dalle grandi concentrazioni operaie dalla possibilità di utilizzare internet, come pure la maggiore facilità di organizzarsi e collegarsi con altre realtà tramite i social media, nonostante i continui interventi di loro chiusura da parte del governo.

Un lavoratore appartenente ad una Ong, che aveva assistito nel loro sciopero i dipendenti del grande gruppo calzaturiero Yue Yuen, è stato il primo attivista cinese accusato di aver usato internet per turbare l’ordine sociale, in base ad una legge di recente aggiornata all’uopo.

Le lotte operaie vengono in genere represse dal potere politico con la minaccia del carcere fino a 5 anni, minaccia che diventa sovente realtà. Inoltre vengono spesso soffocate dall’ACFTU, ma anche all’interno di questo sindacato stanno però emergendo divergenze. La lotta di Walmart, ad es., è diretta da un salariato capo del C.d.F. ACFTU, Huang Xingguo, fatto che rappresenta una pietra miliare nella storia del movimento operaio in Cina e che ha preoccupato le autorità locali. Se Walmart cede, il caso farà scuola e il gruppo sarà costretto a riconoscere maggiori indennizzi per le future chiusure di magazzini. Al combattivo Huang, ACFTU non ha consentito di collegarsi con le altre organizzazioni sindacali di Walmart, che in Cina ha 400 grandi magazzini. I tentativi di collegamento rischiano di scatenare una dura reazione. Ad esempio una dichiarazione di appoggio pervenuta da un sindacato americano ha allarmato i funzionari locali che hanno avvertito i lavoratori di non politicizzare la questione.

Ognuno dei sindacati dei magazzini dipende dall’amministrazione locale. E le amministrazioni – soprattutto nei centri di esportazione della provincia meridionale del Guandong – temono che gli aumenti a due cifre dei salari spingano i produttori a spostarsi in altre regioni o paesi.

In realtà se nel 2013 il salario medio dei lavoratori migranti rurali era aumentato del 13,9% rispetto al 2012, giungendo a 2 609 yuan (€314,832), l’aumento medio del costo pro-capite della vita è stato del 21,7%, pari a 892 yuan/mese (104,398); la spesa per l’abitazione, aumentata nel 2013 del 27%, rappresenta circa il 50% del costo della vita. Per questo il salario rimane e rimarrà un importante fattore delle lotte future dei salariati cinesi.

Mentre siamo impegnati a combattere contro il capitalismo di casa nostra, nella costruzione di uno strumento politico che aiuti i proletari italiani in questa battaglia, non dimentichiamo la dimensione internazionale della contesa e la necessità di collegarci ed esprimere il nostro appoggio alle lotte dei nostri compagni di classe, anche in Cina.