Le unghie dello Stato sulla questione abitativa

Le unghie dello stato sulla questione abitativa

ne sfratti ne sgomberi

Marzo 2014: assistiamo all’ennesima beffa ai danni del proletariato. Ai danni di quella classe che porta sulle spalle il peso d’un economia che, da sempre, lo considera una merce utile per estrarvi ,solo,plusvalore. Soprattutto con il mordere della crisi, i governi italiani si sono trovati di fronte da un lato alla paralisi quasi totale di un settore, come quello edile, su cui si reggeva la solidità, fatta d’appalti e mazzette, della media borghesia nostrana. Dall’altro con un sistema bancario in cui i crediti vengono saldati forzosamente, principalmente, con il pignoramento di beni mobili/immobili e che, quindi, affida la sua sopravvivenza alle buone vendite nel mercato. Oltre, poi, i giochi interni del capitale si muove, al di fuori, un malessere diffuso, in tanti proletari, costretti a privarsi di una parte di salario, già inadeguato al costo della vita, per pagare quanto a loro, invece, spetterebbe.

Ottenere l’assegnazione di una casa popolare, oggi, è impensabile e quando avviene o rimane, solamente, scritta su un foglio di carta o impone dei costi improvvisi (di manutenzione/di ristrutturazione) insaldabili per centinaia di famiglie in emergenza. Un malessere che ritorna, dopo anni, a ripresentarsi in forma concreta sia con il fenomeno di occupazioni di massa, sia, come recentemente a Milano, con l’opporsi del quartiere in sgomberi che colpiscono singole famiglie. Lo Stato, per uscire da questo impiccio, finge di porgere la mano alle fasce più deboli, solleticandone la speranza di avere un luogo dove vivere, per nascondere l’altra intenta unicamente a sbloccare un mercato a lui fondamentale. Il piano casa del governo Renzi è l’ultima tappa che vede nell’adozione dei “prezzi calmierati” la soluzione migliore d’adottare per la borghesia italiana che trae l’enorme vantaggio di defiscalizzare gli affitti/vendite della proprietà immobiliare, di percepire, per le banche, crediti liquidi e per lo Stato di svendere beni del demanio pubblico a privati destinati ad affittare a canone concordato. Tutto questo rappresenta, invece, per chi ha bisogno di casa essere demandati a pagare un “equo” affitto a qualche palazzinaro di “buon cuore” e largo portafoglio.

Interessante poi è vedere, con mano, quanto questa nuova manna degli affitti a “canone concordato” sia realmente utile per il locatario: se si fa una prova a calcolare l’ammontare di questo affitto, si scopre che per una casa di 60 metri quadri, in periferia di una città piccola, che risponde alle sole norme di sicurezza il canone da pagare si attesta sulle 350 euro, poco meno degli affitti “non calmierati”. Non a caso, è lo stesso decreto Renzi a specificare come il canone concordato è individuabile, secondo il grado d’emergenza della famiglia, fra gli estremi che vanno dal canone minimo al canone massimo che le case hanno in quella data zona, impedendo dunque di violare i paletti anche se in difetto. Il capitale non potrebbe trarre, infatti, i vantaggi sperati dal ribasso delle proprietà.

L’unica soluzione che si prefigura per il proletariato è quella di non demandare alle leggi di uno Stato, diretto rappresentante degli interessi della classe sfruttatrice, il compito di realizzare i suoi bisogni, ma lottare per ottenerli con la sua azione autonoma.

SOLO LA LOTTA PAGA

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