L’Italia al tempo del Coronavirus

Il Coronavirus, ormai ufficialmente insediato in Italia, sta diventando la cartina al tornasole della nostra società.

Come in tutti i casi di situazioni eccezionali, in Italia come altrove, ogni forza politica cerca di trarne vantaggio. Assieme alla grana di gestire una situazione inedita, Conte si è liberato di Renzi (silenziato dal Coronavirus) e può così attaccare Fontana (accusandolo di incapacità a specchio della stessa accusa rivolta a lui da Salvini).

Naturalmente Conte adesso ha il pallino: può contare sulla tendenza “centralizzatrice” della Protezione civile, può schierare l’esercito, può insomma giocare il ruolo di leader. Ma se ne assume anche il rischio. Tutto dipenderà dalla capacità o meno di contenere l’epidemia.

Davanti all’emergenza il fronte della destra si è articolato, con Salvini attaccato al suo mantra del chiudere le frontiere e mettere in quarantena “i cinesi” (peccato che il virus non passi prima dall’anagrafe); salvo allinearsi repentinamente, appena qualche giorno dopo alle esigenze di “ritorno alla “normalità” proclamate dalle associazioni datoriali.

La Meloni, pur richiamando Conte ai suoi doveri di informazione al Parlamento, esprime una virtuoso “senso di responsabilità”; come del resto “quel che resta” di Forza Italia.

Lo stesso Di Maio si è visto scippare la passerella mediatica, ed è costretto a fare il “comprimario responsabile” di Conte.

Il caso del Friuli, dove, in totale assenza di contagiati, il governatore leghista Fedriga proclama lo “stato di emergenza” (come Hollande dopo l’attentato al Bataclan), una misura che toccherebbe solo ai governi centrali in casi come attacchi militari di una potenza straniera, calamità naturali di estrema gravità ecc., la dice lunga: uno sulla possibilità a breve di vedere Governo e Governatori regionali accapigliarsi in conflitti di competenze senza fine (alla faccia della “solidarietà nazionale”!). Secondo, sull’insorgere di conflitti di competenza fra Governatori regionali e “Sindaci metropolitani”: come è avvenuto tra Fontana e Sala per la chiusura delle scuole.

Ma la mossa di Fedriga è anche un esempio della facilità con cui, cavalcando la paura irrazionale, si può proclamare lo stato d’assedio e privarci delle cosiddette “libertà democratiche”.

La messa in sicurezza della “zona rossa” e delle “zone gialle” in Lombardia sono un esempio di come, adesso magari per un motivo comprensibile, in altre circostanze meno, possiamo essere privati d’un colpo solo della libertà di circolare, manifestare, incontrarci e organizzarci.

Veneto e Lombardia sono sottoposte ad una specie di “coprifuoco”: divieto di accesso e di uscita; chiusura di scuole, attività produttive e commerciali; sospensione di manifestazioni pubbliche e di gare sportive, di culto, oltre alla “blindatura” dei funerali … I comuni epicentro del virus vedono l’assenza di collegamenti tramite treno, blocchi stradali, massiccia presenza delle forze dell’ordine e anche di reparti dell’esercito.

Tutta l’attività politica è, e ne sarà, pesantemente condizionata.

Il virus distrae dai conflitti sociali, riduce oggettivamente la dialettica politica, polarizza l’attenzione di tutti. Anche se c’è da rilevare come, in appena una settimana dall’“Allarme Rosso”, si stia passando dalla “psicosi d’assedio” a quella “tranquillizzante”. Ad opera di quegli stessi soggetti che hanno a piene mani gettato benzina sul fuoco. Businnes is Businnes?

I “piani alti” dell’economia e della politica, dopo il primo sbandamento tipico di un imperialismo “straccione” come il nostro, stanno cominciando a fare due conti?

Comunque sia, è una prova generale per l’imperialismo italiano: anche perché l’”Emergenza Nazionale” non può che protrarsi ed allargarsi: dal momento che per i tempi clinici inevitabili, i contagi si moltiplicheranno nei prossimi giorni e nelle prossime settimane (per non dire mesi).

E’ una situazione che comunque cambierà radicalmente la “quotidianità” di milioni di persone, incidendo pesantemente sulla “psicologia sociale” della massa, aumentandone le paure. E dove c’è paura aumentano sospetto, psicosi, chiusura, individualismo e anche razzismo.

Per un po’ di tempo, a proposito del Coronavirus in Cina, è circolata la tesi del “virus prodotto in laboratorio” dai cinesi stessi. La stampa russa ha fomentato la solita variante del virus “introdotto” dai servizi segreti americani. La rivista scientifica “Lancet”, dal canto suo, ha però escluso in via definitiva la possibilità di produrre il Covid-19 in laboratorio.

In Italia, sui social, qualcuno ha scritto che sono state colpite due regioni leghiste; e quindi i soliti comunisti “mangiatori di bambini” avrebbero a bella posta infettato i “sani” patrioti leghisti (sia Vo’ che Codogno hanno giunte di centro-destra).

Avendo i virologi fatto subitamente giustizia del “complottismo”, gli “untori” sono stati allora identificati nei cinesi che tornavano dalla Cina, dove si erano recati per festeggiare il Capodanno cinese… Oppure, tanto per stare a tema, sui “cinesi” tout court: anche quelli che sono nati in Italia e non si sono di recente spostati…

Finora tutte le piste “cinesi” alla ricerca dell’”untore”, sia a Vo’ che a Codogno che a Milano, si sono rivelate fasulle. Non solo perché la maggior parte dei cinesi rientrati dalla Cina si sono spontaneamente messi in quarantena, non solo perché dalla Cina sono rientrati anche italiani, ma perché ormai i virologi pensano a un virus di “3° generazione”. Cioè passato attraverso portatori sani… Per questo il “paziente zero” non è stato trovato.

Che il virus si sarebbe diffuso era prevedibile; se non altro per la estrema interconnessione del mondo nell’era della globalizzazione. Tutti hanno sottolineato che se all’epoca della Sars la Cina pesava per il 3% sul Pil mondiale, oggi pesa per il 16%. Ed in Italia, oggi è il Nord Est ad avere i maggiori rapporti d’affari con la Cina.

In ogni caso il “dalli all’untore” di marca salviniana ha prodotto effetti “boomerang” in Italia con la fioritura a soggetto dei “cordoni sanitari” in patria ed all’estero. Con la Basilicata che dispone la quarantena obbligatoria per chi “rientra” dal Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Liguria; con cinque dei sei sindaci di Ischia che avevano previsto il divieto di sbarco per i turisti provenienti da Lombardia e Veneto. Ma anche il treno per l’Austria fermato per cinque ore, il bus bloccato a Lione ecc.

Fioriscono intanto le solite speculazioni sui beni necessari: mascherine e gel disinfettanti (per lo più inutili) venduti a peso d’oro su Amazon, l’assalto ai supermercati, il rincaro dei prezzi.

Oltre all’ossessione per il “bollettino di guerra” dei contagiati e dei morti, va segnalato chi diffonde allarmismo (virus inarrestabile), così chi, con faciloneria, sostiene “ne uccide più l’influenza”.

In realtà il virus si diffonde molto più velocemente dell’influenza comune, e almeno in Cina ha ucciso di più, anche se in modo selettivo (soprattutto anziani, diabetici, cardiopatici, più uomini che donne). Qui però va tenuto conto dei numeri enormi che sono stati gestiti in Cina, non sempre in condizioni sanitarie ottimali. Inoltre non esiste un vaccino per il Coronavirus, e il tempo di incubazione e le modalità di diffusione di esso sono ancora insufficientemente note.

Anche se, statisticamente, è vero che ogni anno in Italia l’influenza stagionale infetta 3,5 milioni di persone con una media di 7-8 mila morti l’anno, per lo più anche qui anziani, cardiopatici, ecc. e nessuno se ne stupisce.

Da questo punto di vista, nel caso del Coronavirus, c’è un elemento di psicosi creata ad arte perché è una opportunità politica per qualcuno.

Ad esempio quella di cavalcare ancora una volta la xenofobia e il razzismo, amplificando l’irrazionalità (vedi l’episodio degli ucraini presi a sassate al rientro in patria dal Giappone).

Il Governo italiano ha bloccato i voli dalla Cina, ma ad esempio non si è preoccupato adeguatamente di preparare gli operatori sanitari, molti dei quali sono stati contagiati per mancanza di protezioni adeguate, ed anche di istruzioni adeguate. Il Pronto Soccorso di Codogno, che ha funzionato da incubatore del virus, dimostra che in realtà nessuno si aspettava davvero che esso approdasse qui, o che si presentasse non proprio come descritto nel protocollo diffuso prima dell’epidemia. Quando era noto a tutti che il virus è di per se “mutante”, e che anche in Cina a un certo punto non erano bastate le mascherine adeguate, i guanti, le tute ecc. per i medici.

Nel capitalismo la prevenzione non è una virtù, perché si preferisce risparmiare oggi e ricorrere ai ripari solo quanto è inevitabile. Succede coi ponti, coi terremoti, ed anche con le epidemie.

È troppo presto per tirare le conclusioni riguardo le conseguenze economiche del virus e delle misure prese per contrastarlo; che comporteranno forse anche una ridefinizione dei rapporti di forza fra paesi (basti pensare al commento di Trump soddisfatto perché la crisi di Wuhan e dell’Hubei potrebbero secondo lui creare nuovi posti di lavoro negli Usa). Quindi il virus come “opportunità”. E quindi ancora un fatto eminentemente politico. Non si tratta solo della presa d’atto di come gli italiani, considerati ora come “appestati”, comincino a provare a loro volta le “delizie” della “indesiderabilità” fuori confine. Per la serie: l’homo homini lupus capitalistico è il viatico sicuro al disastro mondiale.

Si tratta anche di vedere, nel concreto, come economicamente e politicamente le epidemie diventino delle vere e proprie “armi” di una contesa imperialista giocata su più fronti.

Intanto, in “prima linea” contro il virus non ci sono né i politici che lo cavalcano per scontrarsi fra loro, né i governi che sperano di approfittare dei danni ai concorrenti, né gli imprenditori che si preoccupano più dell’economia (la loro) che della malattia (degli altri).

Ci sono i malati, che subiscono non solo la malattia, ma anche l’insufficienza dei mezzi per contrastarla.

Vi è un uso di licenziamenti, CIG e ferie forzate da parte di centinaia di imprese: dalle zone “rosse” a quelle “gialle”, con ricadute in ogni settore. Ma non solo. Entrano nelle cronache di questi giorni grossi nomi come Alitalia, che aggiunge ai 1.175 cassintegrati previsti ben 2.785 lavoratori appoggiandosi proprio sull’emergenza; Vodafone e ABB, che “comandano” le ferie ai loro dipendenti; il sito di viaggi Expedia, che taglia 3.000 posti di lavoro. Nei magazzini GLS, come un po’ dappertutto, si “comanda” il lavoro senza tutela contro il virus, perseguendo delegati sindacali.

Il Garante sugli scioperi chiede la sospensione degli scioperi del 9 e del 31 marzo. Manifestazioni e “assembramenti” vietati. Un’occasione ghiotta per dare tutti i “giri di vite” del caso contro i lavoratori, sommando il virus a tutte le leggi sulla “Sicurezza”, recenti o passate.

E che dire dei dipendenti della Sanità, costretti a fronteggiare l’emergenza con mezzi insufficienti e protocolli inadeguati. Quella Sanità di “eccellenza” tanto sbandierata dai Governatori leghisti, che vede il 10% dei contagiati proprio tra gli operatori: i quali a volte, pur in isolamento perché affetti dal virus, sono stati costretti a tornare al lavoro… “se no l’ospedale chiude” (testimonianza di una lavoratrice dell’ospedale di Codogno). Una Sanità privatizzata , aziendalizzata e massacrata da tagli di personale, turni, carichi di lavoro, inefficienze, sprechi, corruttele da parte dei “soliti noti”.

Eppoi ci sono i lavoratori – italiani e stranieri – senza stipendio perché impiegati in aziende temporaneamente chiuse per mancanza di clienti e fornitori. Oppure costretti a lavorare senza precauzioni (perché costano!) in aziende ancora aperte. Ci sono gli immigrati cinesi che passano per gli “untori” di oggi.

A tutti loro va la nostra attiva solidarietà ed il nostro appoggio.