Non di solo filo spinato muore il diritto d’asilo… e muoiono i migranti!

Da mesi assistiamo all’innalzarsi in Europa dei muri che pretendono così di arginare la folla dei rifugiati, dei profughi e dei richiedenti asilo, muri di calcestruzzo e di filo spinato. Ma esistono anche i muri formati da leggi, decreti e circolari.

Il clima pre-elettorale, la necessità di pescare voti nel bacini della destra, ha fatto dal levatrice al DL 13/2017, il “decreto Minniti” che, passato, al solito, con voto di fiducia, dal punto di vista del governo vuole ridurre drasticamente i richiedenti asilo dietro il paravento della frase “porte aperte per chi fugge da guerre, terrorismo e violenze”.

I nodi del decreto sono la creazione dei CPR, Centri permanenti per il rimpatrio, al posto dei famigerati CIE, l’accelerazione delle procedure di esame della richiesta d’asilo, i 19 milioni di € stanziati per aumentare le espulsioni e l’introduzione del lavoro volontario per i migranti.

Dei CPR sappiamo solo che saranno 20, per complessivi 1600 posti, e che “rispetteranno la dignità della persona”; i CIE in molti casi sono stati lager indegni. Nel caso dei CPR le uniche garanzie fornite sono che saranno di piccole dimensioni e che i parlamentari vi avranno libero accesso.

L’esperienza insegna che il rimpatrio forzato delle migliaia di persone che non otterranno il riconoscimento di alcuno status non è tanto facile. Sappiamo che Minniti ha l’ambizione di attuare i respingimenti a monte, tramite un accordo con il governo libico, fotocopia dell’accordo firmato dalla UE con Erdogan in Turchia. In entrambi i casi si stanziano cifre considerevoli affinché i migranti siano trattenuti senza alcuna considerazione per la violenza e i soprusi a cui sono sottoposti in Libia. L’Italia si limita ad addestrare la Guardia Costiera libica, spesso coinvolta nel traffico di esseri umani. In cambio si accusano le ONG, presenti nel Mediterraneo con proprie navi, di “importare profughi” (e ancora una volta Salvini fa da mosca cocchiera). In realtà mentre Guardia di finanza ha smentito tale calunnia; semplicemente le navi danno fastidio perché oltre a salvare vite umane, le ONG denunciano il numero di morti e i segni di torture sui corpi dei profughi (vedi denuncia di Melting Pot). Si è detto la stessa cosa di Mare Nostrum, abolito quello i profughi non sono diminuiti perché a produrli sono le guerre, la fame e le politiche di certi governi di qua e di là dal Mediterraneo. L’alternativa è la complicità in omicidio (lascia che il profugo anneghi).

Per quelli che qui ci sono già, il DL 13 prevede un esame delle richieste d’asilo più veloce, non per una maggiore efficienza della macchina giudiziaria, ma a scapito delle tutele. Restano le Commissioni territoriali come primo gradi di giudizio, pur non essendo tenuti i loro componenti ad avere competenze giuridiche e soprattutto non potendo essere considerate “indipendenti”, data la nomina ministeriale. In caso di risposta negativa i ricorsi saranno esaminati da “sezioni speciali” create presso alcuni tribunali (14 in tutto). L’esame è sottratto al giudice ordinario (spesso più generoso delle Commissioni), affidato a giudici specificamente scelti, che non incontrano il richiedente in regolare udienza, ma prenderanno visione della videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo davanti alla commissione territoriale. L’avvocato difensore d’ufficio deve scegliere fra parlare col giudice o stare con il profugo che assiste in videoconferenza nella struttura di “accoglienza” (una misura finora applicata solo ai processi per mafia, a fronte di boss di conclamata pericolosità.). Lo straniero non ha diritto al contraddittorio e firma il testo della videoregistrazione tradotta col traduttore automatico. Contro le decisioni del giudice non c’è possibilità di appello, ma solo la Cassazione, pressoché impraticabile per un rifugiato senza risorse e senza appoggi. La procedura farraginosa prevista rende agevole in ogni momento la violazione dei diritti. E se violazione ci fosse questo comporterebbe, lo ricordiamo, il ritorno in situazioni a rischio di violenze, torture, persecuzioni, fino al rischio della vita della persona.

L’ultima novità, la possibilità per lo straniero di prestare lavori socialmente utili a titolo volontario, da un certo punto di vista sembra andare nel senso di indebolire le polemiche sui costi e favorire l’inclusione sociale, ma rischia anche di vincolare l’accoglienza alla possibilità da parte del migrante di lavorare oppure di mettere il migrante, sfruttabile gratuitamente, in concorrenza con il lavoratore nostrano in mobilità o disoccupato.

E’ probabile che la maggior parte degli italiani sia indifferente o distratta rispetto a questo provvedimento.

Ma se lo mettiamo in relazione con il DL 14/2017, cosiddetto “decreto sicurezza” che prevede il DASPO per allontanare dalle città gli emarginati, “indecorosi” (con il “decoro urbano” elevato a bene giuridico da tutelare), ma anche i manifestanti a qualsiasi titolo molesti, ne comprendiamo forse meglio la pericolosità anche per gli italiani.

Il DL 13 stabilisce che esiste un iter giuridico diverso per lo straniero. Domani può essere invocata la stessa cosa per il protestatario molesto. Non solo.

La ricetta di entrambi i decreti è “allontanare dagli occhi” i problemi (il CPR come il richiedente asilo, l’emarginato “indecoroso” come il manifestante che protesta).

I problemi sociali non vengono risolti, ma semplicemente resi invisibili o trattati dentro una strategia repressiva più sottile di quella rozza invocata dalla Lega, perché si ammanta di modernismo, efficienza e progressismo.

Come comunisti dobbiamo contrastare questo provvedimento, che oggi è fatto per un settore limitato della classe lavoratrice ma è parte di una intensificazione repressiva che colpisce tutti i lavoratori, a partire da quelli più restii a piegarsi alla logica del profitto.

La nostra opposizione deve essere parte di una lotta che porti all’eliminazione di quelle frontiere che producono le stragi in mare e di quel sistema sociale che usa i lavoratori – immigrati ed autoctoni – come una merce da sfruttare finché fa comodo e di cui liberarsi quando non serve più.