Nuovi ministri europei, vecchie tensioni, fra crisi economica e crisi ucraina

Commissari UE

Il termine più utilizzato per definirla è stato “inesperta”. La candidatura di Federica Mogherini designata dall’Italia a sostituire Catherine Ashton (anche lei criticata per la sua inesperienza) era stata bloccata in luglio da Polonia e Paesi Baltici, che l’avevano bollata come troppo tenera con Putin rispetto alla crisi ucraina. Veniva criticato il suo viaggio a Mosca dopo che l’Italia aveva assunto la presidenza europea (1 luglio). Il Financial Times ha parlato di nomina «deludente» e addirittura «sbagliata», inadeguata alla carica che richiedeva peso e esperienza internazionale. Le Monde non era stato più tenero.

La sua nomina è passata solo in subordine alla nomina a presidente del Consiglio europeo di Donald Tusk (al posto di Van Rompuy) . Attuale primo ministro polacco, Tusk è considerato un contrappeso bastevole, vista la sua posizione di falco nei confronti della Russia.
Ma a questo risultato si è arrivati dopo lunghe contrattazioni fra i paesi contano.
Tusk è innanzitutto il candidato degli 8 paesi dell’Europa dell’Est che mirano a contare di più in Europa, ma è soprattutto il candidato della Germania. La sua vittoria nel 2007 ha segnato il trapasso da una Polonia filo-inglese a una Polonia filo-tedesca. La Germania ha tratto grandi vantaggi dall’integrazione economica fra i due paesi: la Polonia fornisce componenti a basso costo per l’industria automobilistica, elettronica e meccanica tedesca, diventando uno degli elementi che consentono il successo dell’export tedesco cfr Economist 27 ag 2014.
Pragmatico, 57 anni, laureato in storia, militante di Solidarnosc in gioventù, oggi liberal democratico, Tusk ha al suo attivo il successo economico della Polonia, unico paese europeo a crescere in questi anni (Sole 24 Ore). Il Telegraph cita il rapporto annuale del Foreign Office per sottolineare che la nomina di Tusk dimostra l’insuccesso totale della politica estera inglese sotto Cameron. Gli attriti fra Cameron e Tusk sono via via cresciuti principalmente a) per la campagna di Cameron contro gli immigrati polacchi b) per la volontà di Cameron di ridurre i sussidi ai contadini polacchi e alle aree depresse. Cameron ha finito per accettare la candidatura di Tusk perché comunque è sufficientemente antirusso (ha fatto un parallelo fra l’annessione della Crimea e l’offensiva nazista in Polonia e Cecoslovacchia nel 1939). Ma anche perché, secondo il Guardian, Cameron ha ottenuto la garanzia che Tusk sosterrà la linea inglese di taglio del welfare per gli immigrati comunitari(linea peraltro condivisa da Francia e Germania). E’ andata male invece la richiesta di prendere in considerazione come commissario all’economia l’inglese Lord Hill (definito dal Telegraph un “signor nessuno”); sfumata anche l’ipotesi di averlo come commissario all’energia, alla fine Lord Hill avrà le finanze, ma il suo operato sarà “sotto controllo”.

Il 10 settembre dopo estenuanti trattative Juncker ha presentato l’organigramma della Commissione Europea, stabilendo che i commissari non saranno delle primedonne indipendenti, ma dovranno lavorare insieme, naturalmente dentro una precisa gerarchia: sette commissari saranno vicepresidenti e team leaders di altrettante commissioni in cui coordineranno e saranno responsabili dei restanti commissari (i team players).

I magnifici sette cioè i capi commissione saranno:
L’olandese Frans Timmermans, 53 anni, che ottiene la prestigiosissima prima vicepresidenza con l’incarico di occuparsi della legislazione comunitaria, definito braccio destro di Juncker, ma anche watchdog (cane da guardia), cioè supervisore delle altre commissioni (parla russo, italiano, inglese, francese e tedesco oltre ovviamente all’olandese).
Federica Mogherini, delega agli esteri dal 1 novembre. Nominandola Juncker ne ha elogiato la competenza (escusatio non petita). Sembra che la Gran Bretagna si sia rassegnata in cambio di una posizione più critica verso Putin (e Mogherini ha diligentemente eseguito con virata di 180 gradi), Francia e Germania hanno contrattato il voto favorevole a Mogherini, l’una in cambio di un appoggio italiano a Pierre Moscovici candidato francese a commissario all’economia (fonte Le Figaro), l’altra in cambio di un sostegno italiano al veto sul nome di Moscovici, considerato troppo flessibile sul rigore nei conti pubblici (fonte Bild). Alla fine Moscovici l’ha spuntata ma è stato messo sotto tutela. Sia Moscovici che Hill saranno infatti “team player” cioè collaboratori in una commissione cappeggiata dal finlandese Jyrki Katainen, 42 anni, candidato anche lui all’economia e considerato un efficace contrappeso alla “incompetenza” dei primi due. E’ gradito alla Gran Bretagna (giudicato miglior ministro delle finanze d’Europa dal Financial Times nel 2008), ma soprattutto è considerato “fedelissimo della Merkel”. Katainen guiderà il project team composto dai commissari Oettinger (tedesco, telecomunicazioni), Pierre Moscovici (francese, socialista, Affari economici, fisco e consumi), Corina Cretu (Romania, PSE, politiche regionali), Hill (inglese, stabilità e servizi finanziari, mercato dei capitali), Elžbieta Bienkowska (polacca, PPE, Mercato interno, l’industria e l’imprenditoria., Miguel Arias Cañete (spagnolo, ambiente energia) e Maros Sefcovic (slovacco, pse, Sviluppo)
Gli altri capi commissione sono: Kristalina Georgieva (bulgara, 61 anni, PPE, Bilancio e Risorse Umane, Alenka Bratusek (slovena, liberaldemopcratica Commissione Clima, Energia, ambiente, affari marittimi, Valdis Dombrovskis (lettone, 43 anni, PPE, Euro e dialogo sociale, Andrus Ansip, estone, 57 anni, liberaldemocratico, Commissione Mercato unico digitale. Gli ultimi tre e Katainen sono stati premier nei loro paesi prima di diventare commissari europei, come del resto Tusk.
Complessivamente il PPE (partito popolare italiano) ottiene 13 commissari su 27, mentre i socialisti si accontentano di otto, a cui si aggiungono 5 liberali e 1 conservatore-riformista.

La presenza di tanti leaders provenienti dall’Est europeo fra i magnifici sette della Commissione europea pone la necessità di alcuni approfondimenti. Di tutti si elogia l’adesione ai principi di Maastricht e questo può piacere alla Germania. Politicamente sono tutti PPE o socialdemocratici, tranne Mogherini, anche questo piace alla Germania, che è anche il paese che ha le maggiori interconnessioni economiche a est. Questi leaders “orientali” sono approdati in Europa con un bassissimo numero di voti raccolti nel loro paese. Se nel complesso in Europa ha votato alle europee il 43% degli aventi diritto, in Europa Est-Centro la media è stata del 28%, (il 13% in Slovacchia, il 23% in Polonia, il 46% in Lettonia). Quindi la scelta di questi nomi, fortemente voluti da Juncker, a sua volta fortemente voluto dalla Merkel, non va vista in riferimento ai loro paesi d’origine. Quanto forse alle future scelte tedesche, ma principalmente in ambito economico.

E qui si torna a Mogherini. Per molti, a torto o a ragione, la sua nomina conferma che anche nei prossimi anni non ci sarà una vera politica estera europea. Ma una autonoma politica estera tedesca, francese, inglese ecc.

La domanda successiva quindi è che peso dare all’atteggiamento tedesco al vertice Nato in Galles; se cioè una politica dura nei confronti di Putin convenga alla Germania e a quali paesi europei; se la Germania sia del tutto favorevole all’aumento della spesa militare propria e degli altri paesi europei; se la Germania sostenga la linea di Tusk chiaramente in favore di un allargamento della Nato in Ucraina.
Una risposta affermativa ai quesiti sarebbe un notevole cambiamento di rotta rispetto alla politica tedesca degli ultimi vent’anni. La Germania è economicamente in bilico: l’interscambio commerciale con la Polonia è stato di 71,5 miliardi di € nel 2013; quello con la Russia di 76,5 miliardi. Ma l’integrazione con la Polonia sta progredendo, mentre la dipendenza energetica dalla Russia è avvertita da molti come un vincolo da ridurre.

L’atteggiamento europeo verso la Russia non è omogeneo, ma se le sanzioni diventassero effettive, avrebbero un costo immediato molto elevato principalmente per Germania, Italia e Austria.
E in Italia le preoccupazioni trapelano già esplicitamente sulla stampa.
Nel 2013 l’interscambio dell’Italia con la Russia (dati ICE) aveva raggiunto i 26,4 miliardi di €
Nel novembre 2013 l’Italia aveva firmato con la Russia 29 protocolli commerciali che riguardavano Eni, Enel, Fincantieri, Poste Italiane, Pirelli, Selex, Prysman, Cremonini, Saipem, Danieli, Sace, Unicredit, Mediobanca e Ubi Banca. In teoria le sanzioni dovrebbero riguardare il futuro, ma le imprese coinvolte hanno già valutato in 2,5 miliardi di € il danno per il 2014-15. In base alle sanzioni decise dall’UE il 29 luglio cittadini o aziende UE non possono intraprendere operazioni finanziarie di ogni tipo con aziende e banche russe con effetti immediati su investimenti e attività commerciali e industriali. Inoltre cittadini e aziende UE non possono importare ed esportare armi, beni o tecnologie connessi con uso militare né materiali o tecnologie connessi con le esplorazioni energetiche. Le misure intraprese «renderanno più difficile per la Russia sviluppare, nel lungo termine, il suo settore petrolifero», restringeranno l’accesso della Russia al mercato europeo dei capitali.
Per cui immaginiamo lo scoramento di certa sinistra nostrana a vedere Renzi tuonare a Newport a favore delle sanzioni, mentre a difendere i buoni affari che molti boss italiani fanno in Russia è rimasto Berlusconi (lui sì vero amico di Putin). Vero che poi Renzi e la Merkel hanno preso le distanze da Obama (secondo il quale le sanzioni sono inevitabili perché la Russia e i separatisti ucraini non rispetteranno la tregua). Sia Renzi che Merkel sono del parere che le sanzioni vanno immediatamente sospese se la tregua tiene. E con alti e bassi la tregua sembra tenere, le truppe russe sembrano essersi ritirate dalle regioni dell’est ucraino. Se così non fosse le sanzioni danneggerebbero certamente settori economici italiani.

Quella che invece sembra una decisione irreversibile è l’aumento delle spese militari da parte dei partners Nato europei fino al 2% del PIL. Finora solo Gran Bretagna, Grecia ed Estonia arrivano a questo livello di spesa; l’Italia vi destina l’1,2%-1,4% del PIL, in soldoni 52 milioni di € al giorno (dato Nato) o 70 milioni (dato Sipri). Con la nuova percentuale spenderebbe 100 milioni di € al giorno. Molti della sinistra pensano a una folle e insensata sottomissione ai diktat Usa, dimenticando che aumentare le spese militari nei periodi di crisi è una classica ricetta capitalistica per sostenere l’economia nazionale (immaginiamo la felicità di Finmeccanica e relativo indotto). Perché da che mondo e mondo i profitti sono profitti, sia che vengano dal vendere un cannone che dal vendere trattori, l’aumento della spesa militare comunque soddisfa le aspirazioni di una parte dei padroni del vapore, è del tutto coerente con l’etica capitalistica.
Se poi questa scelta comporterà da un lato più tasse, meno spesa per la scuola, la sanità, i servizi ecc. …vabbeh, direbbe Renzi, è il prezzo della democrazia.

Ancora di più si dimostra come il capitalismo è un sistema mostruoso da distruggere: mentre tutti gli stati borghesi fanno a gara per tagliare i servizi utili alla collettività come sanità,trasporti, istruzione aumentano in modo abnorme la produzione degli strumenti di morte e distruzione che inevitabilmente vengono usati provocando catastrofi per parti sempre più consistenti della popolazione mondiale.
Noi comunisti consideriamo la lotta contro il militarismo degli stati borghesi una componente essenziale del percorso che porterà all’emancipazione dalla barbarie del sistema capitalistico.