Pirelli “nazionalizzata”… dalla Cina con capitali… americani

Pirelli

Uno dei marchi blasonati della grande industria italiana, dopo essersi accasato coi russi, passa sotto controllo cinese. Un epilogo che è un compendio della geopolitica del capitale.
Non plaudiamo né esecriamo, né ci stupiamo: il mercato è mondiale e il capitale è internazionale. Marx lo scrisse già più di 160 anni fa, vent’anni prima che nascesse la Pirelli. E concludeva: “Proletari di tutti i paesi, unitevi!”. È questa parte della visione di Marx che deve ancora realizzarsi: è questo il compito che tocca a noi comunisti.

Non ci interessa entrare nella polemica aziendal-nazionalista sull’italianità contro la svendita allo straniero, sull’Italia colonia della Cina. Né vogliamo dare lezioni ai capitalisti, che il loro mestiere di far soldi sul lavoro dei salariati lo sanno fare anche troppo bene. Ma vogliamo trarre qualche indicazione per i lavoratori e per noi comunisti.

Nei primi anni ’90 Pirelli tentò l’assalto alla tedesca Continental, e ne uscì con le ossa rotte, cose che succedono anche ai migliori, quando le ambizioni superano le munizioni finanziarie. Continental è divenuta il primo produttore mondiale, davanti alla “giapponese” Bridgestone, alla “francese” Michelin e all’“americana” Goodyear, mentre Pirelli è il primo tra i gruppi medi, specializzata in pneumatici di fascia alta per auto e veicoli industriali.

Qualche anno fa Pirelli per non divenire essa stessa preda di pescecani più grossi ha ottenuto il sostegno delle due maggiori banche italiane (Intesa e Unicredit), poi ha ceduto il 50% del controllo (in Camfin) ai petrolieri russi di Rosneft. Pirelli ha due stabilimenti in Russia, che appariva come mercato promettente, mentre Rosneft avrebbe favorito lo sviluppo delle tecnologie della gomma sintetica. Poi la guerra in Ucraina, il parziale embargo alla Russia, e la caduta del prezzo del petrolio hanno indebolito l’attrattività di quel mercato e la forza di Rosneft, costretta a cedere posizioni. Quindi si sono fatti avanti i cinesi… del gruppo chimico statale ChemChina, che con 36 miliardi di euro e 140 mila dipendenti è grande circa 5 volte la Pirelli e ha 24 centri di ricerca: possono aprire il mercato più grande del mondo sia nell’auto che nei veicoli industriali e ancora in forte espansione, e fornire-attrarre i capitali necessari. Un’offerta che il capitalista Tronchetti Provera & soci non potevano rifiutare.
Un’offerta che ha un prezzo: il 50,1% del controllo ai cinesi, anche se Tronchetti resterà alla guida fino al 2021, e la “testa” del gruppo potrà essere portata fuori dell’Italia solo con il consenso del 90% degli azionisti.

Notiamo che Pirelli (che ha perso per strada i Cavi dopo l’avventura Telecom) è già ben poco “italiana”. Solo due stabilimenti di pneumatici su 21 sono in Italia, che conta solo il 6% circa su produzione e vendite. Pirelli si vanta di aver portato l’80% della produzione di pneumatici per auto e il 100% di quella per camion in paesi emergenti a basso costo (del lavoro). L’America Latina con 7 stabilimenti (di cui 5 in Brasile, 1 in Argentina e 1 in Venezuela) e il 36% del fatturato pesa più dell’Europa (33% del fatturato e 6 stabilimenti: 2 in Gran Bretagna, 1 in Germania, 1 in Romania). Finora il capitale e la “testa” di Pirelli sono stati in Italia, ma ciò non ha impedito, anzi ha portato a che Pirelli diventasse una multinazionale già ben poco italiana, con i suoi 38 mila dipendenti diretti sparsi per il mondo e i lavoratori in Italia ridotti a poche migliaia.

L’ascesa della Cina, come mercato e come potenza dei gruppi capitalistici, sposta ora il baricentro e il portafoglio di comando di Pirelli verso l’Asia, dove questa multinazionale era finora molto debole (un solo stabilimento in tutto il continente). Con una particolarità: Pirelli non solo sarà sotto controllo cinese, ma sotto il controllo del capitale di Stato cinese! Potremmo dire che Pirelli viene “nazionalizzata”… dalla Cina.

Un’altra particolarità: l’operazione dei cinesi è finanziata dal colosso finanziario americano J.P. Morgan Chase & Co.! Il capitale “americano” raccoglie i soldi dai capitalisti di tutto il mondo per mettere la Pirelli nelle mani del capitale statale cinese! Chi seguisse gli schemi stalineggianti o neocon privato/statale, Occidente/Oriente non può non andare in confusione.

Che il capitale sia privato o statale non cambia nulla per i lavoratori, così come non cambia nulla che esso sia italiano o “straniero”: la sua logica antioperaia di sfruttamento è nel suo DNA.

Ciò che manca è la consapevolezza dei lavoratori di essere membri di una classe che ha interessi comuni in tutto il mondo, anche se vive in condizioni diverse da paese a paese. L’internazionalità di Pirelli deve essere uno stimolo al collegamento internazionale tra i lavoratori Pirelli, in Europa, nelle Americhe, Medio Oriente e Asia per una difesa comune delle proprie condizioni, primo passo verso la ricostituzione dell’Internazionale dei lavoratori.