SUICIDIO STYLE

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Ultima creazione della crisi italiana, toppe al culo in pelle umana.
SUICIDIO STYLE

la morte non è una livella!
“il piccolo imprenditore che si suicida e l’operaio che si toglie la vita sono fratelli. Finchè non si capirà la comunanza di destino tra il sistema imprenditoriale italiano ed il lavoro, l’Italia non ce la farà.
Occorre un salto culturale, un grande patto tra i produttori, non la riapertura del conflitto tra l’imprenditore e i suoi operai, che sono la sua famiglia”.
Walter Veltroni-Corriere della Sera-10 maggio 2012

Si sa’, dove c’è puzza di morte, ci sono gli sciacalli.
Come per la vita, cosi’ per la morte, si cerca di mettere tutti sulla stessa barca,
fosse anche quella di Caronte. Certo, le morti sono uguali, come le cause di queste. Sono I morti ad essere diversi!

Eppure, si vuole affratellarli per forza, imprenditori ed operai, come se la “livella” mettesse rimedio ad una vita di disuguaglianze.
A conto di sembrare “antipolitici” ed addirittura “antisociali”, e senza scomodare il “grande timoniere”, le sue “piume” e le sue “montagne”, ci permettiamo di non essere d’accordo.
Nemmeno da morti siamo sulla stessa barca!
O meglio, ci sono i “soliti” morti, e quelli insoliti, figli della crisi, traditi dalla loro società, in cui avevano creduto e che avevano sostenuto.
I “soliti” morti sono gli operai, suicidi o “suicidati” sul e dal lavoro salariato, che muoiono abitudinariamente, con costanza, tot l’anno, crisi o non crisi.
I morti insoliti sono gli imprenditori, grandi e piccoli, padroni e padroncini di questo sistema che prima li arricchisce e poi li spoglia dei privilegi gettandoli nella disperazione.
La morte dei padroncini è un episodio eccezionale legato alla stretta contingente, mentre la morte degli operai è una costante dello sfruttamento capitalistico.
La verità è che quando si dice che “la morte dei padroni è un problema per gli operai” si dice il falso, e lo si dice perché si vuole dimostrare il principio interclassista dell’essere tutti accomunati dagli stessi problemi risolvibili con la collaborazione di classe e non con il conflitto.
E invece, in questa società, anche su questa “barca”in crisi, c’e’ chi rema e chi sta in tolda, chi muore ogni tanto e chi tutti i giorni, 5 volte al giorno!
Ma come mai la “società civile” si accorge dei suicidi solo quando questi toccano padroni e padroncini?
Come mai solo adesso, al posto di chi, morto, non parla piu’, in tanti chiacchierano a sproposito, affollando talk show e convegni, finendo con l’enfatizzare l’”ultimo atto”, rendendolo emulabile?
La tiritera di questi sciacalli, ciechi e sordi di fronte ai “soliti” 1500 morti operai di lavoro l’anno, è sempre la stessa: accomunare le sorti del sistema imprenditoriale con il destino degli operai, come in una “grande famiglia”.
Neanche la Chiesa, “madre della vita e della morte”, era arrivata a tanto, con il suo “siamo tutti uguali si’, ma davanti a Dio”.
Per padroni, padroncini e loro servitori, invece, imprenditori ed operai sono uguali nella vita come nella morte.
Per noi, operai e padroni appartengono a classi diverse, qui e la’.
I loro destini non si incontrano mai, anzi sono antagonisti.
Neanche nell’aldila’ operai e padroni sono sulla stessa barca, né nello stesso posto.
La classe operaia, “ultima che diventa prima nel regno dei cieli”, è notoriamente in paradiso.
Gli imprenditori, “peccatori” nella vita, all’inferno.
E’ dura la vendetta del proletariato!

Combat

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