8 settembre 1943: a settant’anni dall’infamia e dal cinismo dell’imperialismo italiano

8set

Vogliamo ricordare una pagina di storia molto importante e tragica per milioni di proletari e sfruttati di questo paese: l’8 settembre 1943.
Sono passati ben 70 anni, ma questa data è e rimarrà impressa col marchio dell’infamia.
Nel giugno 1940 il governo fascista guidato da Mussolini entra in guerra – la seconda guerra mondiale – a fianco della Germania nazista.
Gli avversari sono le potenze “democratiche” occidentali di Francia ed Inghilterra, alle quali si aggiungerà l’URSS nel giugno del ’41 dopo l’invasione di Hitler e poi gli USA dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbor (7/12/’41).

Ma la guerra non è tra “democrazia” e “fascismo”, tra “libertà” e “tirannide”, bensì per una nuova spartizione del mondo tra capitalismi, di vario colore politico. Essa serve tra l’altro al capitalismo mondiale per uscire definitivamente da una crisi mondiale che lo attanagliava da dieci anni. E’ una nuova guerra imperialista, dopo quella del 1914-’18.

L’Italia, l’imperialismo italiano, dopo nove mesi di “non intervento”, decide di partecipare anch’esso alla spartizione, credendo di aver scelto il “cavallo vincente” (la Germania nazista appunto).

Ma le cose si mettono male da subito. Il tronfio sistema di potere fascista, così “eroico” contro gli operai disarmati e contro libici ed abissini, inciampa rovinosamente in una Francia già in ginocchio prima, e contro l’Inghilterra poi, passando per la disfatta in Grecia e la rovinosa avventura russa. Perdita delle colonie fino allora conquistate, sconfitta in Africa settentrionale, sbarco degli Alleati in Sicilia (10 luglio 1943).

La guerra è in casa. Dal nord calano le truppe dei “camerati” tedeschi”. Dal sud salgono quelle degli Alleati. Le principali città italiane sono duramente bombardate per costringere la classe dominante, fino allora sostenitrice del fascismo, ad uscire dalla guerra. Inutile dire che le vittime sono decine di migliaia di profughi e di povera gente.

Il governo fascista traballa. Nel marzo del ’43 poderosi scioperi operai avevano già fatto capire che gli sfruttati ne avevano abbastanza di questo massacro. I padroni del vapore, il 25 luglio, decidono allora di ribaltare il loro “duce” e di mettere in sella al suo posto il generale Pietro Badoglio, vecchia canaglia monarchica e profittatore di guerra. Ad Hitler viene assicurato che “la guerra continua” contro gli anglo-americani, ma in realtà la borghesia italiana -per grattugiare comunque qualcosa nella disastrosa sconfitta- sta tramando per fare il “ribaltone” e passare con i nemici di ieri.

Cosa che avviene appunto l’8 settembre 1943, quando il governo Badoglio, insieme al suo re Vittorio Emanuele III, chiede l’Armistizio e scappa a Brindisi, lasciando in balìa degli ex alleati tedeschi gran parte dell’Italia, e contemporaneamente permettendo agli anglo-americani di instaurare nelle zone “liberate” un regime militare.

In pratica la nostra classe dominante, per raspare qualche vantaggio dai probabili vincitori, lascia che le truppe imperialiste dei due fronti facciano strage delle popolazioni civili. Fame, miseria, lutti potrebbero essere sostanze esplosive per i nostri padroni.
Già dal 25 luglio la prima preoccupazione del governo “democratico ed antifascista”, rafforzata l’8 settembre di fronte allo sfascio dello Stato e dell’esercito, è quella di IMPEDIRE AD OGNI COSTO CHE LA CRISI IMPERIALISTA PRODUCA MOTI RIVOLUZIONARI.
E’ LA CRISI PIU’ DEVASTANTE DELLO STATO BORGHESE ITALIANO; FRUTTO DELLA GUERRA IMPERIALISTA.
E’ LA DIMOSTRAZIONE CHE DA UNA GUERRA PUO’ SCOPPIARE LA RIVOLUZIONE, A CONDIZIONE CHE GLI OPERAI SIANO ORGANIZZATI POLITICAMENTE E INDIPENDENTI DA OGNI FRAZIONE DELLA CLASSE DOMINANTE.

I resti delle forze armate italiane vengono in quei giorni impiegati contro le sommosse popolari che pur esplodono in varie località della penisola. Solo nel periodo successivo al 25 luglio si contano più di 100 morti ammazzati in dimostrazioni operaie da parte delle truppe badogliane. Quello che il risorto fascismo di Salò fa per conto suo al nord (terrorismo anti-operaio, deportazioni, e caccia ai giovani che si danno alla macchia formando le prime unità partigiane), viene in qualche misura “completato” a sud dai risorti governi “democratici”, appoggiati da tutti i partiti “antifascisti (dai liberali agli stalinisti del PCI).

Per circa due anni sorgerà allora una “guerra nella guerra”, in cui le formazioni partigiane, finite politicamente e militarmente nelle mani di una cordata imperialista (quella “democratica”) non potranno -a parte casi isolati di opposizione subito repressi- trasformare la guerra imperialista in rivoluzione. E nelle zone “liberate” monarchici, democristiani e stalinisti, appoggiandosi sugli Alleati, si attiveranno subito per stroncare ogni lotta proletaria che potesse mettere in discussione la ritrovata “unità nazionale”.

Questa è l’infamia de l’ 8 settembre: il prezzo di una avventura guerrafondaia della “nostra” borghesia, la quale scarica sui proletari i suoi fallimenti e le sue sconfitte. Partendo col “duce” e finendo coi governi “democratici”, appoggiati dagli stessi padroni che avevano sostenuto il fascismo.

Questo è il cinismo de l’8 settembre: a qualunque costo i borghesi non si fanno travolgere. Cambiano in un baleno alleati e foraggiano partiti di ogni tipo pur di sopravvivere e continuare a fare affari; usando la frode, la menzogna, l’inganno, la violenza più bieca.
Serve dunque ricordare eventi come quello che abbiamo richiamato per non farsi mai più illudere, per non farsi mai più trascinare come carne da macello nelle competizioni e nelle avventure delle classi dominanti.

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