Armi, calcoli politici ed etica umana

Nel pasticciato scontro politico in svolgimento dentro le stanze del parlamento italiano, uno dei contendenti, il pentastellato ministro degli Esteri Di Maio, si è ieri affrettato, sulla scia di Biden, a decretare lo stop delle vendite di armi italiane, missili e bombe, all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi, che fino ad oggi erano state solo sospese.

Un tentativo di prendere le distanze su una questione morale dall’avversario Matteo Renzi, posizionandosi allo stesso tempo sulla scia americana. Ma una sensibilità morale sospetta, essendo rimasta nel cassetto per ben 2 anni e mezzo, tempo nel quale Di Maio è stato membro di primo piano dei governi in carica oltre che principale leader di quello che, almeno per ora, è il principale partito di maggioranza.

Renzi si è recato a Riad in occasione della Future Investment Initiative, il cosiddetto “vertice del Deserto” organizzato nel 2017 dal principe erede saudita per attrarre investimenti stranieri nel Golfo. Nel discorso da lui pronunciato, nella veste di membro del Consiglio consultivo di FII funzione per la quale è pagato ben 80mila€ l’anno (al netto delle spese!), Renzi ha definito «luogo del nuovo Rinascimento» l’Arabia del regime saudita, un paese la cui borghesia, oltre che sulla rendita petrolifera prospera sul supersfruttamento semi-schiavistico di oltre 10 milioni di immigrati, la maggioranza della forza lavoro privata, che non possono lasciare il padrone che li ha ingaggiati! E Renzi ha avuto la spudoratezza di dichiarare che invidia lArabia il [basso] costo del lavoro così imposto! Evidentemente il suo famigerato Jobs Act, che ha aggravato la barbarie sul mercato del lavoro non gli basta… “Nuovo Rinascimento” di uno dei maggiori attori della criminale guerra contro la popolazione yemenita, in corso dal oltre 6 anni, per contenere l’ascesa a potenza regionale dell’Iran che in Yemen interviene in appoggio ai ribelli Houthi?

Alcuni paesi europei, nel 2018-2019, avevano già sospeso o esteso la sospensione dell’export di armi all’Arabia saudita (Germania, Danimarca, Olanda e Finlandia, Svezia, Norvegia e Austria e Grecia), cogliendo come pretesto il brutale assassinio del giornalista saudita Kashoggi per opera del regime saudita, che per giorni aveva fatto notizia sui mass media. Altri paesi non avevano ritenuto opportuno perdere affari tanto lucrosi per una questione, in fin dei conti, “interna”. Questi paesi pragmatici furono Francia, UK, Spagna, Italia.

Tuttavia le vie delle armi sono infinite. Spesso i venditori di armi riescono da aggirare embargo e sanzioni varie. Possono essere vendute ad un paese non soggetto all’embargo, il quale a sua volta le dirotta verso l’utilizzatore finale. Oppure, possono sottrarsi ai divieti producendo al di fuori del paese di appartenenza. È quanto ha fatto per almeno un anno il gruppo RWM Italia, interamente di proprietà del tedesco Rheinmetall, il quale essendo una società registrata in Italia poté continuare a produrre in Sardegna armi da esportare all’Arabia Saudita, senza ottemperare al divieto decretato dal governo tedesco, e con il beneplacito di quello italiano.

Per gli agenti politici al servizio del capitale prevale, dunque, anche nel commercio di strumenti di morte l’aspetto formale, non certo l’etica.

Le vendite ora bloccate da Di Maio facevano parte di un’assegnazione complessiva di 20.000 missili, valore di oltre 400 milioni di euro (quanti morti e quante distruzioni erano calcolati?) concordata nel 2016 sotto il governo di centro-sinistra guidato dall’ex primo ministro Matteo Renzi.

I dati più recenti – 2019 – collocano Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti al 10° e 11° posto nella lista dei maggiori mercati per le esportazioni italiane di armi. Le esportazioni verso l’Arabia Saudita valevano 105,4 milioni di euro, quelle verso gli Emirati Arabi Uniti 89,9 milioni di euro.

Il ministro Di Maio, forse, conta che gli elettori italiani dimentichino che i governi Conte 1 e Conte 2 seguiti a quello renziano – dei quali lui stesso ha fatto parte – hanno di fatto continuato a fornire gli strumenti necessari per continuare il massacro in Yemen e per alimentare i contendenti delle altre aree di crisi dal Medio Oriente al Nordafrica.

E, in ogni caso, è dal 2015 che la coalizione a guida saudita lancia bombardamenti sullo Yemen usando armi americane ed europee!

E l’imperialismo italiano l’ha fatto in proporzione della capacità competitiva dei propri gruppi degli armamenti rispetto ai concorrenti americani, europei (Francia, UK, Germania), e a quelli russi (nota 1). Tra i destinatari delle esportazioni di armi, al primo posto nella regione MENA viene appunto l’Arabia Saudita con il 48% del totale.

Uccidere per raggiungere un equilibrio

Il Centro per la Politica Internazionale (CIP – Center for International Policy) rileva che le esportazioni di armi vengono spesso giustificate “come elemento di stabilità, un modo per cementare alleanze, per contrastare l’Iran, o, più in generale, come strumento per creare un equilibrio di potere che rende il conflitto meno probabile”.

Questi sono i calcoli strategici, tecnici, che prescindono da qualsiasi morale umana, delle potenze globali e regionali che operano in aree contese, e di perciò instabili.

La realtà sul terreno delle popolazioni è che le armi di piccolo calibro e altri dispositivi militari sono servite a perpetuare il conflitto. I bombardamenti aerei e artiglieria a lungo raggio, i cosiddetti grandi sistemi d’arma, hanno ucciso decine di migliaia di civili, e sono indirettamente responsabili di centinaia di migliaia di vittime provocate dai bombardamenti alle infrastrutture, su scuole, ospedali, mercati. Si valuta che nel corso della guerra la coalizione abbia lanciato un bombardamento aereo ogni dieci giorni su ospedali, cliniche pozzi e depositi di acqua.

Per lo Yemen il costo è di oltre 112mila vite umane distrutte, di cui 12600 civili.

Strettamente interconnessi agli interessi politici, di potenza, sono gli interessi economici dei gruppi produttori di armamenti, che dipendono dal mercato della regione. Tre dei primi cinque paesi esportatori di armi – Stati Uniti, Francia e Regno Unito – realizzano oltre metà delle loro esportazioni globali di armi nella regione; per la Germania la metà.

L’Italia armata a difesa dei propri interessi in Medioriente e Nordafrica

Non occorrono grandi discorsi per dimostrare che, al di là delle declamazioni di condanna dei conflitti “altrui”, come quello dello Yemen, il governo dell’imperialismo italiano, di qualsiasi composizione politica – destra, centro-destra, sinistra, centro-sinistra, giallo-rosso-verde, e magari in futuro anche arcobaleno – agisce secondo le stesse logiche che deplora ad alta voce.

Basta dare uno sguardo alla seguente cartina, che riporta la presenza armata del democratico stato italiano. Forze armate che democraticamente indicono un referendum, chiedendo il permesso prima di uccidere?

da Limes, 21 febbraio 2020

Spiega Limes, che in Medio Oriente è dispiegata il “grosso” della presenza militare italiana nel mondo, circa 3 mila uomini su un totale di 6.200 unità, per una spesa di oltre 600 milioni di € (su un bilancio complessivo per le missioni militari italiane all’estero di 1,1 miliardi nel 2019), impegnati in varie missioni a conduzione nazionale, europea o Nato.

Il fatto che truppe e basi italiane siano posizionate lungo le direttrici principali dell’espansione regionale dell’Iran, con cui l’Italia ha un rapporto consolidato da tempo, fa emergere sia il potenziale di conflitto, e la conseguente necessità per Roma di ricercare punti di equilibrio, con gli Stati Uniti che durante la presidenza Trump avevano messo in atto massicce sanzioni contro Teheran, ma anche con i contendenti dell’Iran per l’egemonia regionale, Israele, Turchia e Arabia Saudita. Un Mare Nostrum, non proprio pacifico!

Bombe, covid e fame

La popolazione yemenita, oltre ai bombardamenti, patisce la fame. Nel paese c’è la più grande crisi umanitaria del mondo, con l’80% dei 30 milioni di yemeniti che dipende dagli aiuti umanitari, secondo l’Onu. La malnutrizione è peggiorata nel 2020, le sue cause sono aggravate, perché alla situazione già pesante dopo quasi sei anni di guerra si sono aggiunti Covid-19, declino economico, inondazioni, escalation del conflitto contro il porto di Hodeidah (nonostante la tregua chiesta dall’Onu, che anche in questa guerra è dimostrata del tutto impotente), e infine la riduzione degli aiuti internazionali. Gli stati del G20 hanno venduto armi per un valore di 17 miliardi di dollari all’Arabia Saudita da quando nel 2015 ha iniziato la guerra contro lo Yemen, i loro aiuti umanitari sono stati un terzo di quella cifra.

L’analisi di un’agenzia ONU rileva come nel 2020 i casi di malnutrizione acuta nei bambini di età inferiore ai cinque anni siano aumentati di circa il 10%, a più di mezzo milione, e quelli con grave malnutrizione del 15,5%. Inoltre sono malnutrite almeno un 250mila donne incinte o in allattamento.

«La malnutrizione acuta a quell’età causa danni irreversibili al cervello e alla capacità cognitiva del bambino», denuncia un rappresentante Unicef.

Con o senza Renzi e Di Maio, i capitali e lo stato italiano hanno una loro penetrazione economica e politica nel Medio Oriente, dove sono complici di guerre, massacri e oppressione.

I nostri alleati sono i lavoratori dell’area, nativi o immigrati!
Diciamo basta alla fabbricazione e alla vendita di strumenti di morte!
Ritiro di tutte le truppe italiane all’estero!
Taglio alle spese militari, aumento della spesa per la sanità pubblica, universale, gratuita!


Nota 1: La classifica degli esportatori di morte nell’ara MEANA (Medio Oriente, Nord Africa) vede in testa gli Usa con il 48% del totale, seguono con in complessivo 24% i tre europei, Francia (11%), Germania (5%) e Italia (3%); con il 17% la Russia è il secondo fornitore singolo; il UK 5%, la Cina 2%; altri 9%. (Fonti: Mideast Arms Bazaar report 2015-2019, Center for International Policy, Washington, e SIPRI)