CON IL PROLETARIATO GRECO “ASFISSIATO” DAL CAPITALE INTERNAZIONALE, EUROPEO, NAZIONALE

Si sta consumando in questi giorni, tra Bruxelles ed Atene e con incursioni di banchieri e governanti di ogni colore, un “prendi o molla” attorno ai debiti che la Grecia è chiamata a pagare al FMI, alla BCE e ad altri istituti creditori (1,6 miliardi di euro al FMI entro il 30 giugno, 6,7 miliardi alla BCE entro il 20 luglio, in realtà sulla ristrutturazione di 280 miliardi di debito complessivo).

Alexis Tsipras nel gennaio scorso vinse le elezioni promettendo di cancellare gli accordi con la Troika (e dunque di rivedere gli stessi meccanismi di restituzione del debito), senza però mettere le mani nelle tasche della “sua” borghesia (armatori e petrolieri in primis). Anzi, ha sempre assicurato a Bruxelles che la linea delle “riforme” – seppur con altre tempistiche, visto il dissanguamento contro i proletari di questi anni – sarebbe andata avanti.

Il “presto e bene” è importante per mercati finanziari ed imperialismi che non possono perdere il passo coi concorrenti. Dunque, avvicinandosi per Atene la scadenza dei termini di pagamento dei debiti, si è prodotto in Europa un “pressing” sul governo greco affinché questi agganciasse la trattativa sui tempi e sulle modalità del “rientro” ad un nuovo “giro di vite” sulla “riforme” (pensioni, IVA, licenziamenti più facili nel pubblico impiego).

Messa in questo modo, la cosa è parsa irricevibile per un governo che deve comunque fare i conti con un movimento di lotta che, seppur meno poderoso di qualche tempo fa, non per questo è uscito di scena. Movimento che in gran parte ha sostenuto proprio la recente vittoria elettorale di Syriza. Tra l’altro, come capita da tempo in altri paesi U.E., le singole borghesie stanno cercando di ricontrattare con gli istituti comunitari la loro permanenza nell’ euro.

Questo intreccio di interessi borghesi e di spinta “anti-austerity” che viene da larghi strati popolari della Grecia, ha fatto sì che si producesse un meccanismo di tensione al tavolo delle trattative.

Al ventilato “default” greco (possibile tecnicamente solo dopo il 20 luglio), alla chiusura di Borse e banche del paese, ai limiti dei prelievi ai Bancomat, al clima di “terrore” creato ad arte per far passare altre manovre “lacrime e sangue”, il governo Tsipras ha risposto con l’indizione di un Referendum “pro” o “contro” le misure di Bruxelles (domenica 5 luglio), che è praticamente un referendum su COME continuare la trattativa col governo europeo (se trattativa ci sarà).

La Merkel respinge ogni possibile accordo in extremis con Atene prima degli esiti del Referendum (e solo se vincerà il “SI’” al Piano di Bruxelles, per altro sconosciuto nei suoi contorni reali).

Il presidente della Commissione Europea Juncker prima “invita” i greci a votare comunque “SI’”, a prescindere, poi fa proposte di mediazione – sembra – ritoccando all’ingiù l’IVA per i settori turistici e impegnandosi sulla “ristrutturazione del debito”.

Il presidente della BCE Mario Draghi tiene un profilo “istituzionale” (“contano le regole, i debiti vanno pagati”), ma continua gli acquisti dei Titoli di Stato europei previsti dal “Quantitative Easing”.

Per non parlare del fatto che lo SPREAD risale sì, ma con oscillazioni e senza impennate vistose, l’euro è in rialzo sul dollaro, l’ELA (la linea di liquidità di emergenza della BCE verso la Banca Centrale Greca) non mette per ora in discussione il pacchetto degli 89 miliardi previsto.

Tra l’altro, ed è noto a tutti, la Grecia (il cui PIL ed il cui debito pubblico su quelli U.E. incidono rispettivamente poco più del 2% e del 3%) non farebbe altro che cercare di dilazionare i debiti, cosa successa a suo tempo alla Francia e ad altri paesi U.E.

Dunque il contenzioso, oltreché “economico”, assume connotati marcatamente politici: nessun precedente di “abbassamento della guardia” da parte di Bruxelles sui parametri comunitari verso paesi euro della sponda mediterranea, considerati i più “a rischio”…

Sarebbe tra l’altro anche un “assist” involontario a movimenti “populisti” in crescendo, come lo spagnolo “Podemos”; e si darebbe comunque fiato a formazioni “NO-EURO” di varia provenienza sparse nei diversi paesi.

Senza negare l’ impatto – anche emotivo – che avrebbe per il movimento proletario greco la vittoria del “NO” nel Referendum del 5 luglio (tenendo però presente che gran parte della borghesia greca non ha interesse ad uscire dall’euro) riteniamo che, alla fine, Tsipras sarà messo di fronte all’alternativa: strappare qualche briciola in più da Bruxelles spacciandola come “il massimo ottenibile”, oppure passare la mano.

Nessuno tratta per il proletariato greco in questa partita del “cerino acceso”.

Ed Atene si guarderà bene dal perdere i 7,2 miliardi ancora disponibili nel “piano di aiuti” della U.E., più altri 2 miliardi dei profitti SMP (“Securitiers Markets Programme”, i profitti della BCE sui bond greci), che andrebbero distribuiti ad altri Stati in caso di “default”.

Noi stiamo con il proletariato greco, a cui la borghesia internazionale, europea e indigena ha “caricato” dal 2009 ad oggi ben OTTO PIANI DI “AUSTERITA’” (-25% del PIL e milioni di nuovi poveri), in cambio di “aiuti” (cioè di denaro dato a banchieri, industriali, parassiti vari) dell’importo di 216 miliardi di euro.

Così come stiamo col proletariato europeo, che ha subito lo stesso trattamento dall’azione “congiunta” (seppur conflittuale nella spartizione) tra borghesia nazionale e quella dell’ U.E., nonché della finanza mondiale.

Tsipras non può condurre la sfida decisiva della lotta di classe contro il debito di classe perché vuole solo “un’altra Europa” (cioè condizioni migliori della permanenza in Europa per la sua borghesia) e non il rovesciamento delle logiche di profitto e di speculazione che hanno portato a questa situazione.

Vuole “abbellire”, e non ribaltare, il sistema di sfruttamento capitalistico che sta alla base dello strangolamento del proletariato: greco ed europeo.

Ciò che non può fare Tsipras lo può fare, lo deve fare la ripresa della lotta di un largo fronte proletario in Europa, che unisca le masse degli sfruttati su obbiettivi comuni:

 

IL DEBITO SE LO PAGHINO I PADRONI!

BASTA AUSTERITY! BASTA “LACRIME E SANGUE”!

SALARIO EUROPEO!

RIDUZIONE GENERALIZZATA DEGLI ORARI DI LAVORO A PARITA’ DI SALARIO!

SALARIO MINIMO GARANTITO!

RICONQUISTA DELLE PENSIONI CON 35 ANNI DI CONTRIBUTI!

SERVIZI SOCIALI GRATUITI!

STOP ALLA DEVASTAZIONE DEI TERRITORI ED ALLE SPESE MILITARI!

 

Comunisti per l’ Organizzazione di Classe – Nord