Dall’Iran a Milano: una denuncia vibrante di guerra e razzismo

Riportiamo l’intervento di una compagna iraniana di Together for Iran al termine della manifestazione del 25 febbraio contro la guerra a Milano, conclusasi nel parco dedicato ad Adil Belakhdim, il militante del SI Cobas ucciso durante uno sciopero.

Da mesi le compagne e i compagni di Together for Iran e del Collettivo Rivoluzionario Jina organizzano iniziative a sostegno della lotta delle donne, e di ampi strati della società iraniana contro la tirannia del potere islamico, un potere capitalistico sotto veste religiosa, la cui azione repressiva colpisce in modo particolare le donne e i lavoratori, e negli ultimi mesi ha causato quasi 500 morti e 20 mila arresti, con condanne a morte e violenze sulle persone arrestate. Allo stesso tempo queste organizzazioni si oppongono al tentativo delle potenze occidentali di utilizzare le proteste di massa in Iran per realizzare un “regime change” a proprio favore, e far salire al potere i loro uomini. L’insurrezione in Iran appare oggi in ritirata sotto i colpi della repressione, ma presto o tardi riprenderà più forte e organizzata, e saranno i lavoratori a darsi le future forme di governo e di organizzazione sociale.

Con semplicità e in modo toccante la compagna ha collegato la sanguinosa guerra Iran-Iraq del 1980-88 (500 mila morti) alla guerra in corso in Ucraina, entrambe alimentate dalle maggiori potenze. E ha denunciato con forza le politiche anti-immigrati e il razzismo subiti in Italia da parte di governi e di padroni che ne traggono profitto in termini di maggiore sfruttamento.

Una testimonianza e una forte denuncia della guerra imperialista e del razzismo all’unisono con i sentimenti internazionalisti delle centinaia di lavoratori presenti, in gran parte immigrati.

Una sola classe, una sola lotta!

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La nostra infanzia in Iran l’abbiamo trascorsa in guerra, una guerra durata otto anni che non ha avuto altro che distruzione, prezzi elevati, povertà, morti e sfollati per il nostro popolo e per l’Iraq. Abbiamo visto come il nostro governo ha esteso la guerra di 2 anni per altri 6 anni per governare sempre più facilmente, e abbiamo visto come ciascuna delle potenze mondiali ha venduto armi all’Iran e all’Iraq in questa guerra e ha contribuito alla sua continuazione.

Oggi vediamo la stessa guerra in Ucraina e ne sentiamo l’ombra minacciosa sul movimento “Donna, Vita, Libertà”, un movimento guidato da donne, persone emarginate e lavoratori.

Quando siamo venuti in Italia da giovani per mancanza di libertà e sicurezza economica, abbiamo affrontato per anni leggi crudeli sull’immigrazione: permesso di soggiorno, o meglio permesso alla vita, che va fatto una volta all’anno per 5-10 anni, nelle umilianti code dell’ufficio immigrazione, rilasciandolo tra molti “ma”, “se”, come se fosse un favore. Molti di noi sono entrati nel mercato del lavoro dopo la laurea e hanno dovuto affrontare una nuova ondata di sfruttamento e umiliazione: contratti di stage e apprendistato che erano tutt’altro che un contratto e una formazione lavorativa. Accettammo questi crudeli contratti che non coprivano l’affitto del nostro letto e non valevano come contratto per il permesso di soggiorno, solo nella speranza che dopo ciò il datore di lavoro mantenesse la sua promessa verbale e ci assumesse, e per poter avere di nuovo il diritto di prolungare la nostra residenza o il diritto alla vita per un altro anno.

Sì, ci siamo resi conto che tutto era stato pianificato per noi fin dall’infanzia: essere il terzo mondo, essere in guerra e in povertà e restarci, che anche se fossimo riusciti a migrare in un posto migliore, saremmo comunque stati umiliati e sfruttati. 

Siamo qui per dire che, insieme al popolo ucraino, condanniamo il suo sfruttamento da parte della Russia e della NATO. Per dire che siamo con i lavoratori e gli immigrati d’Italia, e il nostro messaggio è lo stesso:

no alla guerra, no allo sfruttamento, sì a donna, vita, libertà.

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