Dietro il sipario della Coppa del mondo, lo sfruttamento e il sangue degli immigrati

Il 20 novembre è iniziato il grande spettacolo, la Coppa del mondo di calcio 2022 a Doha, Qatar. Il palcoscenico è spettacolare, è stato preparato con ciclopiche opere infrastrutturali durate un decennio. L’insieme dei progetti lanciati nel paese in vista dei Mondiali è calcolato in 300 miliardi di dollari, di cui oltre 200 legati all’evento sportivo. È stato costruito un nuovo aeroporto, una rete metropolitana e stradale, sette nuovi stadi con un’architettura scenografica che riecheggia le tende beduine, le dune del deserto, un copricapo tradizionale, una lanterna… Una intera nuova città, a 50 chilometri dalla capitale Doha. E non manca l’esibizione dell’utilizzo di materiali riciclati, di vaste piantagioni di alberi, insomma un’eco-sostenibilità rispettata!

La sostanza è l’opposto. Un’urbanizzazione selvaggia che ha cementificato almeno otto milioni di metri quadrati di terra, l’equivalente di 1.140 campi di calcio.[1] Nei trenta giorni di tornei calcistici il Qatar, che con i suoi circa due milioni e mezzo di abitanti è il primo paese al mondo per emissioni inquinanti pro-capite, inquinerà quanto un paese quasi 30 volte più grande.

Ma cosa importa l’ambiente se, per il dispotico, repressivo, reazionario regime mediorientale, capeggiato da oltre un secolo dal clan famigliare Al-Thani, la Coppa del mondo è l’occasione di un rilancio infrastrutturale? Con un previsto apporto all’economia calcolato in 20 miliardi di dollari, pari all’11% del suo Pil del 2019?

Proscenio spettacolare dicevamo. Spettatori da tutto il mondo, quasi tre milioni i biglietti venduti, con i principali protagonisti, i calciatori, profumatamente retribuiti; per la potente federazione mondiale del calcio, la FIFA, introiti di 6,5 MD$, con un giro d’affari complessivo sui 17 MD$.[2] Gli antefatti che hanno portato all’assegnazione dei Mondiali al Qatar parlano di ampia corruzione, giro di tangenti e mazzette. Nel 2015 scoppiò il cosiddetto “FIFAgate”… Sarebbero ad es. stati dati 1,5milioni$ a tre funzionari FIFA per comperarne il voto, come dichiarato nel 2011 da una ex dipendente del comitato qatariota per i mondiali.

Nel racconto di questa epopea mancano però i veri, fondamentali protagonisti.[3]

Sono i lavoratori immigrati da India, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka, Pakistan, Filippine, Kenya e un’altra decina di paesi – quasi 2milioni di uomini e donne, il 90% della forza lavoro di un paese con una popolazione di 2,9 milioni – che da decenni fanno prosperare la sua economia e che hanno reso possibile anche l’attuale “miracolo” sportivo, con il loro sudore e spesso con la loro stessa vita.  

Sono 6750 i lavoratori immigrati, per la maggior parte giovani, 25-40 anni, morti per la Coppa del mondo in dieci anni, nel 2011-2020. Il loro numero è stato calcolato dal giornale britannico Guardian sulla base di fonti governative di soli cinque paesi del SE asiatico, India, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka e Pakistan. Una media di 12 caduti ogni settimana.

Il calcolo è per difetto, mancando i dati sui morti degli immigrati da altri paesi, come pure quelli degli ultimi mesi del 2020.

Sono morti cadendo dalle impalcature, fulminati da fili elettrici scoperti nei loro miseri dormitori, colpiti da improvviso arresto cardiaco, esauriti dalla fatica di 12 ore di lavoro nel caldo torrido che per quattro mesi può raggiungere i 50°, periti per il negato accesso alle cure sanitarie, e anche suicidi per disperazione, (200 i soli suicidi nepalesi in dieci anni).

Disperati per le condizioni di lavoro, 11-12 ore al giorno per sei-sette giorni la settimana; i continui maltrattamenti psicologici e fisici costretti a subire da parte dei capi, i salari pagati in ritardo o non pagati, in ogni caso inferiori al pattuito – da 0,50-1,5€ l’ora; gli straordinari non retribuiti, le ingiustificate multe e riduzioni della paga; le condizioni disumane degli alloggi, sovraffollati e antigienici, la scarsità di cibo e acqua, il divieto di cambiare lavoro o di abbandonare il paese, grazie al sistema del kafala (da kafeel, il caporale)[4] che lega il dipendente al padrone, una specie di schiavitù, rafforzata dal sequestro dei passaporti.

E disperati per la prospettiva di non riuscire, dopo anni di lavoro spesso forzato,[5] neppure a ripagare il costo del viaggio e dell’ingaggio estorto dal caporale di turno.

Il presidente FIFA Infantino, insieme ai media interessati al business – soprattutto pubblicitario – dei Mondiali, accusa di ipocrisia chi denuncia lo sfruttamento degli immigrati in Qatar, perché anche sotto il pulpito di chi predica bene si razzola male. L’Italia e l’Europa, è vero, con le loro leggi anti-immigrazione, hanno sulla coscienza 25 mila morti in fondo al Mediterraneo, e i lavoratori immigrati costituiscono ovunque, in Italia in particolare, una quota più che proporzionale degli omicidi bianchi sul lavoro, perché adibiti ai lavori più pericolosi e pesanti. Demonizzare il solo Qatar è ipocrita. Ma non lo è denunciare lo sfruttamento e il sangue su cui è allestito lo spettacolo dei Mondiali, insieme allo sfruttamento del capitalismo ovunque, alle leggi anti-immigrati e alla guerra imperialista che in Ucraina come in Yemen e in molti paesi africani uccide decine di migliaia di persone per gli stessi interessi capitalistici.

Alla denuncia contro il Qatar aggiungiamo oggi la denuncia delle responsabilità dell’imperialismo italiano che fa lucrosi affari con il regime qatariota.

Se la Nazionale italiana di calcio non ha potuto partecipare al torneo calcistico, saranno però presenti circa 600 militari e carabinieri italiani, con mezzi e armamenti terrestri, navali ed aerei, assieme ai contingenti di Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Pakistan e Turchia repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, a supporto della difesa e sicurezza del campionato, per un totale di circa 5000 militari. Costo di questa missione militare chiamata Orice, quasi 11 milioni di €. La durata dell’operazione Orice si estende oltre il mese dei mondiali di calcio. Questo perché le sue motivazioni reali vanno ben aldilà della sicurezza dell’evento sportivo, e sono il “rafforzamento della sicurezza del Golfo Persico e la valorizzazione degli interessi nazionali in un’area di importanza strategica”, come espresse nella delibera del Consiglio dei ministri (15 giugno, ’22).

Ricordiamo che l’Italia è la principale fornitrice di armi al Qatar, tramite soprattutto Leonardo e Fincantieri.  Ricordiamo anche che da anni la polizia qatariota è addestrata dai Carabinieri italiani.

Nel novembre 2020, l’allora ministro italiano della Difesa, il PD Lorenzo Guerini, si recò in Qatar per rafforzare la cooperazione militare e industriale, definire importanti commesse militari e l’esportazione di nuovi sistemi di armamenti per Leonardo Finmeccanica, e per programmi di addestramento in Italia di corpi di fanteria, artiglieria e cavalleria qatarini.

Nel solo 2022 Leonardo ha venduto sei caccia addestratori, nel quadro di un accordo che prevede anche la formazione di piloti qatarioti presso basi aeree italiane (Galatina, Lecce; Decimomannu, Cagliari; Salto di Quirra, Nuoro); ha consegnato due elicotteri multiruolo e due pattugliatori offshore, e fornirà alla Marina militare del Qatar un Centro operativo navale per il monitoraggio delle proprie acque territoriali.

Continuano inoltre ad essere presenti nell’Emirato i grandi gruppi nostrani, da ENI ai già citati Leonardo e Fincantieri, a WeBuild (ex Salini Impregilo), Cimolai Spa e PSC Spa (impiantistica), Marcegaglia.

Lo stadio Al-Bayt, dove c’è stata l’inaugurazione della Coppa 2022, è stato realizzato dall’italiana WeBuild, con un appalto da 770 milioni di euro, insieme alla Cimolai Spa e all’azienda qatarina Galfar Misna, unite nella joint venture GSIC JV. L&P JV, un’altra joint venture formata dai gruppi italiani Leonardo e PSC Spa, nel 2016 si è aggiudicata la gara per l’installazione e il testing di alcune componenti dello stadio.

Eni è socia con il 25% di QatarEnergy nel mega progetto GNL in Qatar, NFE – North Field East, un giacimento offshore a nord-est dell’emirato con riserve stimate pari al 10% delle riserve di gas naturale liquefatto globali, che potrebbe accrescere del 60% la produzione di Gnl del Qatar, e dal 2026 essere esportato in Italia. Il suo sfruttamento è però considerato una “bomba climatica”. Con questa partecipazione Eni espande la sua presenza in Medio Oriente e accede a uno dei maggiori produttori globali di GNL, con riserve di gas naturale tra le più grandi al mondo.

Il Qatar è corteggiato per il suo gas anche dalla Cina che di recente ha firmato un super-contratto 27ennale per il GNL, accordo che suscita l’invidia dei paesi europei perché avrebbe strappato sicurezza di approvvigionamenti e a prezzi più bassi.

Il gruppo Marcegaglia, della ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, ha fornito le impalcature per tre dei più importanti stadi, Al Bayt, Lusail e 974.

Meloni ha ricucito con l’Egitto che imprigiona e ammazza gli oppositori, tra cui Giulio Regeni e Patrik Zaki, perché ‘business is business’! Con la stessa logica anche per il Qatar l’esecrazione lascia il posto agli affari tra i capitalisti.

È importante che i milioni di immigrati del Golfo riescano a organizzarsi e che ad essi si colleghino i lavoratori combattivi degli altri paesi. Non saranno le ONG e i media a dare loro libertà e dignità, ma la loro stessa lotta e il sostegno dei loro compagni di classe.

Delle vite, dietro le statistiche

Madhu Bollapally, 43 anni, ha lasciato la moglie Latha e il figlio Rajesh di 13 anni in India per accettare un lavoro in Qatar nel 2013.
Una sera di fine 2019, il suo compagno di stanza è tornato al dormitorio ed lo ha trovato il disteso per terra. Come migliaia di altre morti improvvise e inspiegabili, la sua scomparsa è stata registrata come insufficienza cardiaca per cause naturali.
La moglie e il figlio hanno ricevuto solo 114.000 rupie (1.120 sterline) come risarcimento e stipendio non pagato per i suoi sei anni di lavoro.
[Guardian, 23 febb. 2021)
Latha Bollapally, con il figlio Rajesh Goud, mostra una foto del marito, Madhu Bollapally, 43 anni, un lavoratore migrante morto in Qatar.

Mohammad Shahid Miah, 29 anni, dal Bangladesh, è morto fulminato da un corto circuito prodotto con un cavo elettrico scoperto dall’acqua di un’alluvione che ha allagato la sua stanza.

[1] Analisi IrpiMedia e Placemarks, con rilievi satellitari.

[2] https://www.money.it/mondiali-2022-qatar-giro-affari-fiume-soldi-fifa

[3] Su questo argomento vedi anche il nostro art del 2015: https://www.combat-coc.org/qatar-una-coppa-del-mondo-insanguinata-antiche-e-nuove-schiavitu-salariate-3/

[4] Cfr. Council on Foreign Relations: https://www.cfr.org/backgrounder/what-kafala-system

[5] L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha documentato nel 2020 almeno 9000 casi di lavoro forzato.

Stato e imprese italiani collusi con il regime qatariota