DOPO LA BARBARIE DI PARIGI

Pubblichiamo la traduzione di un articolo della francese Initiative Communiste Ouvrière, collegata alla corrente del Comunismo Operaio di Iran e Iraq sugli attentati di Parigi, l’ISIS e la situazione mediorientale

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I barbari attacchi commessi da Daesh a Parigi e a Saint-Denis non possono che far inorridire chiunque abbia un minimo di umanità. Colpendo, un venerdì sera, uno stadio, dei bar e ristoranti e il Bataclan, l’obbiettivo dei terroristi era di massacrare il maggior numero di persone possibile, di qualunque origine, nazionalità, religione o colore della pelle.

Di fronte ad una tale esplosione di barbarie, la prima legittima reazione è l’emozione, la collera, la tristezza, il lutto e il pensiero per le vittime, le loro famiglie, i loro cari e i loro amici. Ma questi sentimenti umani non devono impedire la riflessione, al contrario, e soprattutto non devono condurci al traino dei Valls, degli Obama, dei Putin, degli Assad, dei Rohani, degli Erdogan, dei Saoud e degli altri governanti di questa terra.

Un mondo in guerra permanente

Daesh non è un gruppo di psicopatici spuntati dal nulla. È allo stesso tempo un gruppo terrorista, una setta religiosa e una struttura statale. L’islamismo politico è nato negli anni ’20 con l’emergere dei fratelli musulmani, ma è nel 1979 che questa corrente è diventata una grande forza politica in Asia e Africa per schiacciare la rivoluzione iraniana. Negli anni ’80, vengono giustiziati centinaia di migliaia di oppositori della Repubblica Islamica. Assumendo forme diverse a seconda dei paesi, l’islamismo politico si rafforza, e diventa anche l’ideologia di molte bande armate con l’emergere dei Talebani e poi di Al-Qaeda in Afghanistan. Questi gruppi trovano nei paesi in guerra un terreno fertile per svilupparsi, in particolare nell’Irak occupato a partire dal 2003, ma anche in Somalia con l’Unione dei Tribunali Islamici, le GIA poi le GSPC e AQMI in Algeria, ecc. È in Siria, nel contesto della guerra civile scatenata da Bashar Al-Assad per conservare il potere contro la sollevazione popolare, che compare Daesh da una scissione di Al-Qaeda. Impadronendosi del potere in alcune aree della Siria e dell’Irak, Daesh instaura da subito l’ordine del terrore contro la popolazione: politica di genocidio contro le minoranze yazidi, sciite e cristiane, riduzione in schiavitù delle donne, esecuzioni sommarie…

E se la Siria è sulle prime pagine, bisogna sottolineare che molte altre zone del mondo vivono in uno stato di guerra e caos senza fine. Prendiamo l’Afghanistan: è dal 1979 che questo paese non conosce una vera e propria pace. L’Irak ha conosciuto prima la guerra con l’Iran dal 1981 al 1988, poi la guerra del 1990-1991, un embargo micidiale, e infine uno stato di guerra permanente dal 2003. La Somalia è insanguinata dalla guerra civile dal 1991. Dal 1996, la guerra è permanente nella regione del Kivu nella Repubblica Democratica del Congo. Dal marzo 2015, l’Arabia Saudita e l’Iran, cioè i due principali poli politici oscurantisti, si fanno guerra nello Yemen. E si può aggiungere anche il conflitto nell’Est dell’Ucraina dal 2014.

Queste guerre appaiono tanto più atroci e interminabili per il fatto che non oppongono due forze ben determinate, una delle quali finirà per vincere, ma una moltitudine di bande armate che hanno alle spalle l’appoggio e gli interessi contraddittori di molti Stati regionali e potenze imperialiste.

In Siria, la Russia interviene militarmente dalla fine del settembre 2015 per sostenere Bashar Al-Assad. La Repubblica Islamica d’Iran interviene anch’essa militarmente al fianco di Bashar Al-Assad tramite le milizie di Hezbollah. Anche la Cina sostiene il regime di Bashar Al-Assad. Al contrario, il Qatar e l’Arabia Saudita danno il loro appoggio al fronte Al-Nusra, la branca siriana di Al-Qaeda, e questo ancor prima della scissione da cui nascerà Daesh. Il regime di Erdogan in Turchia sostiene dal canto suo Daesh, non soltanto per fronteggiare il suo rivale Al-Assad, ma anche e soprattutto per schiacciare la resistenza curda. Bisogna notare che i tre attentati commessi nel 2015 da Daesh in Turchia, a Diyarbakir, a Suruç e ad Ankara, hanno preso di mira ogni volta l’opposizione al regime di Erdogan, perché si trattava rispettivamente di un meeting dell’HPD, di un raduno di socialisti internazionalisti e di una manifestazione per la pace, la democrazia e i posti di lavoro. E gli attacchi militari turchi mirano essenzialmente, in nome della lotta contro il terrorismo, alle basi curde, così come la repressione si abbatte non contro gli islamisti, ma contro militanti dell’estrema sinistra, della sinistra o dei democratici.

Quanto agli Stati come la Francia e gli Stati Uniti, essi intervengono in Siria contro Daesh e contro Bashar Al-Assad. In definitiva in Siria si sovrappongono due conflitti: una guerra contro Daesh dentro la quale viene portata avanti un’altra guerra tra la Russia e i suoi alleati da un lato, e dall’altro gli Stati Uniti, la Francia e i loro alleati, alcuni dei quali continuano a sostenere Daesh di nascosto, come la Turchia. Anche il regime di Bashar Al-Assad, pur essendo ufficialmente in guerra contro Daesh, ha in passato favorito l’ascesa di questi fanatici oscurantisti per servirsene da contraltare tanto nella politica interna che su scala internazionale. E mentre sembra delinearsi un’alleanza tattica temporanea tra Stati Uniti, Francia e loro alleati da un lato, e Russia, Cina e loro alleati dall’altro contro Daesh, questa alleanza non durerà che per un tempo relativamente breve, non impedirà gli scontri per procura altrove, come nel Donbass o in altri luoghi. In questo conflitto come in tutti gli altri, gli Stati non intervengono, nonostante le dichiarazioni ufficiali, per questa o quell’altra ragione ideologica, ma unicamente per difendere i loro interessi geostrategici ed economici. È per questo, per esempio, che Bin Laden è stato sostenuto a lungo dagli Stati Uniti prima di diventare il loro «nemico pubblico numero 1», che Putin ha dato pieni poteri all’islamista nazionalista Ramzan Kadyrov in Cecenia, e che i governanti di paesi oscurantisti come l’Arabia Saudita o l’Iran sono regolarmente invitati in gran pompa in tutto il mondo.

È sempre per questo motivo che lo stato di guerra di ampie regioni del mondo è anche una fonte di sostanziosi profitti per i capitalisti. Si prevede che il 2015 sarà un «anno record» per l’industria bellica francese, con commesse per 15 miliardi di euro. L’intervento militare in Libia è stato una pubblicità su grande scala per gli aerei Rafale che ormai vengono venduti a Quwait, India, Qatar ecc. Del resto, all’indomani degli attentati di Parigi, il maggior fabbricante di armi francese, Thalès, ha avuto un rialzo del 3% in Borsa. Lo stesso vale per gli Stati Uniti dove le quotazioni dell’industria delle armi sono balzate dal 2 al 3% all’apertura dei mercati lunedì 16 novembre.

Già Jaurès diceva che «il capitalismo porta in sé la guerra come le nubi portano il temporale». In un mondo in stato di guerra, è impossibile mantenere qua e là isole di pace durevole. E la vecchia previsione «socialismo o barbarie» dimostra ancora una volta il suo valore. E in questo mondo in guerra, in questa discesa agli inferi della barbarie generalizzata, appare particolarmente appropriato il vecchio ritornello della canzone: «i mascalzoni che causano le guerre non vi periscono mai, quelli che vengono uccisi sono soltanto gli innocenti».

Che fare?

La prospettiva rivoluzionaria del socialismo, di una società umana che ponga fine alla barbarie, deve essere mantenuta, ma si tratta di una prospettiva di lungo termine. Ma già oggi dobbiamo fare alcune considerazioni. Per quanto barbari siano gli attentati di oggi a Parigi, di ieri a Londra e New York, bisogna ricordare che le prime e principali vittime della barbarie degli oscurantisti religiosi sono le popolazioni dei paesi dell’Africa, del Medio Oriente e del subcontinente indiano.

Come ricorda la compagna Mariam Namazie: «Nel solo mese in corso sono morti sette hazara, tra i quali una bambina di nove anni decapitata da Daesh; e Rokhshana 19 anni, lapidata dai talebani in Afghanistan; una fossa comune di donne yazide scoperta dopo che Daesh è stato cacciato da Sinjar; attentati dinamitardi per le strade di Baghdad e Sadr City che hanno ucciso 41 persone; le esplosioni gemelle a Beyruth in Libano, che hanno causato almeno 43 vittime; un aereo di linea russo abbattuto con 224 persone a bordo; almeno 4 persone uccise in un attacco suicida nel Sinai in Egitto; un editore laico e tre altre persone ferite nel Bangladesh; almeno 32 persone, compresi 4 bambini, uccisi in un attacco suicida in Pakistan; 30 persone uccise e decine di feriti nel doppio attacco suicida nello stato di Borno in Nigeria …

Innumerevoli altri sono stati uccisi – non dai jihadisti, ma legalmente, dagli stati islamisti secondo le leggi della sharia: 100 esecuzioni in Arabia Saudita in sei mesi e 700 in Iran nello stesso periodo. L’attuale presidente Rouhani, che doveva venire in Francia, ha presieduto all’esecuzione di 2000 civili durante i due anni del suo mandato

Un numero ancora superiore di persone languisce in carcere – persone come Raif Badawi e Atena Faraghdani – sottoposti al giogo delle guardie carcerarie, con obbligo di portare il velo, la segregazione di genere, e anche il divieto di ridere ad alta voce o di ascoltare musica.»

Mariam aggiunge: «Nonostante questa situazione devastante, c’è speranza. Proprio la settimana scorsa, delle donne sono scese in piazza per tentare di opporsi alla lapidazione di Rokhshana, in decine di migliaia si sono opposti alle decapitazioni in Afghanistan e i peshmerga hanno liberato Sinjiar dal giogo di Daesh, ammainandone la bandiera e issando quella curda.»

Dobbiamo sottolineare che mentre l’intervento in Afghanistan nel 2001 e quello in Irak nel 2003 non sono riusciti a far arretrare i movimenti islamisti, le forze dell’YPG hanno al contrario conseguito vittorie decisive contro Daesh, come quelle a Kobane e poi a Sinjiar. Al di là delle nostre critiche alla politica del PKK, è una resistenza armata basata su milizie popolari, a base locale, e non un esercito ufficiale quella che ha fatto arretrare Daesh. E in prima linea, vogliamo sottolineare, si vedono delle donne, principale bersaglio della politica misogina e di apartheid sessista degli oscurantisti. Anche i nostri compagni del Partito Comunista Operaio del Kurdistan hanno organizzato milizie di autodifesa contro Daesh. La speranza di porre fine al terrorismo islamista, che si presenti sotto la bandiera di Daesh, di Boko Haram, di Hezbollah, di al-Qaeda, o altro, si fonda soprattutto sulle mobilitazioni delle popolazioni, delle donne, della classe operaia, etc.

No, non è in corso una “guerra di civiltà” tra un “Occidente evoluto” e un “Oriente arretrato”, ma uno scontro a scala mondiale tra umanità e barbarie, tra sfruttati e sfruttatori, tra il progresso sociale, la libertà e l’eguaglianza da un lato, la reazione, la misoginia e l’oppressione dall’altra. Le lotte degli operai dell’auto di Bursa, la rabbia dei salariati del Pubblico Impiego nel Kurdistan iracheno, il movimento contro la corruzione e il settarismo in Irak, le lotte operaie in Iran, e anche la comparsa di movimenti delle donne, o di manifestazioni dei disoccupati in Afghanistan sono esempi che dimostrano che, in Medio Oriente come altrove, esiste un’alternativa alla barbarie generata dal capitalismo.

E questa lotta, al di là del concreto sostegno ai nostri compagni in Medi Oriente, dobbiamo condurla anche qui da noi. Da carogna, l’estrema destra razzista tenta di strumentalizzare gli odiosi attentati commessi da Daesh a Parigi e a Saint Denis. A Lille e a Metz, militanti neo-fascisti hanno tentato di partecipare alle manifestazioni in memoria delle vittime per vomitare il loro odio xenofobo. In diverse città sono stati segnalate scritte razziste e appelli all’omicidio. A Pontivy, un passante maghrebino è stato aggredito con violenza dai neo-nazisti dell’ADSAV. A Cambrai hanno sparato contro un uomo di origine turca solo a causa del colore della sua pelle.

In qualsiasi contesto, il razzismo è una vergogna per l’umanità. La propaganda delle canaglie xenofobe è particolarmente ripugnante dopo la carneficina compiuta da Daesh a Parigi, dove tra le vittime ci sono persone di confessioni religiose, origini e nazionalità diverse. A questo proposito facciamo notare che l’estrema destra razzista è capace delle stesse azioni barbare dell’estrema destra islamista, come dimostrato dai recenti crimini commessi in Germania, Norvegia e Stati Uniti.

È più che mai urgente lottare contro il razzismo, combattere l’estrema destra nazionalista che cerca di strumentalizzare la barbarie dell’estrema destra oscurantista. Più che mai dobbiamo gridare con forza “benvenuti rifugiati!”. Quello da cui fuggono i rifugiati di Siria, Irak, Sudan e altrove, sono le stesse bombe, gli stessi terroristi, la stessa barbarie, ma a misura quotidiana, che si sono abbattuti a Parigi venerdì 13 novembre.

Infine, di fronte alle nuove misure annunciate, dobbiamo difendere le nostre libertà, in particolare quella di manifestare. Ci preoccupa il fatto che, pochi giorni dopo gli attentati, siano stati mobilitati i poliziotti del RAID per espellere gli occupanti di Lille, come pure le restrizioni alla libertà di manifestazione nell’Île de France. E se il governo chiama all’Union Sacrée per far tacere le nostre rivendicazioni, dobbiamo sottolineare che dopo gli attentati, come prima, il padronato continua a licenziare e il governo continua a portare avanti lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e delle nostre garanzie collettive.

Non dobbiamo assolutamente accettare la restrizione del nostro diritto a lottare e difenderci contro gli attacchi padronali, non dobbiamo assolutamente accettare restrizioni alla nostra libertà di organizzazione, di sciopero e di manifestazione!

Forse dovremo remare contro corrente per qualche tempo, ma è il solo modo per sperare che un giorno porremo fine a questa società che non porta che guerre, miseria, caos e barbarie, per aprire la prospettiva di un mondo migliore, liberato dagli interessi geostrategici, economici e finanziari degli stati borghesi, quello di una umanità liberata, in breve del comunismo.