Pagine Marxiste n. 50 (dicembre 2021)

Sommario:

  1. UNA RIFORMA FISCALE PER I RICCHI (pag. 4)
  2. ALGERIA: LE MIRE DELL’ IMPERIALISMO ITALIANO IN NORD AFRICA (pag. 6)
  3. Nell’Indo-Pacifico, assieme a fiorenti flussi commerciali, proliferano alleanze ed esercitazioni belliche (pag. 12)
    I MILLE GIORNI DI BOLSONARO (pag. 18)
  4. GERMANIA. Dopo le elezioni (pag. 24)
  5. BORDIGA 1926-1944: “ANNI OSCURI”? (pag. 26)
  6. DIECI ANNI DI LOTTE PER LA SICUREZZA NELLE FERROVIE (pag. 31)
  7. Nel 50° anniversario del grande sciopero dei minatori del Regno Unito. Omaggio a Freddie Matthwes (pag. 34)

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EDITORIALE

Da quasi due anni la vita quotidiana degli 8 miliardi di persone, dal lavoro alla scuola alla socialità e svago, la stessa economia con le sue fabbriche, la distribuzione e le Borse, sono alla mercé di un invisibile virus e delle sue imprevedibili mutazioni.

Altre generazioni dell’umanità si sono trovate di fronte alla minaccia esistenziale di virus o batteri, dalla peste nera alla spagnola, affrontate secondo le conoscenze e superstizioni del tempo: processioni (che contribuivano alla diffusione del virus) preghiere, esorcismi, cacce agli untori e alle streghe. Oggi che l’avanzamento delle conoscenze scientifiche ha permesso di trovare vaccini, anche se a protezione parziale, la reazione alla pandemia reca l’impronta dei rapporti di produzione capitalistici: prima la pressione degli interessi particolari (industriali, commerciali, ecc.) a negare per tenere aperti gli affari a scapito di migliaia di morti (da Bergamo a Londra, Washington, San Paolo), poi a usare il vaccino per il “liberi tutti” col green pass che, in mancanza di un ferreo tracciamento-isolamento dei contagi quando questi erano pochi, ha aperto al rimbalzo delle economie e dei profitti, ma anche alla quarta ondata, favorita dalla darwiniana selezione della variante delta e dal calo degli anticorpi pochi mesi dopo l’ultimo vaccino; questo nelle metropoli.

Nei paesi poveri ancora si aspettano i vaccini, finora venduti ai “migliori offerenti, cioè ai paesi ricchi, a prezzi che vanno da 5 a 40 volte il “prezzo di costo (quello che garantisce un profitto medio). A giugno Pfizer aveva venduto il suo vaccino a un prezzo medio di 16 dollari contro un costo stimato di $1,18, Moderna tra $19 e 24 contro un costo di $2,85, e la cinese Sinopharm avrebbe venduto fino a $40 contro un costo di $0,80 per dose. Mentre big pharma brinda ai superprofitti pandemici, e sforna le terze dosi per i paesi ricchi, solo la giovane età media delle popolazioni dei paesi poveri ha evitato finora catastrofi demografiche peggiori.

Per evitare che la caduta dell’attività economica causata dai lockdown avviasse una spirale recessiva i governi dei paesi ricchi hanno iniettato migliaia di miliardi di dollari nell’economia (soprattutto al “mondo degli affari” della grande e piccola borghesia, ma e in parte anche a chi è rimasto senza lavoro), abbandonando i vincoli del pareggio di bilancio santificati negli anni con le politiche di austerità sulle spalle dei lavoratori e lasciando salire i loro debiti pubblici a livelli mai visti dopo la Seconda Guerra mondiale. Il rimbalzo delle economie, che ha superato le attese, sta provocando squilibri e strozzature: la flotta mercantile mondiale non basta a trasportare tutte le merci che soprattutto americani ed europei acquistano dalle fabbriche dellAsia (Cina in testa), e questo ha fatto esplodere anche di 5 volte il costo dei noli marittimi (con evidenti iperprofitti dei grandi armatori e vettori marittimi, mentre allo stesso tempo limpennata della produzione in Asia ha trovato strozzature nella produzione mineraria di metalli e altre materie prime, con impennata dei loro prezzi (e iperprofitti delle società minerarie), mentre le fabbriche di automobili non possono soddisfare la domanda perché i pochi stabilimenti per la produzione dei microprocessori richiesti per i nuovi modelli, soprattutto elettrici, non riescono a produrne abbastanza (in attesa che i nuovi giganteschi impianti progettati – ad esempio lo stabilimento Samsung da 17 miliardi di dollari in Texas – entrino in produzione nei prossimi anni, aumentano i prezzi incassando superprofitti). Anche petromonarchie e petroligarchi hanno approfittano della situazione, frenando lestrazione e alzando la rendita da petrolio (passato da meno di 20 a 70-80$ il barile) e soprattutto da gas, il cui prezzo è quasi quintuplicato in Europa a seguito della stretta sulle forniture da Russia e Algeria, facendo salire anche i prezzi dell’elettricità.

Ripresa squilibrata dunque, in cui i superprofitti di coloro che sono collocati sulle strozzature determinano l’aumento dei prezzi dei prodotti a valle, fino al consumatore, quindi i sovrapprofitti saranno pagati dai lavoratori che si vedono decurtato il potere d’acquisto dei salari, se non lottano per significativi aumenti.

Negli USA la scarsità di manodopera sta favorendo il fenomeno delle dimissioni per andare a lavorare dove offrono di più – e in alcune aziende i lavoratori hanno preso coraggio e scioperato, come alla John Deere, un mese di sciopero e un aumento del 10%. In Italia invece la disoccupazione resta alta, e a parte pochi tecnici ad alta qualificazione, i padroni dettano condizioni e ricatti assumendo a tempo determinato e lavoratori interinali, approfittando delle mani libere date loro dai governi Conte II e Draghi, che con il pretesto dell’emergenza pandemica hanno tolto la necessità di condizioni di temporaneità (la causale) per il rinnovo dei contratti a tempo determinato, e si è data possibilità alla contrattazione di estendere la durata dei contratti a tempo determinato fino a 24 mesi. I padroni ne stanno approfittando, con la sostituzione di lavoratori stabili con lavoratori precari, che costano meno e possono essere spremuti con ritmi di lavoro inumani.

È quanto stanno facendo le grandi imprese della logistica: eliminazione dei lavoratori sindacalizzati che in anni di lotte avevano conquistato migliori condizioni di lavoro e salari decenti, con lavoratori a termine e interinali, spesso in nuovi impianti con elevata meccanizzazione (è la linea della Fedex che ha chiuso il magazzino di Piacenza licenziando 272 lavoratori, per poi aprirne uno vicino a Novara, ma anche SDA con la chiusura di Carpiano nel 2017 per aprire un nuovo hub a Landriano): combinando così il “plusvalore assoluto” estorto con l’aumento dell’intensità lavorativa e la riduzione del salario con il “plusvalore relativo” ottenuto aumentando la produttività con la meccanizzazione. Alla DHL le federazioni dei trasporti di CGIL, CISL e UIL hanno firmato un accordo che prevede di arrivare al 45% di personale precario contro il limite di legge del 20%; alla UNES, catena di supermercati lombarda, hanno licenziato 48 lavoratori nella preparazione dei prodotti freschi, “colpevoli” di aver scioperato, per sostituirli con interinali da schiavizzare: è il modello Amazon che avanza, trovando resistenza purtroppo solo nelle battaglie condotte dal SI Cobas, contro colossi di-sposti ad assorbire perdite per parecchi milioni, e pronti ad approfittare delle difficoltà dei lavoratori licenziati per comprare la loro rinuncia alla lotta con buonuscite più o meno sostanziose.

Non si tratta solo di lotta sindacale in alcune aziende, si tratta di lottare contro un sistema complessivo di sfruttamento promosso dal governo che schiaccia sotto la sua cappa le condizioni di milioni di lavoratrici e lavoratori. È a loro che si vuol far pagare i costi della crisi, con più precarietà e sfruttamento, salari più bassi (secondo l’OCSE l’Italia è l’unico paese europeo in cui il salario reale medio è diminuito, del 2,9%, rispetto al 1990!), mentre imprese e banche segnano record di profitti. Un sistema fiscale sempre più classista, asservito agli interessi della borghesia grande e piccola, accresce l’ineguaglianza e l’oppressione sociale.

Il “governissimo” di Mario Draghi, nato per “fronteggiare la pandemia” e distribuire alla borghesia i soldi del Recovery Fund, ha per ora “acquietato” i “pruriti elettoralistici” di un sistema politico e partitico proiettato verso campagne elettorali permanenti. Si è reso “supplente” di uno squilibrio politico endemico che più volte ha messo in affanno gli interessi dei gruppi trainanti dell’imperialismo italiano. In tal modo quest’ultimo, nei mesi appena trascorsi, ha potuto tirare un sospiro di sollievo. Anche perché il governo Draghi non ha fatto mancare un ulteriore “giro di vite” sul terreno della repressione delle lotte, arrivando al punto di prendere a pretesto il Green Pass per vietare le manifestazioni nel centro-città. Incrociandosi una siffatta (e maldigerita) “tregua” dello scontro parlamentare con la crisi delle principali formazioni politiche (dal M5S, alla Lega, a FI, avendo sullo sfondo la “mina” Renzi) e con l’imminenza delle elezioni del Presidente della repubblica, nessuno è in grado di garantire che la “guerra per bande” non possa riesplodere a breve, innescando una nuova accelerazione dello scontro politico.

Tra i proletari sono soprattutto i giovani a pagare: per loro la precarietà è la regola. E i borghesi fingono di essere sorpresi per l’ulteriore caduta della natalità, scesa sotto 400 mila l’anno, che vorrà dire sempre meno forze lavoro da sfruttare nei prossimi decenni. L’Italia sta diventando una tomba demografica: con i tassi attuali di natalità la popolazione si ridurrebbe di 12 milioni in 50 anni, e già nel 2050 ci saranno 3 anziani per ogni giovane. Ma come possono far figli dei giovani con bassi salari e senza un lavoro stabile, che non possono neppure avere un mutuo e difficilmente anche trovare una casa in affitto, con i costi proibitivi degli asili nido che costringono le madri ad abbandonare il lavoro? Una società ostile alla vita, che va ribaltata dalle fondamenta.

Uno stato che aumenta dell’8% le spese militari, all’interno di un più generale riarmo in Europa e nel mondo, perché il “nemico comune” covid-19 non ha attenuato lo scontro tra la potenza USA egemone da un secolo contro la potenza cinese in ascesa. Il democratico Biden non solo non ha attenuato le misure commerciali contro la Cina prese da Trump, con una tariffa media del 20% (negazione del principio del libero scambio di cui l’America si professava campione), e il veto al 5G di Huawei, ma ha intensificato le provocazioni militari inviando navi da guerra nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan, e stringendo accordi militari anticinesi (vedi articolo a pag. 12), operazioni nelle quali gli USA sono accompagnati dalla Gran Bretagna.

I paesi della UE, tra cui l’Italia, alleati degli USA nella NATO, difficilmente possono trovare una posizione univoca rispetto allo scontro tra Washington e Pechino, per i diversi interessi lungo le diverse direttrici. Per lo stesso motivo è difficile che i propositi ripetutamente annunciati di costruire un esercito europeo e una politica di difesa unitaria europea (recentemen-te anche da parte di Mario Draghi) trovino realizzazione. La Germania ha imponenti investimenti in Cina, che è anche il principale mercato per molte sue imprese, e non può sacrificare questi interessi a un’alleanza subordinata agli USA, che contemporaneamente hanno costruito in Europa Orientale una collana di supporter diffidenti della Russia ma anche della Germania. La nuova ministra degli esteri tedesca, la verde Annalena Baerbock, ha già sfidato la Cina promuovendo l’amicizia Berlino-Taipei, ma non è detto che nel nuovo ruolo non sia più sensibile ai consigli di Volkswagen, Daimler, Siemens & C., tanto più che si sono rinverditi.

Diversa è la collocazione della Francia, che ambirebbe a divenire il fulcro politico e militare di un’Europa alleata alla pari degli USA nel contenimento dell’espansione cinese che scalza l’influenza francese in Africa come in Asia. Quanto all’Italia, ritardataria nella corsa verso l’Asia, se il governo Conte II aveva aperto alla Cina partecipando alla Belt and Road Initiative con lo stesso attuale ministro degli Esteri, Draghi ex managing director e vicepresidente della Goldman Sachs, non perde occasione per ribadire la fedeltà atlantica, e non sembra vedere contraddizione nel perorare l’esercito europeo. D’altra parte l’industria italiana degli armamenti ha legami atlantici (con USA e GB) molto più che europei.

Il recente trattato Francia-Italia sembra voler trovare un compromesso tra i due rivali nel Nordafrica in cambio forse di un orientamento più europeo dell’Italia nel settore militare. Ma le ricorrenti aspirazioni all’autonomia europea nella Difesa sembrano velleitarie in mancanza di una centralizzazione politica che presuppone anche la centralizzazione della spesa militare in un bilancio UE.

Sia che l’imperialismo di casa nostra corra a fianco degli USA nella NATO o che si integri maggiormente con i partner europei, che si schieri o meno nello scontro USA/Cina, occorre che i proletari italiani ed europei si oppongano senza distinguo al militarismo dei propri paesi, contro i propri sfruttatori, in un rapporto di solidarietà con i proletari degli altri paesi e continenti, che deve divenire sempre più concreto e fattivo. Le migliaia di immigrati da Iraq e Medio Oriente gettati nelle paludi tra Bielorussia e Polonia come carte da gioco umane in una cinica partita di politica estera sono la dimostrazione vivente di quanto reazionari e barbari siano tutti i governi, ad Est come ad Ovest dei fili spinati, e della necessità di costruire una solidarietà internazionalista tra proletari.

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