Ex ILVA: LOTTA O CARTE BOLLATE ?

Di fronte al diktat/disimpegno di Arcelor-Mittal sull’ILVA lasciamo ad altri le proposte e le fantasie di ingegneria finanziaria, da una nuova cordata alla nazionalizzazione di una società che è già in mani pubbliche (e fu nazionalizzata da Mussolini). Occorre scindere l’interesse dei lavoratori, dei proletari, da quelli del capitale, non permettere che i padroni di turno scarichino sui lavoratori il prezzo di un mercato dell’acciaio in caduta e sulla popolazione i fumi pestilenziali. Risanamento e salario garantito!

Sembra che siamo giunti in dirittura d’arrivo per la vicenda ex Ilva di Taranto (alias Arcelor Mittal). Il gruppo franco-indiano che solo un anno fa aveva siglato l’accordo per il rilevamento della produzione d’acciaio del colosso italiano (la più grande acciaieria d’Europa) ha deciso di “sganciarsi” dall’affare, adducendo come pretesto il mancato supporto dello “scudo penale” da parte del governo Conte II. Tale “scudo”, che avrebbe permesso la non punibilità penale dei dirigenti della multinazionale per le “magagne” pregresse in tema di sicurezza e ambiente, è in realtà una foglia di fico che serve solo a gettare fumo negli occhi.

Infatti – nei suoi “salti della quaglia”- l’attuale governo italiano, così come i governi precedenti (ci sono stati negli ultimi anni quattro Decreti togli-metti sullo scudo), se da un lato ha dimostrato tutta l’insipienza del parlamentarismo borghese, si era recentemente dichiarato disponibile al reintergo di tale norma. A condizione che Arcelor-Mittal rimanesse a Taranto e rispettasse l’accordo; pur al ribasso. Infatti, nel mentre agli occhi dell’opinione pubblica Conte lanciava il messaggio della fermezza, allo stesso tempo faceva intendere a Mittal che la trattativa si poteva riaprire. E quindi rivedere l’accordo, con tagli di personale e scorporo di produzioni.

Ma la vera motivazione del disimpegno di Mittal non risiede nella giurisprudenza, nella poca affidabilità (che pur esiste) dei governi italiani, e neppure nel presunto fatto che in Italia “non si può investire”, come ripetono a ruota libera i padroni ed i loro politicanti di ogni schieramento (Matteo Salvini in testa), nonostante il continuo ridimensionamento dei diritti dei lavoratori, il costo del lavoro sotto la media europea, gli sgravi fiscali crescenti e i premi all’evasione fiscale.

La vera motivazione sta nella situazione dei mercati e della concorrenza capitalistica; senza naturalmente escludere l’interesse politico francese, ad esempio, nel dare un colpo ben assestato ad una produzione “strategica” dell’imperialismo italiano.

Per questo Mittal, nelle settimane precedenti, ha più volte respinto le offerte di reintegro dello “scudo”, ed ha messo in primo piano la sua necessità di DIMEZZARE l’attuale forza lavorativa (un taglio di ben 5.000 addetti) oltre a quella di RIDIMENSIONARE FORTEMENTE la capacità produttiva dell’impianto di Taranto (da 6 milioni di tonnellate annue a poco più di 4 milioni). Un ridimensionamento atto ad abbattere i costi di fronte ad un calo mondiale della domanda, dovuto in parte anche ai dazi scatenati dalla guerra commerciale USA-Cina. Tant’è che la Mittal ha proprio in questi giorni chiuso un’acciaieria in Sud Africa ed ha sospeso la produzione in Polonia.

“Mentre a Roma si discute Sagunto brucia” dicevano gli antichi. Mentre a Roma ci si preoccupa di trovare la “quadra” tra i grillini e Conte, tra i grillini stessi, tra Conte e Renzi, tra Zingaretti e Conte, circa 20.000 lavoratori (compreso l’indotto) stanno per essere messi in strada. I sindacati confederali, “molto indignati”, si apprestano a celebrare l’ennesimo funerale di quello che fu un grande polo industriale e la più grande concentrazione operaia del Sud. Poi si “mobiliteranno”. Ma con le “passeggiate romane”, preferibilmente di sabato, ormai non fanno più paura neppure alla loro ombra… Come del resto, i lavoratori ex Ilva e la stessa popolazione di Taranto che non vuole crepare di tumore, faranno bene a non fidarsi né dei becchini della Triplice, né delle cause giudiziarie del governo. Abbiamo già dato su questi versanti. Ed abbiamo pagato, stiamo pagando duramente. Ciò che è successo a Bagnoli (né riconversione, né risanamento, ma smobilitazione e degrado) dovrebbe esserci di monito.

I lavoratori ed I cittadini di Taranto e del Sud faranno bene ad organizzarsi in proprio e condurre una lotta, questa sì “dura”, contro padroni, governanti e politicanti per rivendicare una cosa molto semplice, ma essenziale vista la situazione: ACCIAIO O NON ACCIAIO, LAVORO O NON LAVORO, VOGLIAMO VIVERE!

Che si appronti e si renda immediatamente operativo un Piano di riqualificazione ambientale e di Lavori Socialmente Utili in grado di bonificare il territorio e metterlo in sicurezza, di potenziare i servizi sociali, ed occupare così chi perde il lavoro, e chi è già disoccupato. Salario minimo garantito. Redditi dignitosi. Lavorare meno, lavorare tutti.

I soldi? Che escano dalle tasche di chi si è arricchito sulle nostre spalle, cioè i borghesi: Grande Patrimoniale; taglio delle Spese Militari; no alle Grandi Opere, no alla concorrenza tra lavoratori italiani e immigrati.

Su una piattaforma di lotta che diventi sempre più generalizzata ed investa direttamente le centrali (locali e non) del potere padronale ed affaristico, è possibile rialzare la testa, smetterla di essere sudditi dei potentati di turno, e riprendere in mano il nostro futuro!

SOLO UNITI SI VINCE!!!