Geopolitica glaciale –L’iceberg Groenlandia

Il presidente americano Trump ha lanciato un’offerta di acquisto, la Groenlandia. Proposta assurda gli ha ribattuto il primo ministro danese, Fredericksen. Una idea peregrina, o da inquadrare in una strategia ben precisa per un territorio che con il veloce scioglimento dei suoi ghiacci è argomento delle discussioni e delle preoccupazioni dei movimenti ecologisti sul cambiamento climatico?

In realtà il conflitto diplomatico scoppiato tra Washington e Copenaghen sull’offerta di Trump è solo l’iceberg di una “competizione geopolitica” per l’accesso all’Artico, regione cruciale per il controllo di nuove rotte marittime, che si aprono con lo scioglimento delle calotte glaciali a causa del riscaldamento globale, e delle sue risorse naturali. Ed è anche un segnale lanciato da Trump alla Russia, maggiore potenza dell’Artico da cui si calcola tragga il 20% del suo PIL, e alla Cina, che sta mettendo piede in Groenlandia, dove ha installato una stazione di ricerca geologica. Anche l’interesse per quest’isola (che si trova in uno dei mari più pescosi del mondo) è dovuto tanto alle sue risorse di materie prime, che alla possibilità di una rotta commerciale più rapida, e alla sua posizione militare strategica tra Europa e Stati Uniti.

I mutamenti climatici possono offrire vantaggi insperati a potenze e gruppi economici capitalisti! Alla faccia delle preoccupazioni e dei movimenti ambientalisti.[1]

Quella in atto è una competizione che vede un incremento della presenza di armamenti, con Russia e Cina come principali concorrenti delle potenze occidentali [cfr. scheda 1]

L’Artico, (convenzionalmente l’area all’interno del circolo polare), è una delle regioni meno densamente popolate del mondo, ci vivono solo 4 milioni di persone di cui il 10% è indigena e per circa la metà in Russia. È anche una delle regioni meno regolamentate per i territori e i fondali marittimi non appartenenti alle nazioni litoranee, ed è da prevedere che sarà oggetto di spartizione, con accordi economico-diplomatici o con conflitti. L’Onu non è riuscito a far raggiungere un accordo per l’Artico analogo a quello raggiunto per l’Antartico con il Trattato del 1959 che ne fece una riserva per la ricerca scientifica, vietando su di esso qualsiasi attività militare.

Oggi, in base alla Convenzione ONU sul diritto del mare (1994),[2] hanno il diritto legale allo sfruttamento delle risorse naturali dell’Artico all’interno delle loro zone economiche esclusive i cinque paesi “litoranei”, Canada, Russia, Danimarca, Norvegia e Stati Uniti, sfruttamento facilitato dal veloce processo di liquefazione del ghiaccio in corso, che sta avvenendo ad una velocità 4 volta quella di 15 anni fa’.

La sola Groenlandia, che ha una superficie sei volte quella della Germania, perde 280 MD di tonnellate di ghiaccio all’anno.

Rotte marittime artiche

Le rotte commerciali nell’Artico sono senza dubbio uno degli asset più preziosi. Attualmente sono in funzione tre passaggi: quello di nord-est (NEP), quello di nord-ovest (NWP) e quello transpolare (TPP). L’Oceano Artico favorisce rotte commerciali più brevi tra l’80% delle nazioni più industrializzate. Le navi potranno passare in tempo record tra America ed Asia Orientale quando sarà libero dai ghiacci il passaggio di Nordest. Le potenze occidentali temono che il suo controllo possa essere utilizzato dalla Russia come strumento politico.

Gli Stati Uniti, che in Groenlandia, a Thule, avevano già una base aerea, hanno incrementato la propria presenza ristabilendo un consolato nella capitale della Groenlandia, Nuuk, e contribuendo a finanziare nuovi aeroporti, programmi educativi e sociali. Gli americani vorrebbero acquisire, se non tutta l’isola, almeno la base navale di Gronnedal, messa in vendita nel 2016 dal ministero della Difesa danese, vendita poi ritirata a seguito, sembra, del diretto intervento del primo ministro Rasmussen, preoccupato per la crescente presenza cinese e di non irritare l’alleato statunitense. La Danimarca non abbandonerà certamente la fedeltà da tempo dimostrata agli Usa a seguito delle tensioni sulla Groenlandia.[3]

Però il governo della Groenlandia, un’isola che vive di pesca e aiuti economici, con alta disoccupazione e scarsissimo welfare, ha evidentemente interesse a mantenere anche le relazioni con la Cina. Lo dimostra il fatto che nel novembre 2017 il primo ministro di questa regione autonoma si è recato a Pechino per incontrare i dirigenti di grandi banche cinesi, tra le quali la China Development Bank e la Export Import Bank of China. Servono capitali per dotare l’isola delle infrastrutture di cui è molto carente; quelli cinesi abbondano e sono alla ricerca di profitti. Così nel 2018 il colosso delle costruzioni, la Chinese Communication Construction Company (CCCC), offre di realizzare grandi progetti infrastrutturali, ma è subito stoppato dal governo danese che considera l’operazione come primo passo dell’ingresso nel suo “giardino di casa” e che fa una contro-offerta, forse suggerita da, o perlomeno gradita anche agli Stati Uniti. Ma la marcia cinese verso l’Artico è iniziata: nell’isola operano già due impresi cinesi in joint venture con gruppi locali per un progetto di estrazione dell’uranio e di terre rare e con una compagnia australiana per un progetto di sviluppo di una miniera di ferro e zinco.

Per il cinese Xi Jinping l’Artico è un elemento cruciale per i suoi progetti geopolitici. É un’area importante per i corridoi economici terrestri e marittimi previsti dalle iniziativa “One Belt, One Road” e “21st Century Maritime Silk Road”, la cui spesa, a termine, equivarrà a otto volte il valore in termini reali del Piano Marshall americano. E le ambizioni artiche della Russia, che a seguito delle sanzioni americane ed europee si è avvicinata alla Cina, rappresentano per Pechino un’opportunità per accrescere la propria influenza globale usando la potenza economica. Emblematico dell’interesse cinese per l’Artico l’invio quest’anno di un secondo nuovo e grande rompighiaccio, lo Snow Dragon 2.

A fine 2017, Xi ha chiesto a Mosca una stretta cooperazione sulla rotta del Mare del Nord per realizzare una “Polar Silk Road”, presentata pubblicamente ad inizio 2018. A maggio 2017, Xi aveva visitato Finlandia, Alasca e Islanda. La visita in Finlandia serviva anche a consolidare l’appoggio della UE, suo maggior partner commerciale; con l’Islanda era stato siglato un accordo di libero scambio nel 2013.

L’alleanza Cina-Russia per l’Artico si è consolidata grazie alla presidenza Trump, che per qualche tempo ha ignorato l’Artico, ma che ora torna ad occuparsene attivamente e platealmente con la proposta di acquisto della Groenlandia.

Anche la Germania è molto interessata alle risorse dell’Artico, in particolare per quelle energetiche ma anche alla nuova rotta marittima, il passaggio di Nordest, che favorirà il commercio estero tedesco.

I think tank delle forze armate tedesche spingono per la militarizzazione dell’area, a cui la Germania è interessata come “potenza economica marittima”. Le sue compagnie di navigazione possiedono la quarta flotta commerciale del mondo e la prima per container.

Al fine di mettere in secondo piano di fronte all’opinione gli evidenti interessi economici e strategici per la regione, in occasione delle loro recenti visite nell’Artico tanto la Cancelliera Merkel (CDU), che il ministro degli Esteri (SPD), Haiko Maas, si sono presentati come ambientalisti impegnati: occorre contrastare i cambiamenti climatici, che sono chiaramente evidenti nella regione polare.

Intanto nel quadro del progetto PANORAMA 2013-2020 (Analisi delle Potenzialità del Mar del Nord Europeo e dei mari confinanti dell’Artico), l’Autorità federale per le scienze geologiche e le materie prime (BGR) sta studiando le riserve di petrolio e gas sotto il ghiaccio polare. Gli scienziati che lavorano al progetto ricercano microrganismi in grado di decomporre grandi quantità di idrocarburi, presenti nel petrolio e gas naturale, per ridurre la “contaminazione” derivante dalla produzione di materie prime.

Nel 2015 il Giappone, che era rimasto indietro rispetto ad altri paesi, ha annunciato una nuova politica artica per accelerare la costruzione di navi per la ricerca marittima.

Scheda 1. Artico armato

L’armamento della regione è iniziato dal 1945, con la “guerra fredda”, con lo sviluppo di bombardieri strategici e di missili balistici da parte di USA e Russia, in grado di portare armi nucleari attraverso il Polo Nord. USA e Canada vi hanno presto affermato la propria presenza militare. La Nato vi ha stabilito basi in Groenlandia, Islanda e Norvegia. Una seconda ondata di armamenti fu quella a fine anni 1970, con missili cruise lanciati dalla terra o dal mare testati sui territori artici dell’Occidente. Tra il 1955 e il 1990 l’Urss ha condotto 130 test nucleari sotterranei nell’arcipelago di Novaya Zemlya.

Negli anni ’80 i mari dell’Artico divennero la principale area operativa per i nuovi sottomarini da guerra a propulsione nucleare, con un conseguente aumento delle tensioni tra le grandi potenze. In particolare il 60% dei sottomarini nucleari russi si trovavano nei pressi della penisola di Kola, vicino alla Norvegia, e anche dopo il crollo dell’Urss nell’Artico non sono diminuiti gli armamenti. La Russia vi fa regolari esercitazioni militari, sta creando una presenza militare convenzionale permanente (di circa 1000 soldati, con turnazioni di 18 mesi) altamente mobile e in grado di reagire rapidamente, che comprende basi e una flotta di 40 rompighiaccio, per uso civile e militare, di cui sei nucleari, a cui ne saranno presto aggiunti altri tre. Entro il 2020 la Flotta russa del Nord avrà due corvette adatte ai ghiacci, con missili cruise. La Finlandia ha otto rompighiaccio, il Canada ne ha sette, la Svezia quattro, la Cina tre e gli Usa due. La Danimarca intende accrescere la presenza della sua marina in Groenlandia; i marines americani stanno intensificando gli addestramenti in condizioni climatiche glaciali.

Anche la Germania potrebbe contribuire alla militarizzazione dell’Artico. Ci sono think tank che chiedono di preparare la Bundeswehr (che ha già più volte fatto manovre oltre il circolo polare) con misure per migliorare la capacità di trasferimento e di rifornimento nell’Artico di unità militari, l’istituzione di una brigata artica e di task force marittime in stretta collaborazione con la Danimarca e la Norvegia; la costruzione di una o più rompighiaccio per scortare o per ricerca; equipaggiare due-tre Gruppi tattici della UE per la guerra nelle condizioni climatiche estreme del Polo.

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Scheda 2- Le risorse naturali

L’Artico ha vasti depositi di risorse minerarie economicamente preziose, con depositi significativi di fosfato, bauxite, diamanti, minerale di ferro e oro, ma anche di argento, rame e zinco.

In Groenlandia, la ritirata delle calotte di ghiaccio ha rivelato depositi di metalli di terre rare (utilizzate in molti apparecchi high tech, dagli schermi tv alle auto ibride, ai cellulari, ai superconduttori, ai magneti alle marmitte catalitiche, etc.) e altri minerali tra cui l’uranio, innescando una corsa tra Europa e Cina sull’accesso a questa risorsa.

L’agenzia americana di indagine geologica (US Geological Survey) nel 2008 ha stimato che nell’area a nord del Circolo polare artico si trova circa il 30% del gas mondiale e il 13% del petrolio non scoperti, per la maggior parte mostly offshore ad una profondità di meno di 500 metri.

Russia, Canada, Norvegia e Groenlandia hanno messo gli occhi sul Lomonosov Ridge, una catena montuosa sottomarina che si estende per 1 240 miglia quasi direttamente attraverso il centro dell’Oceano Artico passando per il Polo Nord, sotto e attorno alla quale si trova quasi un quarto delle rimanenti risorse di combustibile fossile della Terra.

La produzione di petrolio artico è più costosa degli altri tipi di produzione tranne che per quello dalle sabbie bituminose.

La prima piattaforma petrolifera offshore nell’Artico è stata quella Prirazlomnaya gestita dalla compagnia russa Gazprom nel Mare di Pechora al largo della Russia, che ha iniziato la produzione a fine 2013 (la Russia è stato il primo paese a trivellare l’Artico, nel 1915). La quota russa delle riserve di petrolio nell’Oceano Artico sarebbe la metà del petrolio non scoperto nella regione. La Russia punta a sostituire entro dieci anni il Qatar come maggior esportatore di gas con due impianti di GPL: Yamal LNG in Siberia a 400km dal circolo polare artico, e Arctic LNG2.

La maggiore piattaforma nell’Artico è Goliat nel Mare di Barents al largo della Norvegia, di proprietà di Eni Norge AS e Statoil; ha iniziato la produzione nel 2015. Royal Dutch Shell aveva un progetto, poi abbandonato, da 7 miliardi di dollari per estrarre petrolio dal mare di Chukchi al largo dell’Alaska. L’estrazione di gas e petrolio nella piattaforma continentale norvegese rappresenta da solo il 23% del PIL norvegese.

Nel 2016, una dichiarazione congiunta del presidente americano Obama e del primo ministro canadese Justin Trudeau vietò la perforazione per la maggior parte delle acque degli Stati Uniti e tutte le acque canadesi nell’Artico; l’accordo però prevede che il divieto venga riconsiderato ogni cinque anni, sulla base di una valutazione del ciclo di vita del clima e delle scienze marine [??!!].

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[1] Nel 1991 Norvegia, Svezia, Finlandia, Russia, USA, Canada, Danimarca e Islanda siglarono un accordo per la protezione ambientale con le popolazioni indigene, giungendo nel ’96 all’istituzione del Consiglio dell’Artico. I membri fondatori del Consilio hanno in seguito riconosciuto lo status di osservatore a diversi paesi europei e dell’Asia orientale desiderosi di entrare nella partita. Nel 2017 i cinque paesi litoranei – Canada, Groenlandia (Danimarca), Norvegia, Russia, USA – ma anche Cina, Giappone, Sud Corea, Islanda e UE hanno raggiunto un accordo per il divieto di pesca non regolamentata nell’alto Artico (ampio come il Mediterraneo). Ma l’accordo non è ancora siglato e ratificato, cosa che appare difficile dato che Trump non riconosce il cambiamento climatico.

[2] La Convenzione ONU sul diritto del mare regola le zone economiche nazionali offshore (ampie 200 miglia nautiche) all’interno delle cui acque una nazione ha il diritto esclusivo di pesca e di estrazione dei minerali sotto il fondale marino. Oltre questo limite, gli stati costieri dell’Artico non possono pescare o trivellare. La convenzione non è mai stata ratificata dal senato americano, perché non vuole che i militari e gruppi Usa debbano sottostare al controllo ONU. Un paese può rivendicare il diritto oltre questa fascia, fino a 350 miglia, se dimostra che la propria piattaforma continentale si estende oltre. Finora l’hanno fatto Russia, Danimarca, e Canada. Nel 2001 la Russia ha rivendicato i fondali marini pari alla metà dell’Artico.

[3] La Groenlandia (55mila abitanti), ex colonia danese, è uno stato federato della Danimarca. Diversamente da quest’ultima ma non fa parte della UE, ma la sua politica estera e di sicurezza è sotto la giurisdizione danese.