Gli affari e la guerra

Mentre quotidianamente, ancora increduli, assistiamo quasi in diretta alle tragedie vissute dalla popolazione nella guerra d’Ucraina, e ci sentiamo scossi dallo strazio delle vittime che spesso non hanno ancora potuto avere sepoltura, dalle città e villaggi ridotti in macerie, dagli ormai 11 milioni di persone in fuga, dai 6 milioni che non dispongono più di acqua potabile, continua il commercio degli armamenti, su scala planetaria. Ricordiamo tutti la recente frase di Zelensky «Chi ci rifiuta le armi, è responsabile dei morti».

Secondo la propaganda bellicista, le armi, anche quelle italiane, servirebbero per difendere bambini, donne, vecchi, ammalati dall’invasore russo. Servirebbero per impedire che la Russia, come fece nel 2014 con la Crimea, inglobi il resto dell’Ucraina, o anche solo un’altra porzione, Donbass, etc. 

Questi gli spot pubblicitari per reclamizzare il prodotto. Una merce utile, imprescindibile per riportare “la pace”, il refrain dei vari talk show, di destra, sinistra e centro, mentre è a tutti evidente che l’apporto di armi serve ad alimentare ed intensificare la guerra per procura delle potenze imperialistiche “occidentali” contro l’imperialismo russo, su suolo ucraino.

Fino all’attuale guerra d’Ucraina, quando giornali e Tg nostrani parlavano dell’export italiano si limitavano in genere, vantandoli, ai prodotti cosiddetti di eccellenza, come l’alta moda. Silenzio e opacità sul commercio di armi made in Italy, che ora viene invece sdoganato e sembra acquisire dignità di fronte alla pubblica opinione proprio grazie a questo sanguinoso e barbaro conflitto, nel quale combatte per procura anche l’Italia. 

Un commercio, quello degli strumenti di morte, negli ultimi anni florido ed in crescendo, una tendenza mondiale indotta dal rimescolamento degli assetti di potenza internazionali, dall’emergere di nuove grandi e medie potenze, Cina davanti a tutte, dai nazionalismi montanti. L’incremento della spesa militare mondiale è in corso dal 2001, e per il 2022 il suo ammontare complessivo è previsto attorno ai 2.000 miliardi di $(!!). 

Impressionante l’esempio USA. L’America si sta preparando a una “permanente economia di guerra”, sostiene su The Nation Michael T. Klare. Il bilancio militare proposto da Joe Biden per l’anno fiscale 2023 è imponente: 813 miliardi di dollari. E la decisione di attingere alle riserve strategiche di petrolio – un milione di barili al giorno nei prossimi sei mesi – non è solo una misura per contenere l’aumento della benzina provocato dalle conseguenze del conflitto in Ucraina. È anche il segnale simbolico di una situazione emergenziale propria di uno stato di guerra.

Che poi in questa guerra ci siano delle vittime è ovvio, soprattutto i civili ucraini, poi i soldati ucraini e russi, danni collaterali, ipocritamente pianti soprattutto da parte di chi col riarmo si arricchisce, cioè produttori e azionisti delle aziende belliche, i cui titoli sono saliti alle stelle dallo scoppio della guerra. In meno di un mese i gruppi degli armamenti USA, Northrop Grumman e Lockheed Martin, hanno guadagnato oltre il 30%. Ma quelli europei li superano. Il maggiore produttore tedesco di armi Rheinmetall e la multinazionale con base in Germania Hensoldt hanno visto incrementare il valore delle loro azioni di quasi il 100%, hanno intascato aumenti del 50% l’italiano Leonardo e Thales, di circa il 30% la britannica Bae systems. Gruppi produttori in simbiosi con i big della finanza mondiale.

I titoli degli armamenti rendono di più di quelli legati alla “energia pulita”! Ambiente, clima, sostenibilità? Suvvia, ora ci sono questioni più pressanti, poi vedremo … la transizione ecologica può attendere.

E in tutto questo qual è il ruolo degli stati?

Produzione ed export di armamenti sono promossi dagli stati nazionali, Italia compresa, tramite finanziamenti, sostegno politico, diplomatico e amministrativo sul mercato mondiale, a cominciare dalle ambite aree di crisi, come le guerre mediorientali, o africane, e ora quella d’Ucraina.

Non solo quando si tratta di gruppi a partecipazione statale, come Leonardo e Fincantieri in Italia il cui maggiori azionista, diretto o indiretto, è il ministero dell’Economia e Finanze, ma anche di privati come Iveco ed Avio, che hanno commesse garantite dallo stato. Se mai ci fossero dubbi basta ricordare, ad esempio, che nel 2021 i ricavi di Leonardo derivavano per l’88% da ordini militari e governativi…

Armi, lobby, politici

Lo Stato non è un’entità astratta, super partes. È costituito e rappresentato da uomini in carne ed ossa, con un’appartenenza politica ben definita, che ricoprono tutta una serie di posti e incarichi e che per questo sono intimamente legati all’apparato statale. E viceversa, i grandi gruppi a partecipazione statale degli armamenti devono avere al proprio servizio dei lobbisti che conoscono le stanze del potere e sanno manovrarne i bottoni a proprio vantaggio.

In Italia la capacità di influenza politica del comparto militare è assicurata anche dalIa galassia di circa 4000 medie e piccole imprese che lo compongono, oltre ai grandi gruppi citati, con una forza lavoro complessiva di 230mila occupati e un fatturato valutato in oltre 16MD€ (2019). 

Esiste di fatto una simbiosi tra lo stato della borghesia e le industrie che producono armamenti, le cosiddette “porte girevoli”.

Più le aziende sono importanti più avranno nella loro lista amici politici e funzionari di lungo corso, amici che ricopriranno responsabilità di governo, magari dopo periodi passati a lavorare in quelle industrie. Negli Usa il fenomeno è noto e conclamato. Ma anche l’Italia non fa eccezione, tanto più che c’è la gara per ricoprire posti di manager e presidenze nelle Partecipazioni statali, vedi riquadro.

Partiamo dal PD, partito di governo, che ha un’influenza determinante nelle decisioni relative all’incremento della spesa militare, alle normative sull’export, alle relazioni con gli stati esteri possibili clienti dell’industria bellica. Troviamo ai primi posti del governo il ministro della Difesa Guerini, la presidente della commissione Difesa del Senato, Roberta Pinotti; Luca Lotti è membro della Delegazione parlamentare italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato; Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, fino al 2021 è stato responsabile dell’innovazione tecnologica di Leonardo. Francesco Saverio Garofani è consigliere del presidente della Repubblica per gli affari del Consiglio supremo di difesa. 
Passiamo alle società e fondazioni del settore: Pier Fausto Recchi, ex deputato e consigliere della ex ministro Difesa Pinotti, è Amministratore delegato di Difesa Servizi.  L’Amministratore Delegato di Finmeccanica è Alessandro Profumo, ex presidente dei Monte dei Paschi di Siena ed ex Ad di Unicredit, che ha dichiarato le sue simpatie per il PD. Federica Guidi, ex ministra dello Sviluppo Economico, è nel CdA di Leonardo.
L’Agenzia Industrie Difesa, controllata dal ministero della Difesa, è diretta dall’ex dalemiano Nicola Latorre. Andrea Manciulli è stato presidente della Fondazione Fincantieri, vicepresidente di Fincantieri, con delega ai rapporti con la Nato, ed è infine è passato a Leonardo.
Alla presidenza della Fondazione Leonardo troviamo Luciano Violante (ex presidente della Camera); Marco Minniti, ex ministro dell’Interno è presidente di Med-Or, una Fondazione di Leonardo, si occupa del Mediterraneo allargato, dal Sahel al Medio Oriente un’area di continue crisi (e perciò di guerre…) e di centrale interesse geopolitico dell’imperialismo italiano.
I Cinquestelle. Augusto Rubei, ex collaboratore di Virginia Raggi e portavoce di Luigi Di Maio alla Farnesina, è senior vice presidente per le Relazioni internazionali di Leonardo. 
La Lega mette in campo come campaign manager per il settore elicotteri in Leonardo, il fratello del ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, Francesco.   
Guido Crosetto, fondatore di FdI insieme a Giorgia Meloni, è presidente di Aiad (federazione delle aziende per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza).
I nomi citati sono solo la punta dell’iceberg della simbiosi tra politica e complesso militar-industriale. Infatti a questi si aggiunge una miriade di “ricercatori” dei think tank (Centro studi) e fondazioni varie, che svolgono un ruolo chiave di congiunzione tra esponenti politici e industrie militari.

Più spesa meno trasparenza

Da sempre l’ammontare complessivo della spesa militare è opaco per chiara volontà politica, diviso fra vari ministeri, ascritto a voci del bilancio che non sembrano avere relazione con le armi. Rileviamo che nelle relazioni illustrative del ministero dell’Economia l’acquisto di nuovi armamenti e il finanziamento delle missioni estere vengono presentati come “investimenti”, per poter inserire questa spesa tra quelle per lo Sviluppo Economico. Più cinici, e realistici di così! Armi per distruggere e così sviluppare l’economia capitalistica. Questa è in effetti la legge oggettiva che determina lo “sviluppo sociale” imperialistico. La stessa manovra di oscuramento è messa in atto quando si devono approvare le missioni militari all’estero.

Per l’anno in corso, ad esempio, a fine aprile, non è ancora dato sapere quali impegni militari all’estero verranno rinnovati. Come già lo scorso anno, il governo non ha rispettato tempistiche previste dalla legge per portare a conoscenza e in discussione in Parlamento questi rinnovi e il loro finanziamento. Il Parlamento si limiterà a ratificare quanto deciso dal governo, e la società civile ne viene esclusa tout court. Nessun dibattito democratico su un tema di tale rilievo. E questo nonostante l’Italia di fatto sita partecipando alla guerra in Ucraina contro la Russia.

Una conferma della tendenza all’accentramento da parte dell’esecutivo di decisioni fondamentali è un decreto interministeriale (Difesa, Economia, Esteri) che sta per essere varato per l’invio di armi pensanti in Ucraina, in linea con la decisione degli USA. Questo decreto non necessita dell’approvazione del Parlamento perché il precedente decreto Ucraina, approvato dalle camere, ne ha preparato le condizioni legali, con una deroga alle leggi vigenti!!! E si parla di “Stato di Diritto”! L’allegato al decreto riguardante la tipologia di armamenti è secretato. Ma sappiamo che si tratterà di artiglieria pesante, armi di attacco, cannoni semoventi, obici… Che diamine c’entra il “popolo italiano”, i lavoratori, con questioni come la guerra? In fin dei conti si tratta di interessi della borghesia, i lavoratori non c’entrano! Più chiara di così la logica sottesa!

Armi contro chi?

Non ci siamo mai stancati di denunciare il ruolo imperialistico delle missioni all’estero dell’Italia e di tutti gli altri paesi.  Molti si indignano per questo, ma spesso in modo passivo. Dopotutto spesso non vediamo nemmeno i risultati orrendi di queste guerre.

Quello su cui non si riflette invece è che per quanto alte le spese per le spedizioni militari all’estero sono di gran lunga inferiori alla spesa per carabinieri, poliziotti ecc., insomma per l’ordine pubblico. Una spesa presentata come al servizio del cittadino, per difenderci da ladri e assassini. Una spesa che noi consideriamo invece a pieno titolo tra quelle militari perché, anche se non è diretta al “fronte esterno” della competizione internazionale, è però diretta al “fronte interno”, quello della lotta di classe. Si tratta perciò di un investimento finalizzato sì a mantenere l’ordine, ma quello borghese, a reprimere le espressioni di dissenso e la lotta della classe lavoratrice.

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