Governo extraparlamentare per le riforme padronali

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Col governo ora in formazione, la borghesia cerca di accelerare sugli obiettivi che le stanno a cuore. Viene richiesta da tutti una nuova legge elettorale per una maggiore stabilità politica e meno tasse per le aziende per rilanciare i profitti, ma anche un aumento della precarietà del lavoro e un taglio della spesa pubblica – quindi dei servizi pubblici – per far quadrare i conti: il lavoro sporco iniziato dal governo Monti va portato avanti e in fretta.
A questo scopo il Quirinale ha gestito un avvicendamento rapido scavalcando per l’ennesima volta le Camere dove secondo la Costituzione il premier uscente avrebbe dovuto spiegare le ragioni delle sue dimissioni. Una formalità ormai inutile.

Non siamo certo noi a stupirci di questa “esautorazione” di un Parlamento già marginale, dove si votano decreti-legge preconfezionati e dove si ratificano governi voluti dal Presidente della Repubblica, di fatto il vero capo dell’esecutivo.
Quello che può stupire è piuttosto la velocità con cui il “rottamatore” va a Palazzo Chigi dopo aver profuso parole di sostegno all’esecutivo di Gianni Letta, invece di varare una nuova legge elettorale per poi eventualmente andare ad elezioni che producessero una maggioranza stabile decisa da voto e non a tavolino sulla base di “larghe intese” fra forze politiche opposte.
Perché tanta fretta?

Da tempo il governo Letta era sotto il tiro incrociato non solo della direzione PD ma anche del mondo imprenditoriale, che sia attraverso i media sia con dichiarazioni esplicite gli rimproverava un immobilismo politico e uno scarso intervento contro la crisi economica. Prima ancora di Renzi, la stessa classe dirigente italiana ha valutato che fosse meglio staccare la spina a un esecutivo di sopravvivenza.

Al sindaco di Firenze non mancano certo gli sponsor economici. Il 6 febbraio scorso il Foglio di Ferrara ne faceva l’elenco: “Mario Greco (numero uno di Generali), Diego Della Valle (capo della Tod’s, azionista di Rcs e Generali), Alberto Nagel (ad di Mediobanca), Jacopo Mazzei (presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo), Gian Maria Gros-Pietro (presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo), Giorgio Squinzi (presidente di Confindustria), Marco Tronchetti Provera (presidente di Pirelli, vicepresidente del cda di Mediobanca), Gianfelice Rocca (Assolombarda), Lorenzo Bini-Smaghi (presidente di Snam), Renato Pagliaro (presidente di Mediobanca), Francesco Gaetano Caltagirone (presidente del gruppo omonimo ed editore del Messaggero), Fabrizio Palenzona (vicepresidente di Unicredit), Andrea Guerra (ad di Luxottica) e ovviamente Carlo De Benedetti (editore del gruppo Espresso)”.

Nulla di strano che la borsa abbia accolto con favore l’arrivo del nuovo governo (Piazza Affari ha chiuso in rialzo dell’1,6%), all’estero fioccano i commenti positivi. Il capitale non solo italiano si aspetta una svolta rispetto alle incertezze e alla debolezza del governo Letta.

Il gioco si presenta facile finché si tratta di spremere ulteriormente i lavoratori, ma le cose si complicano davanti a una crisi che è economica prima ancora che politica. Una crisi particolarmente forte in Italia non per l’instabilità dei governi, ma per le debolezze strutturali del capitalismo italiano: ridotta dimensione media delle aziende, abnorme estensione della piccola borghesia, bassa produttività – fattore quest’ultimo che non potrà che essere accentuato dal taglio del costo del lavoro perché con un basso costo del lavoro l’imprenditore ha meno interesse a ristrutturare ed investire in macchinari e produttività.
Di fronte a questi handicap e di fronte al mercato mondiale non c’è decisionismo né spregiudicatezza politica che tenga: i capi di stato possono pilotare i governi, ma non l’ingovernabile economia capitalista. Ne hanno già fatto esperienza, in tempi molto brevi, Mario Monti ed Enrico Letta, entrambi bene accolti da media e poteri economici, ma entrambi durati poco.
Non è quindi da escludere che dopo aver rottamato gli altri, possa essere rottamato anche Renzi.
Di questo ci interessa poco.

Ciò che ci interessa è l’impossibilità per i lavoratori di far valere i propri diritti attraverso istituzioni parlamentari ormai inefficiente per gli stessi interessi borghesi. Solo l’organizzazione e lotta indipendente può difendere il proletariato dagli attacchi di padroni e Stato nella crisi attuale, e dare una prospettiva di cambiamento vero.

Comunisti per l’Organizzazione di Classe

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