Grecia: un nuovo governo per una nuova politica di mercato

Tzsipras-elezioni

Come in gran parte previsto, e come molti, non solo a sinistra, speravano, le elezioni greche sono state vinte dalla coalizione Syriza. Una vittoria elettorale frutto di una stagione di lotte durissime con le quali i lavoratori ellenici hanno tentato di resistere al brusco peggioramento delle proprie condizioni di vita, una reazione alla manovra con cui la borghesia nazionale ed europea hanno riversato su di loro il costo della crisi economica. E’ però mancata un’organizzazione rivoluzionaria che guidasse la rivolta fino all’abbattimento delle istituzioni borghesi, unica strada per evitare il massacro della classe lavoratrice. Ora la mobilitazione popolare si è affievolita e le aspettative che la muovevano si sono spostate sul gioco parlamentare.

Ma la lotta di classe non si vince nelle urne. Lo stesso programma di Syriza – per quanto di per sé non sia incompatibile col capitalismo – non può essere portato avanti se non con una nuova lotta sociale che porti i lavoratori a scontrarsi con la classe dirigente greca e non solo contro le istituzioni europee, una lotta che punti all’esproprio di quella borghesia nazionale che per prima ha beneficiato della stagione di finanza allegra del decennio scorso e che per ultima è stata colpita dalla crisi oppure vi si è ulteriormente arricchita: i grandi capitalisti, gli armatori, la chiesa ortodossa. Espropri che nessun governo parlamentare vorrà fare indipendentemente dal suo colore politico, a meno che non vi sia costretto da una pressione popolare, perché con gli espropri avrebbe contro tutti i capitalisti nazionali e stranieri, quelli che manovrano prestiti e governi, quelli che possiedono i media, manipolano l’opinione pubblica e finanziano le campagne elettorali.

Al momento questi capitalisti non sembrano aver perso il sonno per la vittoria di Syriza; mentre scriviamo le borse sono stabili (una lievissima flessione verso il basso dopo una settimana di rialzi, la borsa di Atene è in risalita), il governo italiano ha subito assicurato la propria volontà di collaborare col prossimo governo, oggi anche da Bruxelles sono giunte dichiarazioni concilianti, Berlino si è limitata a ricordare gli impegni sul rimborso del debito. Ma già in precedenza il Financial Times e il Sole 24 Ore avevano minimizzato i rischi per un eventuale governo Tsipras.

Al contrario la vittoria di Syriza può essere usata per far passare una politica economica inflazionistica, con meno vincoli su deficit e debito. Una svolta in parte già in atto, da tempo auspicata dalle borghesie del sud Europa e contrastata con sempre meno convinzione dalle altre. Una politica fatta per rilanciare i profitti, magari con una svalutazione che riduca ulteriormente il potere d’acquisto dei salari rialzando i prezzi.

Ora Syriza ha incassato il 36,34% dei voti, percentuale curiosamente vicina a quella dell’astensione (il 36,13%: su 9.902.915 aventi diritto solo 6.324.963 hanno votato). Ha conquistato 149 seggi parlamentari su 300, avrà la maggioranza assoluta grazie all’alleanza non con un partito di sinistra, ma con uno di destra, il nazionalista Greci Indipendenti che contesta l’Europa ancora più duramente. I Greci Indipendenti sono guidati da Panos Kammenos, leader uscito da Nea Dimokratia e distintosi non solo per le sue dichiarazioni antitedesche e le sue posizioni anti-UE ma anche per aver accusato gli ebrei di pagare meno tasse degli altri; favorevole ad una legislazione più restrittiva verso gli immigrati, non votò per la revoca dell’immunità parlamentare ai membri di Alba Dorata finiti in carcere. L’alleanza fra lui e Tsipras parrebbe innaturale, se non fosse cementata da una comune volontà di rinegoziare il rapporto con l’Unione Europea mantenendo il sistema di mercato.

Molti in Italia guardano alla Grecia come un modello per una coalizione di sinistra; un modello che unisca le aspirazioni per un allentamento dei vincoli europei – obbiettivo “bipartisan”, più popolare a destra che a sinistra, caldeggiato non solo da tutte le associazioni imprenditoriali della penisola ma persino dentro alle istituzioni comunitarie – con una politica di minori sacrifici per gli strati sociali più deboli. Al di là della sua effettiva realizzabilità, è un progetto politico che non avrà risultati per i lavoratori, se non quello di arruolarli come pedine di uno scontro fra le frazioni borghesi più liberiste e quelle velatamente keinesiane. Negli ultimi anni in Italia i governi di sinistra non sono mancati, anche con la partecipazione della cosiddetta “sinistra radicale”, e sono stati i governi del pacchetto Treu, della legge Turco-Napolitano, dell’acquisto degli F-35, del cuneo fiscale regalato a Confindustria; questo per tacere delle speranze avute sulla coalizione PD-SEL che hanno preceduto la formazione del governo del Jobs Act.

Solo la lotta di classe può difendere i lavoratori dallo sfruttamento; casomai gli avvenimenti greci ci ricordano che tale lotta non può restare racchiusa entro i confini nazionali, ma deve allargarsi come minimo a tutto il mercato europeo e poi al resto del mondo, e che nessuna conquista è per sempre se non quella che abbatte definitivamente il potere politico della borghesia.