Hegel, Marx ed il lavoro tra filosofia e politica

Il tema del lavoro umano è da lungo tempo oggetto di studio e di analisi. Storici, filosofi, teologi, politici, sociologi e altri ancora hanno affrontato la questione da molteplici punti di vista, senza peraltro che sia nata una soluzione univoca, sia cioè maturata una definizione che dica ciò che il lavoro umano è e quali sono le sue note peculiari e distintive. La categoria del lavoro, dopo molti studi, non esce in definitiva da una certa indeterminatezza.

In queste note essenziali cercheremo di mettere in evidenza alcuni tratti di fondo della questione, alcune problematiche rilevanti e, a confronto, prospettive significative di soluzione. Il dato di partenza è una correlazione ammessa ampiamente dalla riflessione sul tema. La relazione di fondo è quella tra lavoro e bisogno; il lavoro appare cioè come una mediazione razionale tra i bisogni umani e la loro soddisfazione; il lavoro appare, in altri termini, come un mezzo tra l’uomo e il mondo della natura. A questo proposito ricorre spesso, secondo l’efficace stile comparativo, il confronto tra l’uomo e l’animale; l’animale si appropria dell’oggetto che soddisfa i suoi bisogni e lo distrugge facendolo proprio; e deve perciò ogni volta tornare daccapo. L’uomo, invece, arriva a creare un’opera strumentale con la quale lavora, manifestando con ciò molto significativamente la propensione a non annientare la natura. Si apre a questo punto uno scenario ricchissimo di implicazioni, perché lo strumento inventato si evolve e diventa macchina, che media in modo completo il rapporto uomo natura. Si apre in termini storici e politici la fase che è stata chiamata appunto del macchinismo. L’introduzione e la diffusione della macchina determina una situazione dialettica. Da una parte l’uomo non si limita più a produrre un articolo per il suo uso personale, ma crea una merce che entra a far parte della somma totale del lavoro della collettività. Si apre cioè la dimensione sociale (cfr. Marx, Salario, prezzo e profitto, 1865)
La macchina aumenta i prodotti, però divide sempre più il lavoro e quindi fa diminuire sempre più il valore del lavoro e del lavoratore. Leggiamo alcuni testi di Hegel:1 “… la macchina non toglie la necessità del lavoro ma lo sposta soltanto … il lavoro diventa più meccanico … quanto più meccanico diventa il lavoro, tantomeno ha valore e tanto più l’uomo in questo modo deve lavorare”.
Così nell’impero delle macchine il singolo lavora sempre per i suoi bisogni, ma ormai non li soddisfa più con “questo determinato oggetto da lui lavorato”. Entra in gioco il compenso, il salario, il denaro “possibilità di tutte le cose del bisogno”. Insieme “la soddisfazione dei bisogni è una dipendenza universale di tutti dell’uno dall’altro”, “dilegua per ciascuno ogni sicurezza e certezza che il suo lavorare in quanto singolo è immediatamente adeguato ai suoi bisogni.” “Specializzandosi il lavoro diventa astratto, nel senso che astrae dal bisogno immediato della sopravvivenza.”
Ma così il lavoro “diventa sempre più assolutamente morto …l’abilità del singolo sempre più infinitamente limitata e la coscienza degli operai della fabbrica viene degradata fino all’estrema ottusità; e la connessione del singolo tipo di lavoro con l’intera massa infinita dei bisogni diventa del tutto inafferrabile e una dipendenza cieca, si che una lontana operazione spesso blocca improvvisamente il lavoro di una intera classe di uomini che con esso soddisfacevano i propri bisogni, lo rende superfluo e inutile”.
Chi addomesticherà questo cieco potere del denaro, della merce del mercato capitalistico? Il “sistema” che si crea quando non si lavora più per soddisfare direttamente i propri bisogni, il sistema che conosce la “mediazione” del denaro, i mercati per la collocazione degli oggetti prodotti non per soddisfare direttamente i bisogni di vivere, questo sistema appare ad Hegel come un grande feticcio, letteralmente “una bestia forsennata”. Il riferimento di fondo è all’Apocalisse di Giovanni. Hegel aveva profonda conoscenza della Bibbia, maturata nei 5 anni di frequentazione a Tubinga del seminario per la formazione dei pastori protestanti. Chi la dominerà? È il caso di rilevare che il sistema “impazzito” per Hegel non troverà in sé il suo assestamento, come invece verrà sostenuto dai teorici del liberalismo radicale.
Occorre per Hegel un intervento correttivo. Hegel pose le sue speranze nello Stato burocratico e pianificatore.
Marx ed Engels punteranno invece sulla rivoluzione comunista, la sola in grado di attuare il rovesciamento del mercato mondiale, cioè a dire dello stato attuale delle cose. 2
“ La dipendenza universale, questa forma spontanea della cooperazione degli individui sul piano storico universale, è trasformata da questa rivoluzione comunista nel controllo e nel dominio cosciente di queste forze le quali, prodotte dal reciproco agire degli uomini, finora si sono imposte ad esse e li hanno dominati come forze assolutamente estranee”.3
L’uso del concetto di dominio e di forze estranee richiama la visione hegeliana della “bestia forsennata” o, come altri traduce, della “bestia selvaggia”. La soluzione delle contraddizioni del mondo capitalista passa quindi per Marx dalla rivoluzione comunista, con l’avvertenza insistita che “il comunismo non è uno stato di cose che deve essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi, ma un movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti”.4 A differenza di Hegel, Marx ritiene che non di burocrati o tecnocrati c’è bisogno, ma di partiti, cioè di strumenti politici a pieno titolo, condizione essenziale dello sviluppo e del progresso.5 Il partito comunista del quale si scrive il Manifesto nel 1848 diventa infine lo strumento ideale. Oggi, in Italia per svariate e negative vicende i partiti non godono di particolare considerazione, ma nella visione marxiana il partito è e rimane strumento imprescindibile di vita politica. Sempre in confronto ed anche in contrapposizione con Hegel per Marx si può dire che chi starà al governo del futuro Stato-non Stato,6 cioè la classe operaia stessa, non potrà operare come si fa in un’azienda capitalistica, strutturata per succhiare lavoro umano parcellizzato … è necessario che il proletariato sappia assumere su sé stesso tutte le funzioni “sociali” ora demandate agli “specialisti” della classe dominante, sciogliendo così il potere politico, come dice Marx, “nell’ordinaria amministrazione delle cose”.

[da ‘PagineMarxiste’ n°30 maggio ’12]

NOTE

1. I testi sono tratti dai corsi della Realphilosophie (1803/1804) noti in Italia come Filosofia dello spirito jenese

2. Cfr. L’ideologia tedesca, pag.36, vol. V. opere di Marx e Engels. 3. Editori Riuniti 1976

3. Ibidem pag. 37

4. Ibidem pag. 34

5. Cfr. l’articolo in Rheinische Zeitung del 1842

6. Marx, nella Lettera a Ruge (marzo 1843), scrive che “Lo stato è una cosa troppo seria perché se ne faccia un’arlecchinata”

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