I poveri e i governi dei ricchi

I dati ISTAT mostrano che nel 2017 è aumentata sia la povertà assoluta sia quella relativa.

I poveri (+ 317 mila) sono oltre 5 milioni, l’8,4% dei residenti.

Nel Nord sono il 7%,al Sud sono il 10,4%, nel Centro sono invece diminuite (al 6,4%).

Nel 2017 le famiglie in povertà assoluta (cioè quelli che non arrivano a un reddito sufficiente per acquistare ciò che è necessario per una vita dignitosa) sono aumentate di 158 mila a un totale di un milione 778 mila, il 6,9% delle famiglie.

La povertà è distribuita in modo ineguale: sono più poveri i minori (12,1%), e meno poveri gli anziani (4,6%) che in gioventù hanno lottato per migliori condizioni – e per le pensioni. Soprattutto sono più povere le famiglie con 3 o più figli minori (più di una su 5).

Ci sono più poveri (26,7%, più di 1 famiglia su 4) nelle famiglie con capofamiglia disoccupato, ma anche nelle famiglie di operai (11,8%): con l’abbassamento dei salari e il part-time involontario lavorare spesso non basta per poter vivere dignitosamente; cosi come sono più poveri coloro che non hanno potuto andare oltre la quinta elementare.

La povertà è una questione di classe sociale, e anche di luogo di nascita:

  • il 5,1% delle famiglie di soli italiani, ma ben 29,2% delle famiglie di soli stranieri;
  • al Sud è povero ben il 42,6% di queste ultime (ma anche il 9,1% delle famiglie di italiani).

Se poi consideriamo la povertà relativa (che si ha quando una famiglia di due persone non arriva al reddito medio di una persona.), nel Sud colpisce ben 6 famiglie immigrate su 10. Se si permette di pagare 2-3 euro l’ora chi si sfianca nei campi e nelle serre raccogliendo le arance, i pomodori e le verdure per arricchire le mafie schiaviste e le catene della grande distribuzione, il risultato non può essere che questo, che si è poveri anche se si lavora 12 ore al giorno.

La povertà non è una aberrazione eliminabile da questa società, che per il suo funzionamento “ottimale” richiede che una parte della popolazione rimanga disoccupata e disposta per fame ad accettare di lavorare a qualsiasi condizione – quello che Marx chiamava l’”esercito industriale di riserva”. La povertà nella parte inferiore della società capitalistica è l’altra faccia della ricchezza nella parte superiore: in tutto il mondo da decenni i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri.

Ma l’aumento della povertà nel 2017, ai livelli più alti da quando viene misurata (dal 2005) e più alti che negli anni peggiori della crisi è il lascito del governo Renzi, del suo famigerato jobs act che espone i lavoratori all’arbitrio e ai ricatti padronali generalizzando la precarietà.

Noi abbiamo sempre sostenuto la necessità che ai disoccupati, che il capitale ha espulso dal lavoro, sia garantito un salario medio e non una miseria a termine come il REI o la NASPI, e riteniamo sia l’ora di rivendicare un salario minimo orario decente al di sotto del quale è vietato far lavorare, sull’esempio della campagna per i 15 dollari l’ora negli Stati Uniti.

I Cinquestelle hanno preso i voti sbandierando il “reddito di cittadinanza”. Sospettiamo che, dato che la coperta è stretta e il loro vero amore sono le piccole e medie imprese da foraggiare, la montagna del reddito di cittadinanza partorirà un topolino che sarà un rabbocco della miseria del REI. Ma già nella sua prima formulazione e poi nel patto di governo con la Lega questa misura esclude proprio coloro che sono più colpiti dalla povertà: le famiglie degli immigrati. Sembra il ritorno alle società schiaviste di Sparta Atene e Roma, o all’India delle caste, o ai regimi dell’apartheid, dove i diritti civili sono un privilegio razziale e di casta.

Nel segno della unità degli sfruttati noi diciamo no a questa esclusione, volta a dividere i lavoratori tra italiani e immigrati per poterli sfruttare di più tutti impedendo loro di lottare uniti.

Anche sul fronte del jobs act e della precarizzazione il neoministro del Lavoro Di Maio ha detto che vuole mettere limiti al lavoro a termine, e restiamo in attesa di vedere quali provvedimenti prenderà, se veramente vuole porre fine all’incubo per i lavoratori che è stata “la pacchia” (questa sì reale!) dei suoi amici delle piccole e medie imprese insieme alle grandi, grazie a Renzi & C.

Stiamo ai fatti: nelle sue prime dichiarazioni il governo si è mostrato solerte a togliere le tasse alle imprese, a dare libertà agli evasori fiscali togliendo controlli e adempimenti, con Salvini che arriva a chiedere l’uso del contante senza limiti, cioè i pagamenti in nero a gogo: senza contributi, senza tasse, e il condono ai “poveretti” che hanno evaso meno di … 100.000 (centomila!) euro!! Ma se le imprese pagheranno meno, qualcun altro dovrà pagare di più e ricevere meno. Gli illusionismi funzionano in campagna elettorale, ma hanno le gambe corte.

Siamo maligni a pensare che alla fine a pagare sarà il solito Pantalone?

Non dimentichiamo: prima dicevano “prima i lumbard”, “prima i veneti” ecc. contro gli immigrati “terroni”. Ora “prima gli italiani” contro gli immigrati da fuori. L’obiettivo è deviare la rabbia per il peggioramento delle condizioni di vita dai veri responsabili, i padroni e i loro governi, verso chi sta ancora più in basso, impedire che si formi un fronte unico tra i lavoratori i poveri gli sfruttati contro chi si arricchisce col loro lavoro.

Contro l’aumento della povertà e dello sfruttamento, favorito dai governi Renzi-Gentiloni,

contro la politica di divisione, odio ed esclusione fomentata dal governo Salvini-Di Maio,

opponiamo l’unità e la lotta di tutti i lavoratori e i disoccupati, italiani e immigrati insieme!

Meno orario e più salario!

Salario medio garantito ai disoccupati!

Parità di diritti agli immigrati!

Sabato 7 luglio, ore 17, a Milano da piazzale Loreto partecipiamo alla

manifestazione contro razzismo e repressione