Il 18 marzo sciopero generale: contro il governo, contro la guerra

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Lo “sciopero generale” proclamato da CUB, SI Cobas e USI AIT per venerdì 18 marzo pone obiettivi in gran parte condivisibili (l’opposizione alla guerra, al jobs act, la difesa della libertà di sciopero e di organizzazione sindacale contro gli accordi sulle rappresentanze, il rilancio della contrattazione nazionale contro l’aziendalizzazione e individualizzazione dei rapporti di lavoro, l’aumento dei salari e la riduzione dell’orario, la libera circolazione delle persone e la parità di diritti per gli immigrati, ecc.).

Per questo esprimiamo tutto il nostro appoggio e porteremo la nostra per quanto limitata partecipazione allo sciopero e alle manifestazioni, pur sapendo che purtroppo lo sciopero non sarà davvero “generale”, ma limitato, nella sua efficacia, ai pochi settori dove i tre sindacati che l’hanno proclamato e i pochi che hanno aderito hanno con sé la maggioranza o una forte minoranza. Un vero impatto nazionale sarà quindi possibile solo nella logistica e in qualche comparto ferroviario e del trasporto pubblico locale, dove diverse migliaia di lavoratori incroceranno le braccia, ma milioni di lavoratori dell’industria e dei servizi non saranno purtroppo coinvolti.

Le maggiori confederazioni sindacali hanno lasciato che il governo Renzi proseguisse il suo attacco ai lavoratori con il Jobs Act, senza nessuna azione di lotta nei 15 mesi dopo lo “sciopero generale” di facciata di CGIL e UIL nel dicembre 2014, con cui speravano invano di poter tornare al tavolo col governo. È vero, non ci sono state spinte spontanee allo sciopero nei luoghi di lavoro (anche il movimento della scuola è rientrato), ma chi alza la testa per opporsi non si trova di fronte solo il padrone, ma spesso anche le burocrazie sindacali, come nel gruppo FIAT (FCA) dove un gruppo di lavoratori combattivi che ha organizzato la resistenza con lo sciopero degli straordinari, è processato e minacciato di espulsione dalla FIOM-CGIL, divenuta più realista del re nella speranza di ottenere l’accreditamento di Marchionne.

Certo lo sciopero “generale” del 18 marzo avrebbe dovuto essere costruito in modo da far partecipare alla sua indizione una cerchia più ampia di organizzazioni e gruppi sindacali – tuttavia il rifiuto di parteciparvi da parte di una serie di sindacati “di base” risente della ormai vecchia e sterile logica che privilegia la parrocchia rispetto alla classe e a far sentire finalmente una posizione internazionalista contro la guerra.

È importante che finalmente un’azione sindacale colleghi la lotta di classe sul fronte interno e sul fronte esterno, con una decisa opposizione alle proiezioni militari dell’imperialismo italiano che, già presente in Afghanistan, Libano, Iraq, Balcani, sta preparando nuovi contingenti per l’Iraq e una spedizione in Libia. Va fatta chiarezza anche tra i lavoratori e i giovani che l’opposizione alla guerra deve tendere a creare un fronte proletario internazionale, che si opponga a tutte le potenze del capitale, imperialiste e regionali, e non lo schieramento a fianco di alcune potenze contro altre (una logica “campista” molto diffusa nella “sinistra radicale” e tutta interna agli schieramenti imperialisti).

Comunisti per l’Organizzazione di Classe – COC