Livorno 1921-2013: il nostro P.C.d’I., il loro P.C.I. e l’asino Mario Monti

Il 21 gennaio 1921, da una scissione del Partito Socialista, nasce a Livorno il Partito Comunista d’Italia, sezione della III Internazionale. Il contesto storico vede una fortissima contrapposizione fra proletariato e borghesia (basti solo ricordare il movimento di occupazione delle fabbriche di appena un anno prima, nel 1920), che vede il vecchio partito socialista, diviso fra massimalismo e riformismo, non essere all’altezza di questo scontro di classe. Da ciò nacque l’esigenza, promossa dalle correnti di Sinistra del vecchio partito, di rompere una volta per tutte col riformismo ottocentesco e dare alla luce un organismo realmente rivoluzionario.
il PCd’I era un partito che faceva della lotta contro il capitale uno dei suoi principi. Parlava chiaro, di lotta di classe e rivoluzione.
I dieci punti su cui si il PCd’I si è costituito, erano punti basati sulle ventuno condizioni di adesione all’Internazionale Comunista, in grado di esprimere essi stessi la sintesi della sua breve ma intensa vita, in netta contrapposizione con quello che accadrà dopo la liquidazione della Sinistra.
In seguito, grazie all’appoggio esterno di un’Internazionale sempre più degenerata nella teoria del “socialismo in un solo Paese” e con infime manovre burocratiche, il “Centro” del Partito riuscirà a prenderne le redini, gettando le basi della sua trasformazione in partito frontista e democratico, quindi stalinista e patriottico con togliatti, infine socialdemocratico con berlinguer. Più di recente, i loro tardi epigoni, una volta raggiunto il tanto bramato governo dello stato, hanno appoggiato missioni militari (Balcani, Libano, ecc.), promosso la creazione dei CPT (oggi CIE), reso legge la precarietà sul lavoro, tagliato lo stato sociale; hanno cioè ribadito la propria affidabilità nel difendere gli interessi della borghesia e la propria disponibilità nell’incanalare ogni accenno di insubordinazione sociale, tratti distintivi del “partitone” che con quello di Livorno quasi da subito non ebbe in comune nemmeno il nome, trasformatosi in PCI.
Come ultimo dileggio, il burattino della finanza internazionale Mario Monti ora lo accosta al PD, quinta essenza dello squallore politico, per ragioni altrettanto squallide di campagna elettorale.
Ma i “dieci punti” di quel lontano 1921, anche alla riprova dell’odierna crisi capitalistica, dimostrano ancora oggi tutta la loro validità ed attualità.

I “10 punti” di Livorno 1921:

1. Nell’attuale regime sociale capitalista si sviluppa un sempre crescente contrasto fra le forze produttive ed i rapporti di produzione, dando origine alla antitesi di interessi ed alla lotta di classe fra il proletariato e la borghesia dominante.

2. Gli attuali rapporti di produzione sono protetti e difesi dal potere dello Stato borghese che, fondato sul sistema rappresentativo della democrazia, costituisce l’organo della difesa degli interessi della classe capitalistica.

3. Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva il suo sfruttamento, senza l’abbattimento violento del potere borghese.

4. L’organo indispensabile della lotta rivoluzionaria del proletariato è il partito politico di classe. Il Partito Comunista, riunendo in sé la parte più avanzata e cosciente del proletariato, unifica gli sforzi delle masse lavoratrici, volgendoli dalle lotte per gli interessi di gruppi e per risultati contingenti alla lotta per l’emancipazione rivoluzionaria del proletariato. Il Partito ha il compito di diffondere nelle masse la coscienza rivoluzionaria, di organizzare i mezzi materiali di azione e di dirigere, nello svolgimento della lotta, il proletariato.

5. La guerra mondiale, causata dalle intime, insanabili contraddizioni del sistema capitalistico che produssero l’imperialismo moderno, ha aperto la crisi di disgregazione del capitalismo in cui la lotta di classe non può che risolversi in conflitto armato tra le masse lavoratrici ed il potere degli Stati borghesi.

6. Dopo l’abbattimento del potere borghese, il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell’apparato di stato borghese e con l’instaurazione della propria dittatura, ossia basando le rappresentanze dello Stato sulla base produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe borghese.

7. La forma di rappresentanza politica nello Stato proletario è il sistema dei Consigli dei lavoratori (operai e contadini), già in atto nella rivoluzione russa, inizio della Rivoluzione proletaria mondiale e prima stabile realizzazione della dittatura proletaria.

8. La necessaria difesa dello Stato proletario contro tutti i tentativi controrivoluzionari può essere assicurata solo col togliere alla borghesia ed ai partiti avversi alla dittatura proletaria ogni mezzo di agitazione e di propaganda politica e con la organizzazione armata del proletariato per respingere gli attacchi interni ed esterni.

9. Solo lo Stato proletario potrà sistematicamente attuare tutte quelle successive misure di intervento nei rapporti della economia sociale con le quali si effettuerà la sostituzione del sistema capitalistico con la gestione collettiva della produzione e della distribuzione.

10. Per effetto di questa trasformazione economica e delle conseguenti trasformazioni di tutta l’attività della vita sociale eliminata la divisione della società in classi, andrà anche eliminandosi la necessità dello Stato politico il cui ingranaggio si ridurrà progressivamente a quello della razionale amministrazione delle attività umane.

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