[ILVA e non solo]: lavoro o non lavoro vogliamo vivere!

Dopo il sequestro da parte della magistratura di Taranto dei prodotti semilavorati dell’Ilva, e l’arresto di altri sette dirigenti -che seguono quello del “patron” Riva- l’azienda “mette in libertà” i suoi 5.000 lavoratori, per i quali il futuro immediato è la disoccupazione.

Oltre a Taranto, tempo una o due settimane, il ciclone delle chiusure potrebbe interessare gli stabilimenti di Genova Cornigliano, Novi Ligure, Racconigi, Marghera, Patrica. Per non parlare dell’indotto e degli effetti sulle molte altre aziende che dipendono dalle forniture Ilva.

Un’ ecatombe di posti di lavoro che se ne vanno in fumo, e che si aggiungono alle centinaia di migliaia che la crisi ha già fatto fuori.

Il problema di fondo è che il capitale cerca di fare profitti tenendo tutti i costi più in basso possibile, compreso quelli della sicurezza e della salute. Questo vale ancora di più in un settore “maturo” come l’acciaio, dove la competizione internazionale dei “nuovi giganti” capitalistici é ancora più pressante. Ragion per cui oggi gli operai si trovano contro due logiche che potrebbero essere solo apparentemente opposte: quella di un’azienda ( l’Ilva ) che se ne frega della salute di chi vi lavora e dell’intera popolazione; e quella di chi -la magistratura, ma non solo- prendendo a pretesto il mancato “risanamento ambientale”, agisce a colpi di sequestri per arrivare alla dismissione della produzione dell’acciaio in Italia. Il “punto di caduta” non é escluso che consista in un grosso ridimensionamento e ristrutturazione del settore, dopo le solite finte “trattative” nei tavoli concertativi romani.

Il fatto certo é che le uniche vittime di queste manfrine istituzionali, in nome della “difesa dell’occupazione” o della “difesa della salute” , sarebbero sempre e solo gli operai. Spesso sono costretti a scegliere tra morire di fame e morire di lavoro.

Spesso sono costretti a difendere il loro posto fisico di sfruttamento, e persino i loro padroni, in concorrenza con operai di altri paesi che costano meno. D’altra parte, in questa società, senza lavoro e salario non si campa.
“Meglio” il rischio del tumore che la certezza della disoccupazione!

Salutiamo dunque con soddisfazione la reazione che i lavoratori Ilva hanno avuto sia a Taranto ( con l’occupazione della fabbrica e della Direzione ), sia a Genova ( blocco del casello autostradale di Genova Ovest, tilt del traffico cittadino, occupazione della fabbrica… con l’Ansaldo Energia in lotta pure esso contro la vendita delle aziende Finmeccanica ).

Adesso, di fronte ad un’ecatombe di licenziamenti a Taranto come a Genova, sembra che il tappo stia saltando, nella coscienza operaia come nelle forme della risposta di classe.

La iniziale timidezza operaia si sta trasformando in consapevolezza che senza forza non c’è diritto, ne’ alla salute, ne’ al lavoro. Ora si tratta di prendere spunto da queste forme di lotta, ben più radicali delle “passeggiate” passate e recenti dei sindacati confederali, per darsi però obbiettivi di classe coerenti, che vadano oltre le singole vertenze e che mettano da subito nell’angolo qualsiasi opzione di “scambio” tra lavoro e salute, qualsiasi tentazione a mettere operai contro operai, qualsiasi furbesco proponimento di giocare al “rimando”.

Non dobbiamo farci imprigionare tra una Confindustria che, dietro la rilevazione di uno “scenario drammatico”, chiama i “livelli istituzionali” ad “interventi urgenti e straordinari”…( Giovanni Calvini, presidente della Confindustria di Genova ); tra un ministro dell’Ambiente Clini, il quale assicura che giovedì prossimo – al tavolo istituzionale – ci sarà la “soluzione”; tra il “nazionalismo” e l’aziendalismo dei sindacati confederali che porta a nuovi tagli e sacrifici.

Già da ora, appena dopo aver proclamato lo sciopero e le “assemblee permanenti” fino a giovedì prossimo, i sindacati confederali andranno a Taranto, mercoledì 28 novembre, a discutere della cassa integrazione per 1.942 dipendenti!

Il problema è che le forme dure della rivolta operaia come l’occupazione delle fabbriche e delle strade, le assemblee permanenti, il coinvolgimento degli altri lavoratori di altri settori, deve essere spesa nella direzione giusta, unificante, che garantisca vita e salute per tutti, senza farsi riassorbire da quei sindacati che hanno “scioperato” per il padrone, senza darsi falsi ed utopistici obiettivi “lanciati” da chi ha interessi politici ed elettoralistici. Parlano bene quei lavoratori che, a caldo, davanti ai cancelli dell’Ilva di Taranto, esigono che l’azienda “tratti con loro”, e non più coi sindacati.

Ma per non essere risucchiati rapidamente dalle manovre delle burocrazie essi dovranno fare esperienza di organizzazione indipendente, di autorganizzazione, che si ponga al di fuori di ogni visione aziendale, nazionale, “governista”. E che porti dentro le fabbriche e nelle piazze delle chiare e unificanti parole d’ordine:

Lavoro o non lavoro, un salario per vivere!

E’ il capitalismo che ci sfrutta o ci getta, a seconda di come va il mercato! Dunque che paghino i capitalisti – o il loro Stato – il nostro lavoro o la nostra disoccupazione, poco importa. Nessun lavoratore deve rimanere senza salario pieno. Le bonifiche ambientali vanno fatte , le deve pagare il padrone, e non devono portare alla perdita di un solo posto di lavoro!

Costruiamo un Comitato Autorganizzato di Lotta che, partendo dall’Ilva, si allarghi alle altre fabbriche!

Va da sé che la risalita dal disastro in cui ci sta trascinando il capitale ed i suoi “supporter” parte per forza di cose dalla presa d’atto che nessuno fa per noi, e che solo nelle mani dei proletari è racchiuso il presente, e soprattutto il futuro.

E’ la solita battaglia per l’autonomia operaia, che riesca a produrre un risultato vincente che, praticando l’obiettivo del salario lavoro o non lavoro, innalzi la coscienza di classe generale.

Per sfuggire al lavoro assassino ed alla fame ambientalista c’è solo la lotta per il salario garantito oggi, per la rivoluzione sociale domani.

Tutto il resto è chiacchiera! I programmi governativi, le promesse sindacali, l’illusione nazionalizzatrice.

L’unica cosa che conta e che serve è la forza, e l’organizzazione!

Comunisti per l’Organizzazione di Classe

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