Israele, il quadrilatero militare e il nuovo affollamento nel Mediterraneo Orientale

Una delle costanti che tutti danno per scontata in politica estera è l’asse privilegiato Israele-Usa, quindi l’idea di Israele “gendarme statunitense” in Medio oriente per questo ampiamente foraggiato, armato e difeso. Il dato della spesa americana per Israele e delle forniture militari è incontrovertibile.

Il vicepresidente Joe Biden ha informato il Senato Usa che la sola amministrazione Obama, dal 2008, ha fornito a Israele 17 miliardi di $ in aiuti militari; di cui 225 milioni consegnati nel pieno dei bombardamenti su Gaza quest’estate e 350 milioni stanziati il 13 dicembre 2014. Entrambe le elargizioni finalizzate ufficialmente a rafforzare il sistema missilistico “Iron Dome” che difende Israele dai razzi di Hamas.

Tuttavia questo asse Israele Usa, all’ombra del quale Israele ha creato una propria industria degli armamenti e soprattutto sviluppato ad alti livelli una propria tecnologia militare, non funziona affatto come un matrimonio monogamico. Israele infatti ha stretto disinvoltamente accordi e forme di cooperazione militare piuttosto strette con due “nemici” ufficiali degli Usa, nientedimeno che Cina e Russia.

La Cina è il terzo partner commerciale di Israele (l’interscambio è passato da 50 milioni di $ nel 1991 a 10 miliardi nel 2013) e per Israele è il secondo mercato per l’export dopo gli Usa, che sono il primo partner commerciale (24, 5 miliardi di $ di interscambio nel 2010) e anche il più importante investitore. Israele vende alla Cina principalmente minerali, prodotti chimici e componenti elettronici. La Cina è molto interessata anche a investire in Israele, ad es. nel settore agricolo (1,7 miliardi di $), nelle compagnie high tech. Infine con una spesa di un miliardo di $ i cinesi controllano la Tnuva Company, la più importante manifattura di latte e latticini di Israele, hanno il 60% di Agan Makhteshim, il gigante agrochimico, acquisito per 1,44 miliardi di $ e possiedono interamente Alma Laser (acquisita per 240 milioni di $). I cinesi sono stati coinvolti nel progetto di una ferrovia che unirà Eilat sul Mar Rosso al porto di Ashod sul Mediterraneo, con l’ambizione di costituire un’alternativa al Canale di Suez.

I cinesi finanziano con 300 milioni di $ anche ricerche congiunte fra l’Università di Tel Aviv e la prestigiosa Università Tsinghua di Pechino e in generale incoraggiano progetti congiunti di ricerca, in cui gli Israeliani forniscono la tecnologia e i cinesi la capacità produttiva. Israele da parte sua ha costruito il più largo impianto di desalinizzazione in Cina a Tienjin.

Ma Israele soprattutto è il secondo fornitore di armi alla Cina (il primo è la Russia): ha venduto alla Cina missili, laser, tecnologia aeronautica (quando gli Usa impedirono ad Israele la produzione degli avanzati jets Levi, perché troppo competitivi rispetto ad analoghi prodotti americani, la tecnologia dei prototipi fu ceduta ai cinesi che produssero nel 2008 il Chengdou J-10). Israele ha venduto direttamente aerei alla Cina in cooperazione con la Russia per 1 miliardo di $ nel 1999. Gli Usa hanno posto il veto alla vendita del sistema radar Falcon (=AWACS), preoccupati che “l’affare” diventasse una minaccia alla loro stessa sicurezza. E’ indubbio che spesso la Cina acquista da Israele quello che Russia e Usa non sono disposti a vendere.

Israele collabora militarmente anche con la Russia. Nel 1948 fu l’URSS a fornire agli israeliani, tramite la Cecoslovacchia, le armi per combattere la prima guerra contro i paesi arabi; poi Israele fece la scelta della relazione privilegiata con gli Usa, salvo riprendere le relazioni diplomatiche con la Russia nel 1991. Nel decennio successivo il russo divenne la terza lingua parlata in Israele grazie all’immigrazione di 1,1 milioni di ebrei russofoni, almeno metà provenienti dall’Ucraina, il 55% dei quali era laureato. Grazie a loro oggi Israele ha il più alto numero percentuale di ricercatori scientifici e di ingegneri sulla forza lavoro, più degli Usa e della Germania (Asia Times 23 maggio 2011); molti di loro occupavano in Russia posizioni accademiche o manageriali, legami poi sfruttati per realizzare accordi e collaborazioni.

Nel ’99 ci fu la fornitura congiunta russo-israeliana alla Cina di aerei per un miliardo di $. Nel 2004 ci fu il bis: la vendita di un radar EL/W-2090 israeliano, innestato su una piattaforma russa Ilyushin I1-76 venduto all’India (commessa da 1,1 miliardi di $). Ma le relazioni si deteriorarono nuovamente quando l’intelligence di Israele scoprì che i Russi avevano armato Hezbollah. Poi nel 2010 nuova svolta: un accordo militare di 5 anni che seguiva una partnership nella produzione di droni (componenti israeliani, montaggio in Russia). Russia e Israele stabiliscono una rete di comunicazione criptata fra i due primi ministri. Nel frattempo la Russia diventa il principale fornitore di gas a Israele. Nel 2011 l’accordo si estende al settore spaziale (astrofisica, biologia dello spazio, navigazione satellitare ecc.). La russa Rusnano, che si occupa di nanotecnologie stabilisce una filiale in Israele. Idem la Skolkovo, che si occupa dell’incontro fra innovazione tecnologica e affari.

Matrimoni di interesse in salsa economico militare
Gli intensi rapporti economici e militari non impediscono alla Cina di appoggiare Hamas e di condannare l’attacco a Gaza del luglio 2014. Lo stesso atteggiamento pragmatico fa si che la Cina intrattenga ottimi rapporti con l’Iran, di cui è il primo importatore di petrolio, e abbia importanti rapporti commerciali con l’Arabia saudita. Nel 2013 l’interscambio con l’Iran pesava 40 miliardi di $, con la Turchia 28 miliardi, con i paesi Arabi in totale 240 miliardi. Il 10,5% degli investimenti esteri diretti cinesi finisce nei paesi arabi , pari a 82 miliardi di $. (cfr Chine Global Investement Tracker).

Allo stesso modo la collaborazione russo-israeliana non impedisce alla Russia di essere il principale facilitatore per il programma nucleare dell’Iran (per ragioni prevalentemente economiche, cioè la vendita di macchinari e brevetti), nonché un pilastro di sostegno per il regime siriano. Almeno verbalmente la Russia appoggia incondizionatamente la causa palestinese. Nei fatti per Putin c’è una pericolosa somiglianza di metodi fra palestinesi e Ceceni. Quindi il governo Russo evita di offendere i sentimenti dei russi di religione mussulmana (circa 14 milioni e mezzo) e simpatizzanti per i Palestinesi, ma evita anche di offendere l’antisemitismo strisciante dei russi. Quindi fa affari con Israele senza esibirlo. Detto questo Primakov era personalmente anti-israeliano, ma Lavrov no.

Putin aveva un forte feeling con Sharon, che parlava correntemente russo, ma contratta anche con Netanyahu, perché è una necessità. Ha firmato un accordo da 400 milioni di dollari che prevede la coproduzione di veicoli spaziali da parte dell’israeliana Israel Aerospace Industries e la russa Oboronprom. L’asse Usa-Israele non ha impedito a Netanyahu di astenersi all’ONU sulla questione Crimea e di sospendere la cooperazione con l’Ucraina per la tecnologia militare. Dopo le sanzioni europee alla Russia si è aperto un nuovo filone di scambio con Israele che fornisce alla Russia prodotti ortofrutticoli. Putin del resto ha visitato Israele molto più spesso di Obama. Anche nel 2008, quando la Russia invase la Georgia Israele si era astenuta. In cambio la Russia ha accettato di non vendere missili S-300 all’Iran. L’unico motivo reale di frizione fra i due governi è comunque la presenza in Russia di numerosi media (giornali e televisioni) antisemiti.

Il quadrangolo militare gestito da Israele non è una novità, ma si colloca oggi in un contesto di rapida evoluzione del quadro geopolitica del Mediterraneo Orientale.

Da sempre il Mediterraneo Orientale ha una importanza strategica non solo per l’accesso al Medio Oriente, ma perché tramite Suez si collega al Golfo Persico e all’Oceano Indiano e perché qui terminerebbe una delle nuove “Vie della Seta” progettate dalla Cina. Dal Mediterraneo Orientale passa l’11% del petrolio mondiale commerciato (5% via Suez e 6% via Bosforo) e il 15% del gas liquefatto. Ma vi passa anche il 90% del commercio israeliano.

La scoperta di giacimenti offshore di gas nei tratti di mare di fronte a Gaza (nota 1) e fra Libano e Israele (in misura tale da rendere Israele autosufficiente in campo energetico ed un esportatore di gas se sfruttati) conferma l’interesse di Israele al controllo (diretto o tramite amici) di questo tratto di mare ma anche sviluppa gli appetiti di paesi finora esclusi da questo controllo.
Nel frattempo Israele utilizza qualsiasi pretesto per tenere alta la tensione a Gaza (dove è faticosamente iniziata la ricostruzione), ultimo nel tempo il raid della notte del 19 dicembre, per ribadire il suo controllo sul mare antistante e sul “tesoro” di idrocarburi che contiene.
Come ogni risorsa esso potrebbe consentire una vita migliore ai palestinesi e agli israeliani stessi, mentre nella realtà capitalistica di oggi diventa l’ennesima occasione di distruggere e uccidere.

Giacimenti Israele

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale il Mediterraneo Est era sotto il diretto controllo della Sesta Flotta Usa. Il disegno americano di controllo si è rafforzato dopo il 1979 quando si è creata la relazione privilegiata USA Israele Egitto e con il patto Usa Israele Turchia.

Dopo la caduta di Mubarak, l’Egitto, al di là dei cambi di governo, ha rispettato le clausole di pace con Israele del 1979, ma l’esercito egiziano ha difficoltà a conservare il controllo del Sinai, passato sotto la parziale influenza di Hamas, con grave preoccupazione di Israele. In più gli Usa hanno sospeso il finanziamento militare all’Egitto, che quindi sta considerando un eventuale ritorno all’alleanza con la Russia, che dal canto suo ha fatto delle avance verso l’Egitto per forniture di armi e di servizi di sicurezza per il porto di Alessandria.

La Turchia invece si è trasformata in un alleato infido dal 2002, data della ascesa al governo dell’AKP di Erdogan, e di recente la sua stessa lealtà alla Nato sembra messa in discussione dopo la firma di un contratto con la Cina per la fornitura di missili terra aria. La Turchia ha già mostrato un forte interesse ai giacimenti di gas e per l’occasione ha rispolverato il ruolo di “campione” di Gaza, di fatto cercando in più occasioni di forzare il blocco navale di Israele.

La flotta turca è la più importante nel Mediterraneo, con navi in grado di trasportare carri armati, elicotteri e migliaia di soldati e può utilizzare anche i porti della repubblica turco-cipriota.

La nuova aggressività turca ha favorito l’avvicinamento di Israele alla Grecia e alla Repubblica greco-cipriota. La nuova partnership riguarda un collegamento sottomarino di linee elettriche, progetti sul gas, turismo ecc., ma anche esercitazioni militari. La Grecia sarebbe inoltre il punto di passaggio obbligato di un gasdotto sottomarino che da Israele o da Gaza portasse il gas in Europa.

Da tempo gli Usa hanno iniziato a ridurre, anche economicamente l’impegno nel Mediterraneo, tendenza accentuatasi con la presidenza Obama che ha dichiarato l’Asia perno dell’interesse nazionale statunitense (oggi non ci sono più portaerei Usa, ma solo vascelli destroyers).

Questo crea nel Mediterraneo un vuoto di potere in cui ambiscono inserirsi la Russia, ma anche la Cina e persino l’Iran.

La Russia ha da tempo una base militare a Tartus in Siria e ha di recente annunciato che stabilirà nel Mediterraneo una task force navale su basi permanenti, perché “la regione Mediterranea è il centro da cui provengono le maggiori minacce agli interessi nazionali russi”. La Russia ha ottenuto facilitazioni per l’utilizzo dei porti della parte greca di Cipro e mostra già da un paio di anni un ovvio interesse a investire e offrire assistenza tecnica a Israele nel caso si decidesse di iniziare lo sfruttamento dei giacimenti offshore, sia quelli di fronte a Gaza che fra Israele e Libano.

Ed è qui che si inseriscono anche le ambizioni dell’Iran. Infatti Nel novembre 1999, Arafat aveva garantito, per 25 anni, lo sfruttamento dei giacimenti al largo di Gaza, per il 60% alla British Gas (BG Group) e per il 30% al suo partner Consolidated Contractors International Company (CCC), di proprietà delle famiglie libanesi Sabbagh e Koury. L’Iran ha già fatto sapere che non esiterebbe a finanziare e armare una flotta per difendere i “legittimi interessi del Libano” e “dei palestinesi di Gaza”, cui l’Iran è legato attraverso la storica alleanza con Hezbollah e Hamas. Una prospettiva che Israele vuole evitare a tutti i costi.

Oggi Israele non deve affrontare alcuna minaccia alle sue frontiere, anche se la sua forza militare è tale più che altro in rapporto alla debolezza dei suoi vicini (Stratfor 3 dicembre 2013). Per questo il governo Netanyahu concentra la sua attenzione nella direzione di impedire lo sviluppo dell’atomica iraniana. Israele ha in passato chiesto l’autorizzazione americana per bombardare la centrale nucleare iraniana di Bushehr, senza ottenerla. A questo stadio non sembra che l’Iran sia in grado di sviluppare l’arma se non in tempi remoti, in Israele c’è estremo nervosismo nei riguardi dei negoziati Usa-Iran. Nel governo Obama sembra prevalere l’interesse a utilizzare l’Iran come contrappeso regionale all’Arabia Saudita e alla Turchia. Ci sono forti pressioni delle lobbies industriali a ristabilire relazioni economiche con l’Iran, che ha estremo bisogno di investimenti e assistenza tecnica. E’ possibile che una conseguenza indiretta di un riavvicinamento USA-Iran sia un corrispondente avvicinamento Israele Arabia Saudita; in particolare si parla di trattative segrete in base alle quali Ryad concederebbe agli israeliani il sorvolo del loro territorio se bombardassero l’Iran.

Israele oggi ha molti motivi di frizione con gli Usa e viceversa; questo non impedisce la nutrita minoranza ebraica che vive negli Usa continui ad esercitare una formidabile azione lobbistica sul Congresso americano perché Israele continui a ricevere aiuto e assistenza. Ma anche perché il Mediterraneo Orientale resti un mare americano non troppo affollato.

Nota 1: Le riserve di gas accertate al largo di Gaza sono stimate in 30 miliardi di metri cubi di gas; sfruttabile entro 3-4 anni, con un investimento di 1 miliardo di $ e un ritorno economico di 6-7 milioni di $ previsti per parecchi anni. Sia Abu Mazen che Netanyahu hanno fatto delle aperture a Gazprom per allargare anche alla Russia lo sfruttamento