La grande ammucchiata

Dopo una lunga impasse e tante giravolte, lo stato italiano ha un governo.
Chiesto a gran voce dalla classe dirigente, imposto dal presidente Napolitano – rieletto per favorirne la nascita – è composto dagli stessi partiti che ad ogni campagna elettorale si sono dichiarati guerra senza quartiere e che sia nell’appoggio del governo Monti sia in questa maggioranza sia in diversi governi “extraparlamentari” si sono trovati affratellati nel garantire gli interessi della borghesia.

I giornali di oggi esultano e sottolineano gli aspetti di novità rispetto agli esecutivi del passato: età media bassa (53 anni), buona presenza femminile (7 donne su 21 ministri), personaggi “nuovi” più disposti al dialogo che allo scontro, per la prima volta un ministro di colore…
Un coro di elogi per sottolineare la necessità di una stabilità, non importa di quale esecutivo. Con buona pace di chi ha predicato a lungo l’alternanza delle maggioranze parlamentari.
Un coro che viene rafforzato dai fatti di stamattina, quando un uomo – un muratore disoccupato, forse spinto dalla disperazione personale – ha sparato ai carabinieri di scorta a Palazzo Chigi: sia il neo-ministro degli Interni Alfano, sia opinionisti dei media ne hanno approfittato per contestare “l’antipolitica” o invitare ad “abbassare i toni”.
Mentre i mass-media si accalcano intorno a questa breve sparatoria, ben poca attenzione viene data a quella di Palermo, dove i carabinieri hanno usato le armi da fuoco contro i lavoratori precari della Social Trinacria onlus davanti all’Assemblea Regionale Siciliana. Un buon inizio per il nuovo governo: se il buongiorno di vede dal mattino…

Le vicende di questi giorni confermano la marginalità delle elezioni come fattore determinante non solo nelle scelte politiche degli esecutivi, ma anche nella loro composizione.
Napolitano – ormai capo di una repubblica semi-presidenziale – si affanna a ripetere che questo è un governo “politico”, voluto dal parlamento, non un governo “del presidente”, come se lui fosse stato estraneo alla sua formazione.
Le forze politiche della nuova maggioranza sono già state al governo. Hanno tutte attuato politiche molto simili nel favorire la borghesia: aumento della flessibilità – ciascuno a suoi modo: chi col Pacchetto Treu, chi con la Legge Biagi –, sgravi sociali alle imprese – cuneo fiscale, detassazione degli utili – e riduzione del potere contrattuale dei lavoratori – ridimensionamento del contratto nazionale.
Il nuovo governo si appresta a proseguire sulla stessa strada, aumentando la cosiddetta “flessibilità in entrata” per le assunzioni dei lavoratori precari: meno vincoli di continuità del rapporto di lavoro, quindi più precarietà.
Altri punti del governo sono: pagare i debiti delle PA, tagliare i costi della politica, varare una nuova legge elettorale, ridiscutere con l’Europa la politica di Austerity, ridimensionare la macchina politica – provincie, parlamento, rimborsi elettorali – taglio del costo del lavoro. Punti ampiamente sostenuti – pur con diversi accenti – da tutte le forze politiche.
In questo senso c’è una paradossale coerenza in questa ammucchiata di forze politiche così disparate: al netto degli slogan e delle promesse elettorali, non solo rappresentano tutte gli interessi della borghesia, seppure con una – sempre più ristretta – base sociale interclassista, ma hanno di fatto lo stesso programma. E’ in qualche modo logico che si trovino d’accordo nelle scelte fondamentali.

La scelta dei ministri non promette un mutamento di linea politica.
All’Economia va Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia, che dovrà rinegoziare con Bruxelles le condizioni della Spending Review, ma nel quadro di un solido rapporto con la UE, ben lontano dalle velleità di maggiore autonomia economica che buona parte della borghesia italiana chiede.
Agli Interni il segretario berlusconiano Alfano, per ribadire il carattere “bipartisan” dell’esecutivo.
Agli esteri va Emma Bonino, personaggio che è transitato da sinistra a destra e viceversa, già commissario europeo e inviata ONU, che da decenni si dichiara “nonviolenta” mentre promuove “guerre umanitarie” purché siano benedette dalle Nazioni Unite nel nome del “diritto internazionale”.

Le aspettative della classe dirigente per questo governo sono ampie: vogliono non solo stabilità, ma uno stimolo alla ripresa, per quel poco che le istituzioni possono determinare.
Oggi il quotidiano di Confindustria tuona contro l’Austerity voluta dal governo tedesco, e invoca un “nuovo corso” di stimolo statale dell’economia. I margini non sono ampi. E’ ormai certo che servirà una nuova manovra economica per coprire un buco di almeno 11 miliardi che potrebbero diventare 29: l’Imu sulla prima casa da ridimensionare, il rifinanziamento della Cassa in deroga, nuovi fondi per la sanità, il rifinanziamento delle missioni militari…
Quindi, nuovi tagli, oppure nuove tasse sui consumi e sul potere d’acquisto dei lavoratori.

Invece le nostre aspettative non solo sul governo ma sul sistema politico in generale sono nulle. Non ci uniamo al coro di chi vuole il ritorno a un maggiore ruolo del parlamento nella politica nazionale, né di chi vuole un governo “veramente di sinistra”.
Abbiamo già sperimentato – ormai da decenni – che senza una rivoluzione sociale ogni forma istituzionale – parlamentare o presidenziale, democratica o fascista – e ogni governo – di destra o di sinistra, o di tutte e due insieme come ora – sono solo un sistema di garanzie per gli sfruttatori.
Per i lavoratori non servono nuovi governi o riforme istituzionali: serve l’unione per difendere i propri interessi, serve la lotta per una società senza sfruttamento.
In un momento in cui i partiti tradizionali della sinistra si spaccano e le nuove leve del massimalismo parolaio (M5S) si dimostrano inconcludenti, in un momento in cui la borghesia impone ai lavoratori sempre nuovi sacrifici, il compito dei comunisti è raccogliere il crescente disagio sociale e le diverse lotte che affiorano sparpagliate e disperse per convogliare questo potenziale in una prospettiva rivoluzionaria per l’abbattimento del capitalismo.

Comunisti per l’Organizzazione di Classe

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