La mannaia del governo sui lavoratori della scuola

Precari-della-scuola

Come si sa in Italia l’avvio dell’anno scolastico è differenziato a livello regionale. Quest’anno il 17 settembre è stato il giorno in cui in tutte le scuole del paese gli studenti sono ormai nelle classi nelle classi. Un avvio decisamente anomalo dato che per quel giorno un piccolo sindacato di base, l’Unicobas ha proclamato una giornata di sciopero per il personale scolastico con manifestazione nazionale a Roma sotto il ministero dell’istruzione. Anche per i non addetti ai lavori non è difficile collegare questa anomalia di uno sciopero nel primo giorno di scuola a livello nazionale al piano del governo di riforma della scuola. Tutti i mezzi di comunicazione di massa hanno dato ampio risalto alle linee governative in maniera di istruzione con però una grande differenza mentre i media di regime, praticamente la stragrande maggioranza, hanno incensato le “storiche” novità previste da Renzi e soci, mettendo acriticamente l’accento sulla ventilata assunzione di 150.000 precari della scuola, i pochissimi organi di informazione di opposizione, soprattutto i siti di sinistra, hanno messo in risalto gli effetti deleteri per i lavoratori della scuola e per gli studenti del progetto governativo, tutti aspetti che i media di regime hanno accuratamente evitato di mettere in risalto.

Essendo stato denunciato con efficacia e nei dettagli più specifici quanto “veleno” dovranno ingoiare i lavoratori della scuola in seguito a una tutt’altro che remota approvazione da parte del Parlamento di una legge che metta in atto i contenuti della “buona scuola” di Renzi (in realtà buona solo per i capitalisti a cui viene favorito l’ingresso massiccio nel campo del’istruzione) non è scopo di questa nota riassumere il contenuto del piano governativo, rimandando a tal proposito a quanto scritto su Contropiano, Controlacrisi, Il Manifesto. In questa sede ci interessa riflettere sullo stato attuale dei lavoratori della scuola e sui passaggi che possono ostacolare o favorire la costituzione e lo sviluppo di un movimento di resistenza di massa, movimento che sia in grado di fare abortire il disegno governativo-padronale finalizzato a impoverire docenti e il resto del personale della scuola mediante una decurtazione sistematica dei salari e ad aumenti dei carichi di lavoro senza contropartita e alla perdita del posto di lavoro per migliaia e migliaia di precari che già lavoravano nella scuola e che non solo non rientreranno tra i 150.000 fortunati (si fa per dire) che verrebbero assunti dall’anno prossimo ma con molte probabilità non rientreranno mai più a insegnare.

E’ ipotizzabile che nel breve periodo si possa sviluppare un movimento di resistenza generale dei lavoratori della scuola? Noi temiamo che questo non avverrà anche se ci auguriamo di tutto cuore di essere smentiti dai fatti. Ovviamente sono importanti le mobilitazioni di queste settimane come la contestazione di un gruppo di precari alla festa del PD a Sesto San Giovanni, quella a Renzi a Palermo da parte di un altro gruppo di precari e, ancor di più la manifestazione dei precari di seconda fascia, veramente molto affollata, tenuta a Roma il 10 settembre. Tuttavia non va mai dimenticato che per il momento si è mosso un numero molto ristretto di lavoratori e in un settore come quello dell’istruzione in cui lavorano centinaia di migliaia di dipendenti gli equilibri non possono essere spostati da qualche centinaio di lavoratori che si mobilitano La massa è ancora totalmente passiva. E qui cominciano i problemi: la maggioranza dei lavoratori dell’istruzione in Italia e soprattutto i docenti che ne costituiscono la componente quantitativa di gran lunga preponderante, non ci sembra al momento attrezzata per combattere una battaglia di lunga durata che richiederebbe, per avere una qualche probabilità di successo, un grande spirito di sacrificio, la capacità di agire in maniera solidale, coraggio di sfidare la legalità dello Stato borghese (è ovvio che gli scioperi di un giorno servono a quasi nulla, per fare danno serio devono essere prolungati nel tempo ma questo per la legge di regolazione degli scioperi nei servizi essenziali è illegale), ingredienti tutti indispensabili per fare le cose sul serio, mettere il governo in difficoltà e costringerlo a ritirare il progetto. A noi non sembra che i lavoratori della scuola siano arrivati al punto di maturare la necessità di mettere in campo tutte le armi per una battaglia dura e difficile.

Da molto tempo il prestigio del mestiere di insegnante è decaduto, la posizione privilegiata rispetto alla massa di lavoratori salariati è anch’essa da gran tempo superata, tuttavia gli insegnanti per quanto ammaccati nella considerazione sociale, vituperati e persino ridicolizzati e messi alla berlina da campagne stampa ben orchestrate mantengono tutti i pregiudizi piccolo borghesi, l’individualismo, la passività, la mancanza di coscienza politica e sindacale tipici di una condizione sociale ormai definitivamente tramontata (naturalmente ci riferiamo alla coscienza maggioritaria della categoria). La qual cosa può apparire strana solo alla sinistra superficiale che parla o scrive senza conoscere a fondo le cose: la “proletarizzazione” degli insegnanti di cui tanto si è blaterato in realtà è vera solo in parte e solo per quanto riguarda la “posizione lavorativa” dei docenti che si è, anche di molto, avvicinata a quella dei salariati comuni ma, a livello individuale, una parte molto significativa dei docenti permane socialmente nella piccola borghesia (chi per matrimonio con imprenditori o professionisti, chi perché oltre al lavoro a scuola svolge la professione di avvocato, ingegnere, commercialista e così via, chi semplicemente perché benestante di famiglia). La sinistra più o meno radicale ignora sistematicamente questo stato di cose e sistematicamente incappa in cocenti delusioni. I partiti della sinistra borghese invece non ignorano questo stato di cose e sistematicamente fanno incetta di voti e reclutano candidati per le elezioni, soprattutto locali, tra gli insegnanti.

Naturalmente ci potrebbe domandare se il personale della scuola può trovare delle forme di difesa nelle organizzazioni sindacali e soprattutto se attraverso esse può essere facilitata la presa di coscienza degli stessi lavoratori riguardo alla possibilità e necessità di difender il salario e il posto di lavoro con la lotta. A questa domanda si può dare risposta solo distinguendo nettamente tra sindacati di regime (cgil, cisl, uil, gilda, snals, ugl) e sindacati di base. Per quanto riguarda i primi questi non sono altro che succursali esterne del ministero a cui i lavoratori si rivolgono per avere servizi (ricostruzione carriera, domande di trasferimento e così via): tutto fanno tranne che lottare per tutelare i lavoratori (anche se, in determinate circostanze, per mantenere il ruolo di luogotenenti dell’amministrazione tra i lavoratori si devono dare pose da duri, poi mai mantenute sul serio) meno che mai cercano di favorirne una presa di coscienza. I secondi sono estranei alle dinamiche dei sindacati di regime, potenzialmente avrebbero le carte in regola per guidare un movimento di resistenza efficace. Invece, di fatto, malgrado le buone intenzioni, nella maggioranza dei casi girano a vuoto o peggio, inconsapevolmente fanno danno. Le ragioni di questa insufficienza dei sindacati di base sono molteplici. Innanzitutto nella scuola per ovvi motivi son finiti a lavorare tanti sessantottini e post sessantottini con esperienze anche significative di attività politica nella sinistra radicale. Tutti i dirigenti dei sindacati di base della scuola vengono dal mondo della sinistra extraparlamentare e di essa naturalmente si portano dentro le cose buone ma anche le tare che distinguono nella sostanza la sinistra radicale piccolo-borghese dal comunismo proletario marxista: volontarismo soggettivistico, pressappochismo, incapacità di valutare i rapporti di forza. I dirigenti dei sindacati di base, a differenza dei cinici arraffoni dei sindacati di regime, si indignano per i peggioramenti causati dagli innumerevoli tagli all’istruzione, vedono il peggioramento costante delle condizioni dei lavoratori e vorrebbero porvi rimedio, sognano un movimento di massa che faccia tremare le vene ai polsi ai rappresentanti governativi della borghesia ma… immaginano masse di lavoratori sempre pronti a scioperare e a scendere in piazza appena loro fanno uscire un comunicato stampa. Fanno dichiarazioni in cui promettono fuoco e fiamme e poi si ritrovano (le eccezioni confermano la regola) due gatti in piazza.

A queste tare non da poco va aggiunto che i sindacati di base sono tanti e invece di avviare un processo di unificazione che potrebbe dar loro forza e credibilità presso la massa dei lavoratori si mettono in concorrenza spietata fra di loro anche quando a parole predicano l’unità. In apertura di questa nota si citava lo sciopero indetto dall’Unicobas per il 17 settembre. Non poche critiche si potrebbero legittimamente fare al modo in cui è stato indetto tale sciopero : sciopero calato dall’alto, senza nessuna verifica assembleare nelle migliaia di scuole sparse per la penisola (alla faccia del sindacalismo…di base!). Tuttavia con tutti i difetti nella sua convocazione era pur sempre proclamato da lungo tempo; le altre sigle del sindacalismo di base avrebbero comunque potuto avvisare i loro iscritti e coinvolgerli nella costruzione della mobilitazione. Troppa grazia! La data dello sciopero del 17 è stata allegramente ignorata : i Cobas scuola, pensando di fare i primi della classe, hanno unilateralmente proclamato uno sciopero per il 10 ottobre mettendo davanti al fatto compiuto le altre sigle di una certa consistenza (CUB e USB) e lasciando col cerino in mano l’Unicobas. E’ stato così organizzato uno sciopero fallimentare (quello del 17/9) e se ne profila un altro (quello del 10 ottobre) che rischia di essere l’ennesimo flop se la capacità di mobilitazione degli attivisti in queste settimane non viene dispiegata al massimo livello. Con tanto di ringraziamenti da parte di Renzi e compari.

Ovviamente, va da sé, che una categoria che deve imparare l’abc della lotta sindacale non può certo essere organizzata in questo modo! Un cambio di rotta è necessario. I movimenti di massa non si costruiscono a tavolino da forze organizzate, siano esse sindacati o comitati di lotta ed emergono realmente solo quando le condizioni lo permettono. Tuttavia atteggiamenti sbagliati delle forze organizzate possono soffocarli o limitarli pesantemente. I compiti permanenti delle forze organizzate sono quelli di conquistare e mantenere la fiducia della massa dei lavoratori e ciò non sarà mai possibile se si dà di se stessi l’immagine di un’armata Brancaleone rissosa e inconcludente.
Si può rimediare a questo attuale stato di cose? Noi siamo convinti che è possibile. Se è vero che al momento attuale la maggioranza dei lavoratori della scuola accetta passivamente il peggioramento delle sue condizioni salariali e normative, cionondimeno la battaglia va fatta anche se bisogna essere coscienti che per ora si tratterà di una lotta che potrà decollare veramente solo se si individua l’anello debole della catena. A nostro avviso tale anello debole sono i precari che non verranno inseriti nel piano di assunzioni del progetto governativo e si parla di oltre 100.000 lavoratori che rischiano davvero di finire in mezzo alla strada dopo anni di lavoro nelle scuole. A nostro parere perciò la lotta contro il piano scuola di Renzi dovrà avere come nucleo centrale la lotta per salvare il posto di lavoro di questi precari, solo a questa condizione potrà svilupparsi come lotta di massa. Consapevoli di ciò indirizzeremo in questa direzione il nostro intervento attivo nelle forze organizzate (oggi principalmente nei sindacati di base) e tra i lavoratori: solo mobilitando gli “ultimi” si creeranno le condizioni che permetteranno di far diventare patrimonio collettivo anche per i lavoratori della scuola la consapevolezza che solo con la lotta e l’organizzazione si possono tutelare il salario e le condizioni di lavoro e combattere la precarietà.