La pace, il condizionatore e la campagna riarmista

L’infelice uscita di Draghi nel presentare il DEF esprime tutta la sua sensibilità da banchiere abituato a gestire milioni di euro e convinto che se un lavoratore aspira alla pace è solo perché è preoccupato del prezzo della benzina o dell’elettricità, questioni banali che non hanno mai preoccupato la gente come lui.

Lui e Mattarella, come del resto il grosso del PD, dove l’anima ex democristiana ormai prevale nettamente, si sono prontamente allineati alla posizione ultrabellicista della Nato, col plauso ovviamente dei renziani, da sempre i più filostatunitensi dello schieramento.

Per ora l’aumento delle spese militari fino al 2% del PIL non compare nel DEF, è rinviato. Risultato in parte dell’opposizione di Conte a nome del M5S, che si è astenuto anche sulle agevolazioni Iva per l’export di armamenti (sì, avete letto bene, in tempi di inflazione, quando parecchie famiglie hanno problemi a far quadrare il bilancio, si alleggerisce la tassazione … agli esportatori di armi, come previsto da una direttiva europea del 2019).

Quella dei 5S non è una posizione di principio, ma tattica. Nel 2020 in piena pandemia il governo Conte ha aumentato la spesa militare di 5 miliardi (cfr. Espresso 5 aprile 22). L’opposizione di Conte è una posizione pre-elettorale: ha capito che l’opinione pubblica non è favorevole al riarmo nonostante la martellante campagna di stampa che giornalmente ci aggredisce dagli schermi televisivi e dai giornali.

Ancora 7 giorni fa solo il 20% era favorevole all’aumento degli armamenti e solo il 40% all’invio di armi all’Ucraina (vedi: https://www.affaritaliani.it/politica/italiani-guerra-russia-ucraina-789708.html).

Del resto, anche chi, come Cacciari o Prodi, nelle file del PD non è entusiasta di arrivare al 2%, non è nettamente contrario al riarmo, consiglia solo di spostare il problema sul versante europeo: una Difesa europea permetterebbe risparmi e una maggiore efficacia con lo stesso livello di armamento, razionalizzando, eliminando i doppioni. Peccato (per la borghesia italiana ed europea) che pochi credano in una politica estera unitaria a livello europeo e quindi in una spesa militare coordinata (vedi le tesi di Caracciolo su Limes). 

Intanto l’Europa reale ha deciso uno stanziamento collettivo di 500 milioni in più rispetto al miliardo già deliberato tra febbraio e marzo per sostenere le forze armate ucraine. Prevede l’invio di attrezzature e forniture quali dispositivi di protezione individuale, kit di pronto soccorso e carburante, nonché “attrezzature e piattaforme militari concepite per l’uso letale della forza a fini difensivi”. L’ITALIA partecipa al programma, per il 12,5% del totale. L’Osservatorio Milex sulle spese militari italiane, ha calcolato che in totale l’Italia contribuirà con 187,5 milioni di euro.

Quindi i lavoratori vedono calare i propri redditi mentre, dopo Big Pharma grazie alla pandemia, anche le Big Weapons (i grandi gruppi degli armamenti) si arricchiranno ulteriormente producendo e vendendo sempre più armi.

 Più cannoni e meno burro, dicevano i nostri nonni, e la musica non è gran che cambiata. Più armi e meno scuola, meno sanità, meno sicurezza sul lavoro.

Il riarmo italiano non è una conseguenza inedita della guerra in Ucraina.

Già il 29 settembre 2021 durante la conferenza stampa sulla “Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza” (Nadef), Draghi dichiarava “Ci dobbiamo dotare di una difesa molto più significativa e bisognerà spendere molto di più di quanto fatto finora”.  Draghi è stato di parola. La spesa del Ministero della Difesa prevista per il 2022 è di 25,8 miliardi (Il dato si ricava dal report dell’Osservatorio Milex sul bilancio previsionale dello Stato per il 2022) con un aumento di 1,35 miliardi. Se si aggiungono gli acquisti di materiale bellico a carico del ministero dello Sviluppo e i fondi per le missioni internazionali elargiti dal ministero del Tesoro, si arriva comodamente a 30,4 miliardi. Meloni commenta “La libertà ha un prezzo”.

A cosa servono tutte queste armi? Non certo a difendere il “suolo patrio”, ma a garantire gli interessi economici italiani in giro per il mondo e garantire posizioni geostrategiche.

L’aumento della spesa militare, quindi, va visto come una tendenza che si è evidenziata prima dell’attacco russo all’Ucraina e causato dall’inasprirsi della contesa tra imperialismi, in un momento in cui si ridefiniscono i rapporti di forza.

Una tendenza in atto in tutta Europa, a partire dalla Germania che stanzia 100 miliardi in più per rafforzare il proprio esercito e la Polonia che porta a 300 mila gli effettivi delle proprie forze armate e il bilancio della difesa al 3%. Un riarmo generale che forse sarà esclusivamente funzionale al riarmo della NATO guidata dagli USA, forse la base della creazione di un esercito europeo autonomo, o forse resterà spezzettato in tanti eserciti nazionali, ma in ogni caso preparerà nuovi e più sanguinosi massacri del futuro.

La guerra in Ucraina consente di esplicitare questa tendenza, giustificarla in “modo nobile”, produrre assuefazione nei lavoratori e dei civili italiani, per ora non toccati dalla guerra guerreggiata.

Un’assuefazione che come comunisti dobbiamo combattere, per ricordare il carattere imperialista della guerra, quella scatenata da Putin come quelle che il riarmo italiano e non solo prepara per il futuro.

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