La Sea Watch, Salvini, i sindaci, il decreto sicurezza e la rendita da razzismo

Finita la bagarre per il Def, prima che si arroventi la bagarre per Reddito di Cittadinanza e Quota 100, si recupera, tanto per cambiare, il tema immigrazione per stare sul sicuro e preparare sulla lunga distanza la propaganda elettorale per le europee e le elezioni amministrative.

Da 17 giorni la Sea Watch col suo carico di “ben” 49 migranti “mette a rischio la sicurezza dell’Europa” secondo alcuni ministri sovranisti, fra cui brilla, ovviamente, Salvini. La penosa partita su chi “cede” per ultimo, su chi mostra la faccia più dura e squallida, non vede per ora vincitori.

É buona norma non abusare dei paralleli storici. Ma la mente corre alla S. Louis del maggio 1939, col suo carico di ben 639 ebrei che cercavano di sfuggire ai lager nazisti, respinti da Cuba, Canada e Usa, approdati alla fine a Anversa e cui solo 288 furono accolti dalla Gran Bretagna (degli altri quasi altrettanti morirono ad Auschwitz e a Sobibor). Non abusiamo dei paralleli, ma diciamo che Trump e i leader europei hanno dei precedenti: il capitalismo riconferma certi valori come l’egoismo individualista e il disprezzo per la vita umana.

Qualche giorno fa il sindaco di Palermo, Orlando, ha sospeso l’applicazione del Decreto sicurezza, per quanto riguarda l’art.13, sperando di creare un caso che faccia finire la questione alla Consulta. Alcuni sindaci lo hanno appoggiato. Ieri sei regioni hanno annunciato il ricorso per un parere alla Consulta.

Vien da dire “era ora”. Per tutto dicembre sindacati di base, associazioni, gruppi hanno protestato contro il decreto sicurezza, ricevendo poca attenzione dai media ormai in buona parte asserviti al padrone di turno.

Che siano i sindaci a muoversi è logico, dal momento che la parte del Decreto che riguarda i richiedenti asilo è certamente criminogena, trasforma in clandestini stranieri che avevano un regolare permesso di soggiorno, esponendoli al rischio di finire fra le braccia della criminalità organizzata, per cui questo decreto merita il nome di “decreto insicurezza”.

L’iniziativa di Orlando riguarda il solo art.13 in cui si afferma che il permesso di soggiorno rilasciato ai richiedenti asilo non costituisce titolo per la residenza, cioè per l’iscrizione anagrafica. Iscrizione che consente di scegliere il medico di base, iscriversi alle liste per asilo nido e scuola materna, iscriversi alla scuola oltre l’obbligo, iscriversi ai centri per l’impiego, aprire una partita Iva, chiedere il gratuito patrocinio.

Lodevole che qualche sindaco si sia posto il problema, ma non sufficiente. Intanto la Consulta potrebbe dare parere negativo e dire che il Decreto va bene cosi com’è.

La risposta potrebbe andare alle calende greche e nel frattempo il decreto verrà applicato in molte situazioni a tutto danno degli immigrati.

L’iniziativa dei sindaci non contesta tutti gli altri aspetti della legge deleteri per i migranti:

  1. l’abolizione della protezione umanitaria (art.1);
  2. il prolungamento dei tempi di trattenimento, pur in assenza di reati, in quei lager che sono i Centri Permanenti per il Rimpatrio;
  3. lo smantellamento di buona parte del sistema di accoglienza;
  4. rendere difficilissimo ottenere la cittadinanza e relativamente facile perderla dopo averla acquisita.

Nessun esponente pubblico invece ha protestato per le norme liberticide che riguardano gli stranieri e gli italiani in quanto lavoratori. Ad esempio l’aggravamento rispetto al Decreto Minniti dei provvedimenti di Daspo, cioè dell’allontanamento per sei mesi da determinate aree (ad es. aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli ecc.). Oppure viene reintrodotto il reato di blocco stradale (che era stato depenalizzato nel 1999), sanzionato, se il fatto è commesso da più persone, con la pena della reclusione da 2 a 12 anni. Uno strumento che era stato conquistato per dare visibilità alle lotte viene punito più di un omicidio: Lo stesso si può dire del raddoppio della pena per l’occupazione di un edificio da parte di più persone, soprattutto se l’edificio è pubblico (con questo viene sanzionato chi, da sfrattato, cerca un’alternativa al dormire sotto i ponti).

Nelle settimane scorse, infine, abbiamo sentito molti esponenti dell’opposizione parlamentare criticare il Decreto perché, indebolendo il sistema di accoglienza, toglie lavoro agli italiani impiegati in tali sistema, politici che oggi fanno i legalisti persino rispetto all’iniziativa dei sindaci, dispiaciuti evidentemente che certe idee non siano venute direttamente a Minniti.

Concludendo, non occorre essere cristiani, basta essere uomini per sentirsi in dovere di continuare a denunciare questo Decreto, di organizzarsi per protestare e per boicottare, abbandonando la speranza che la soluzione venga dagli uomini del sistema.

La nostra sicurezza non è minacciata dagli sfrattati, dai richiedenti asilo o dai lavoratori che scioperano per un salario e condizioni di lavoro decenti, ma dalle morti sul lavoro, dall’abusivismo che consente di costruire case sui greti dei fiumi, dall’inquinamento che ci fa morire di tumore, dai tagli alla sanità, dalle scuole che non sono a norma, dalle mafie protette del profitto, per cui crollano i ponti e i treni deragliano perché non si aggiustano le traversine.

Criminalizzare gli immigrati trasformandoli in clandestini (senza alcuna possibilità reale di rimandarli al loro paese, come Salvini sa benissimo) serve a trasformarli in docili schiavi da far lavorare in nero, serve a creare un clima di incertezza e paura, a indebolire le tutele.

E’ questa la “rendita da razzismo” che Salvini offre alle mafie.

Non solo: del braccio di ferro dei due sovranisti, Salvini e il premier di Malta, oggi le vittime sono i 49 migranti della Sea Watch, come lo sono i morti nel Mediterraneo e nel Sahara (perché chiudere i porti non riduce l’immigrazione, la rende solo più pericolosa e mortifera), come lo sono le migliaia di immigrati restituiti agli aguzzini libici.

E chi come Minniti ha preparato il terreno, rendendo ahimè abbastanza vero che fra destra e sinistra c’è poca differenza, ha le sue responsabilità.

Ma anche chi tace, anche se non acconsente, ha delle responsabilità.

Mai come ora dobbiamo gridare “non in mio nome”.