L’affondo sull’articolo 18

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E siamo di nuovo d’accapo con l’Articolo 18 della “Legge 300”, più comunemente conosciuta come “Statuto dei Lavoratori”. Tale Articolo prevede il diritto di “reintegra”, cioè di ripristino del posto di lavoro per quel lavoratore licenziato in maniera “discriminatoria”: con motivazioni inerenti cioè alle sue convinzioni o appartenenze politico- sindacali, al suo credo religioso, alla sua razza ed a tutto ciò che concerne il terreno della sua vita privata.

Molti dei difensori di questa Legge e di questo Articolo, attaccato a più riprese da governi e padroni da un quindicennio a questa parte, si sono appellati ad essi come a “norme di civiltà” di per sé inalienabili, arrivando a sostenere che la loro cancellazione avrebbe significato la cassazione della Costituzione Italiana dai luoghi di lavoro.

Ora il governo Renzi, dopo aver negato a più riprese che fosse questo il vero problema per la “ripresa” dell’economia italiana (sostenuto dalle dichiarazioni “concilianti” del presidente di Confindustria Squinzi), ripropone l’“affondo” sull’Articolo 18, dentro il pacchetto di precarizzazione diffusa che corrisponde al “Jobs Act”.

Perché e per cosa?

Ricordiamo a tutti gli smemorati (o presunti tali) che già due anni fa, con la Fornero (sotto il governo “tecnico” di Mario Monti e con l’appoggio di quasi tutto lo schieramento parlamentare, PD in primis), si diede il via libera ai “licenziamenti individuali per motivi economici”; i quali, pur se “immotivati”, non avrebbero più fatto scattare la “reintegra”, ma un “risarcimento economico” per il lavoratore vittima del sopruso. E con questo l’Articolo 18 veniva ampiamente aggirato e sbeffeggiato.

Ricordiamo ancora -qualora ce ne fosse bisogno- che da un lato la polverizzazione in micro imprese del panorama produttivo italiano fa sì che su oltre 11 milioni di operai ed impiegati poco più della metà siano coperti da questa Legge (non applicabile al di sotto dei 15 dipendenti); e che dall’altro lato proprio la continua e diffusa precarizzazione (sostenuta a più riprese in maniera “bipartizan” in parlamento) abbia nei fatti enormemente allargato lo spettro dei lavoratori “esclusi”.

Ricordato questo, abbiamo già in parte risposto al quesito posto precedentemente.

Dal momento però che l’Articolo 18 non c’entra nulla con la “rigidità” del mercato del lavoro (che è tra i più flessibili del mondo, con 42 tipologie di contatto), dal momento che esso non c’entra nulla con gli “incentivi” ad investire in Italia, dal momento che è assolutamente paranoico proporre la cassazione di un diritto per alcuni (i cosiddetti “garantiti”, quelli che avrebbero la ventura di essere assunti a tempo indeterminato, sic) come una “estensione” dei diritti per tutti (quando vuol dire l’esatto opposto)… dal momento che tutto ciò è evidente anche al più malavitoso dei politici borghesi, dobbiamo ancora capire le vere finalità della nuova “querelle” sull’Articolo 18.

Potremmo così sintetizzarle:

1) condurre un’operazione di TERRORISMO dentro i luoghi di lavoro, non tanto “preventiva” di lotte di cui ahimè non si vede l’ombra, quanto propedeutica a dare un giro di vite sulla schiavizzazione estrema del lavoro, sull’affinare l’arma del ricatto, nello scatenare la concorrenza tra i lavoratori stessi, e nel recuperare in questo modo quote non indifferenti di produttività (qui Marchionne ha fatto scuola; e poco importa se quotidianamente gli operai lasciano sul terreno morti ammazzati);
2) condurre, di concerto sul tasto dei diritti (e della rappresentanza), un’opera di smembramento di ogni forma di contrattazione collettiva, puntando ai contratti individuali, al salario legato il più possibile all’andamento aziendale, all’intercambiabilità del singolo lavoratore (non a caso una delle misure di “riscrittura” della Legge 300 prevede il “demansionamento”, cioè la possibilità di essere declassati a mansioni diverse da quelle sancite dal livello di inquadramento;
3) ricondurre le burocrazie sindacali da Apparati Centrali “pesanti” e costosi per le aziende (soprattutto quelle pubbliche) -con le loro “appendici” periferiche (di cui non si sente più il bisogno)- a strutture “funzionali” per il capitale, agili e ben maneggevoli “in loco” (per cui il “bravo funzionario” sindacale non dovrà più fare la trafila “interna”, per poi passare al partito, e poi magari in parlamento, oppure in qualche CdA di prestigio, ma potrà essere “cooptato” direttamente in azienda…). Non a caso è in atto sui “grandi” organi di stampa una campagna tesa a dimostrare che le “resistenze conservatrici” della Triplice alla definitiva demolizione dell’Articolo 18 vengono dal “Centro” romano e non dalle “periferie” produttive, in cui nel 90% dei casi si firmano Accordi (sostenuti dal “largo consenso” degli interessati) dove si “superano” verso la “flessibilità” e la “modernità” gli “stantii dibattiti ideologici” (vedere il “Corriere della Sera” di domenica 21 settembre).

Dal punto di vista più direttamente politico, l’intervento di Giorgio Napolitano in soccorso di Renzi (“non essere prigionieri di conservatorismi e corporativismi”) sull’Articolo 18, oltre a riaffermare il filo diretto tra il Colle ed i governi “extraparlamentari” della borghesia italiana, da un lato serve a giocare in Europa la carta delle “riforme” (Pensioni e Lavoro sono il pozzo di S. Patrizio per questi infami servitori del capitale) in attesa che venga concesso lo “sforamento” di una spesa pubblica dilagante. Dall’altro lato l’assist di Napolitano è funzionale ad un “riposizionamento” del governo Renzi nel panorama parlamentare, prendendo al balzo il tema dei “diritti del lavoro” (tanto non pagano certo loro) per “riassestare” verso il centro-destra il fenomeno del “renzismo” e dilazionare il “pericolo” di elezioni anticipate. Tra l’altro questa carta dell’Articolo 18, potrebbe fungere da occasione per “sbarazzarsi” della “minoranza” PD, che ora si agita piuttosto convulsamente (c’è chi paventa addirittura una scissione), “dimenticando” che HA SEMPRE FIRMATO TUTTA LA PRECARIETA’ E TUTTA LA DEMOLIZIONE DEI DIRITTI DEI LAVORATORI DI QUESTO MONDO.
E che, stiamone certi, continuerà a farlo, perché non vorrà mai rischiare di essere “marginalizzata” o addirittura esautorata dalle liste del PD nelle prossime scadenze elettorali. Sono “malpancisti” utili solo a tenere nelle loro fila i gonzi che ancora credono all’anima di “sinistra” del PD, partito di banchieri, affaristi e sfruttatori.
Le “mobilitazioni” della GCIL e della FIOM? Scontate, ridicole, inutili. Il che non vuol dire che una minoranza rivoluzionaria agguerrita ed organizzata non potrebbe in qualche maniera dire la sua ANCHE in simili frangenti.

Noi non ci siamo mai tirati indietro ANCHE nella difesa di Leggi ed Articoli (come è appunto l’Articolo 18) che servono a non far arretrare i lavoratori, e tutti i proletari in genere; pur sapendo e sostenendo a chiare lettere che NESSUNA LEGGE PUO’ SOSTITUIRSI AI RAPPORTI DI FORZA TRA LE CLASSI, che vanno continuamente per noi alimentati dai proletari nella lotta frontale e unitaria contro ogni manifestazione del capitalismo, e nell’autorganizzazione indipendente.

Non è tanto un problema di “civiltà” in senso astratto, dal momento che alla base di tutto ciò che sta avvenendo ci stanno i rapporti di sfruttamento tra capitale e lavoro, CHE NON POSSONO ESSERE “CIVILI” DAL MOMENTO CHE SONO DI PER SE’ ANTAGONISTI.

E’ per noi soprattutto un problema di scontro di classe, in cui la battaglia sull’Articolo 18 (o per meglio dire di ciò che rimane di esso) è solo un episodio, e neppure il principale, in un panorama devastato dove – Articolo 18 o no- MILIONI DI PROLETARI SONO GIA’ STATI GETTATI IN MEZZO DI STRADA, NELLA MISERIA PIU’ NERA, e senza che nessun tutore “civile” della Costituzione “più bella del mondo” (partiti o sindacati che fossero) si sia mosso a compassione…
Inutile ora fare finta di strapparsi le vesti dal “disgusto”, come se il mondo cominciasse oggi…
Certo, le leggi le fanno i governi, ma le mazzette e le prebende le hanno incassate anche i partiti ed i sindacati.
La Legge 300, nata in un momento di alta conflittualità operaia e concepita proprio per smussarne le punte meno controllabili da parte della borghesia, non rappresenta di per sé nessun “diritto del lavoro” che possa minimamente mettere in discussione gli attuali rapporti di produzione e la condizione di sfruttamento e disoccupazione dei proletari.
Ciò detto, è cosa ovvia per dei comunisti opporsi ad ogni attacco alla condizione della propria classe.

Elemento prioritario e unificante per noi è LA GARANZIA DI SALARIO per disoccupati, precari, sottopagati.
E’ l’organizzazione di un FRONTE PROLETARIO DI LOTTA che attacchi direttamente tutte le manifestazioni di oppressione del capitale, in fabbrica e fuori: sulle condizioni di lavoro, sugli aumenti di salario uguali per tutti, sulla riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, per il diritto ad abitare da uomini e non da bestie, per il non pagamento di bollette e tariffe esose, per la bonifica di ambienti devastati dal profitto e per lavori sociali sotto il controllo popolare.

LOTTA DI CLASSE E NON PAGLIACCIATE!
ORGANIZZAZIONE DI CLASSE CONTRO FORMA DI OPPRESSIONE E DI SCHIAVITU’!