Le alternative esplosive al gas russo

Lo scontro fra paesi europei sulle sanzioni è legato al peso che i rifornimenti russi di combustibili fossili (gas, petrolio, carbone) hanno per i singoli paesi. In Italia è molto alto e pone problemi economici e politici non indifferenti, che si traducono in prese di posizione e iniziative che uniscono, in proporzioni variabili, propaganda e pragmatismo. Certi che qualsiasi esito lo pagheremo noi lavoratori, questa non è partita da lasciare agli “esperti”.

La dipendenza energetica italiana dall’estero

Valutare quanto alta è questa dipendenza è complesso perché non c’è una fonte univoca dei dati. In particolare l’energia da fonti rinnovabili è valutata con cifre estremamente variabili, pur essendo noto che dal 2018 ad oggi il suo contributo è notevolmente calato e che la spinta prevista da parte del PRRN è oggi in discussione.

Il sito Italy for climate calcola che un quarto di tutti i consumi energetici dell’Italia, facendo la somma di gas, petrolio e carbone, sarebbe coperto dall’importazione dalla Russia (il condizionale, come spiegato all’inizio, è d’obbligo).

Il fabbisogno energetico italiano (sommando produzione di elettricità, consumi industriali e civili) sarebbe stato garantito nel 2021 per il 38% dal gas, il 35% dal petrolio, il 10% dal carbone. Il resto da energia elettrica già prodotta e importata (da Svizzera, Francia, Slovenia e Austria) o da energia da fonti rinnovabili (dati che variano in modo molto forte di anno in anno).

L’import del gas sarebbe pari al 95,7% del totale consumato (mentre la produzione nazionale coprirebbe il 4,3%); l’import di petrolio coprirebbe il 93% del consumo mentre il 7% sarebbe di produzione nazionale. Infine importiamo l’85% del carbone che consumiamo.

Osserviamo marginalmente, perché non è lo scopo dell’articolo, che il carbone col suo 10% produce un inquinamento più alto del petrolio col suo 35%.

Nella successiva tabella diamo i principali dati che riguardano l’import di questi consumi e i paesi di provenienza più importanti (2021 – fonte: Italy for climate).

 GAS PETROLIO CARBONE 
 Mc miliardi  %tonn. milioni  % tonn. milioni   %
Import76,1100%  70100%     5,1100%  
PROVENIENZA        
Russia2938,1% 12%  52%
Algeria22,627,8%   3%  
Qatar 6,8 9,4%    
Azerbaijan 6,8 9,4% 19%  
Libia  4,2%    
Norvegia  2,8%    
Libia 2,2 3,0% 15%  
Iraq   12%  
Arabia S.     8%  
Nigeria     4%  
USA     3%  22%

È subito evidente la dipendenza dal gas russo che col 38,1% di copertura dell’import, garantisce il 13,8% dei bisogni energetici italiani, mentre l’Algeria ne garantisce col suo gas il 10%. Per il petrolio la dipendenza è distribuita su 4 paesi. Molto polarizzata invece la dipendenza da Russia e Usa per il carbone.

Possiamo da questi numeri ragionevolmente ritenere che la dipendenza dell’Italia dalla Russia non sia una affermazione propagandistica e che la sua sostituzione come fornitore non sia cosa né agevole, né veloce, né indolore sul piano dei costi.

Una situazione analoga di cambio di passo per motivi politici ha colpito l’economia italiana nel 2011, quando il conflitto in Libia, voluto da Sarkozy (Francia) e dalla Gran Bretagna, a cui anche il governo Berlusconi si accodò, danneggiò le forniture di petrolio all’Italia. Vista col senno di poi, e data la presenza in Libia di probabili consistenti riserve di gas che oggi non sono sfruttabili per l’incerta situazione politico-militare, la guerra in Libia fu un autogol senza precedenti per l’imperialismo europeo.

La ricerca di fonti alternative

Ufficialmente il governo Draghi, su pressione dell’imperialismo Usa, è impegnato senza se e senza ma, a recidere i rapporti con la Russia, un mercato con cui i rapporti sono proficui per entrambe le parti da decenni, come abbiamo cercato di dimostrare in un precedente articolo (cfr. https://www.combat-coc.org/le-sanzioni-latlantismo-e-lipocrisia-del-capitalismo-italiano-e-dei-suoi-politici/). Formalmente questa scelta è sostenuta con determinazione dai Draghi, Letta, Tajani, Meloni, e con mugugni o distinguo di vario tipo da Salvini e Conte. Ma non va dimenticato che dietro non ci sono “opinioni politiche” astratte, ma interessi concreti dei vari ENI, Enel, settori come l’alimentare, le macchine utensili, la moda, il calzaturiero ecc., e in generale di tutto il mondo produttivo incerto sul futuro delle sue forniture energetiche.

E, al di là dell’ottimismo ostentato da Cingolani e dallo stesso Draghi, le alternative non sono né entusiasmanti né rassicuranti. Non è detto quindi, che il capitalismo italiano, come del resto quello tedesco, non coltivino retropensieri rispetto al fatto di spendere molto di più per il gas, tanto da perdere competitività, a maggior gloria di Zelensky e dei suoi oligarchi. O che si rassegnino a lasciare alla ruggine gasdotti (non solo il North Stream 2, ma anche quelli che collegano l’Italia alla Russia). E questo (logorare gli imperialismi europei, aumentare le spaccature fra loro) è uno dei motivi per cui Biden vuole una guerra lunga, mentre Draghi a Washington ha chiesto la pace. Impensabile che il “partito russo” in Italia non torni alla carica, forte della convenienza economica.

Intanto, però, le due strade percorribili, nella ricerca di fonti alternative, sono:
a) sfruttare al massimo i gasdotti “non russi” esistenti;
b) rivolgersi al gas liquido (GNL).

I gasdotti

L’Italia è collegata da due gasdotti all’Algeria, paese già fornitore e con cui esiste una buona relazione diplomatica (nota 1) e lì si è diretto Draghi l’11 aprile con di rincalzo Descalzi, l’amministratore delegato di ENI, ottenendo una promessa di aumento delle forniture: 3 miliardi di mc alla fine dell’anno, 6 miliardi di mc l’anno prossimo e 9 nel 2023. Il tutto fatto salvo che non ci siano cambi di regime, un peggioramento dei rapporti fra Algeria e Marocco o altri inciampi. La dipendenza dal gas russo sarà sostituita dalla dipendenza dal gas algerino, pari pari.

Fra il 2011 e il 2021, proprio temendo un secondo effetto Libia l’ENI aveva ridotto l’acquisto del gas algerino, conoscendo la situazione politica del paese. Adesso torna sui suoi passi. Un altro motivo per cui si era preferito il gas russo stava nel fatto che era “meno umido” di quello algerino e richiedeva meno interventi per essere utilizzabile.

L’altro gasdotto su cui l’Italia può contare è Greenstream, che la collega alla Libia. Il problema, come già detto è la irrimediabile, per ora, instabilità politico militare. La Libia, già ora, nonostante i disastri bellici, sarebbe in grado di fornire all’Italia 8 miliardi di mc di gas. In realtà la fornitura varia moltissimo o si interrompe in modo non prevedibile e comunque dipende dai buoni rapporti, oltre che con le bande libiche rivali, anche con i soldati turchi e russi. Descalzi sulla carta ha ottenuto la promessa di 3,3 miliardi di mc per quest’anno (l’anno scorso erano stati 2,2).

Non particolarmente vicino, ma promettente, un altro fornitore tramite gasdotto (in questo caso il TAP) è l’Azerbaijan, dove Di Maio si è recato il 2 aprile. L’Azerbaijan si sarebbe impegnato ad aumentare la sua fornitura di altri 2,5 miliardi di metri cubi di gas naturale. Anche qui il condizionale è d’obbligo. Il paese è impegnato in una difficile gestione delle conseguenze del recente conflitto con l’Armenia, una fase postbellica in cui la Russia ha molte possibilità di intervenire.

Ricorrere al gas naturale liquido (GNL)

In assenza di gasdotti, si deve ricorrere al gas liquido, il cui utilizzo è più complesso e costoso, perché deve essere liquefatto alla fonte, trasportato su navi, ferrovia o strada e poi rigassificato. Con piglio sportivo Cingolani ha dichiarato a Sky TG24 che “questo non è un problema”, si ricorrerà alle “strutture galleggianti” che si comprano o affittano (400-500 milion l’una), forniscono 5 miliardi di metri cubi l’anno. Poi con la mitica transizione ecologica le si potrà eliminare. La prima di queste strutture dovrebbe arrivare nel primo semestre del 2023. Poi saranno aumentate di 6 miliardi di metri cubi le quantità di GNL trattate nei tre impianti esistenti a Panigaglia, al largo di Rovigo e Livorno. E forse si potrà aumentare la produzione autoctona di 2,2 miliardi di metri cubi in aree quali Cassiopea, Canale di Sicilia e Marche.  

Il primo paese relativamente vicino che da tempo ha iniziato a vendere GNL all’Italia è il Qatar, che oggi garantisce quasi il 10% del gas importato, non direttamente ma tramite Edison (società del gruppo francese EDF). Le navi trasportano il gas al rigassificatore Adriatic LNG a Rovigo.. Descalzi non ha escluso di poter chiedere al Qatar di aumentare la sua fornitura, ma ci sarà una gara con gli altri paesi europei per procurarselo e quindi i prezzi lieviteranno. Inoltre chi ha già navi, rotte e collegamenti coi produttori sarà avvantaggiato. I paesi asiatici, es. il Giappone, hanno già stoccato grandi quantità di gas qatariota ma per clausola contrattuale non possono rivenderlo.

Un altro possibile fornitore è l’Egitto che a breve potrebbe fornire 3 miliardi di mc di GNL (fornitore l’ Egyptian Natural Gas Holding Company che ha le navi metaniere adatte). In prospettiva, se si chiudono tutti e due gli occhi sul caso Regeni, l’Eni ha con al Sissi entrature più che buone, è dentro tutti gli affari petroliferi del paese. Sulla qualità “democratica” dell’Egitto il lettore non ha bisogno di chiarimenti.

Resta infine, anche qui in prospettiva, l’Africa Nera Subsahariana. Nel 2017 l’Eni titolava sul suo sito così “Africa un mare di record” esaltando le nuove scoperte di gas offshore in Angola, Ghana, Mozambico.

E appunto con Angola, Mozambico e Congo Brazzaville il governo italiano ha trattato in aprile. Per Angola e Mozambico quando potranno arrivare le forniture non si sa. Per il Congo si parla “forse” di 4,5 miliardi di mc dal 2023.

Sul breve periodo quindi nessuna soluzione facile o salvifica.

L’Eurafrica, il PRRN e l’Europa

Se mai si sta delineando una prospettiva di lungo periodo, italiana ed europea e cioè una alternativa “mediterranea” di rifornimenti di energia che riguarda l’Africa e il Vicino Oriente. Una prospettiva per cui l’Italia godrebbe di una posizione geografica più che buona per diventare un hub strategico di valenza europea.

Questa visione precede la crisi provocata dalla guerra in Ucraina.

Nel PRRN delineato nel 2021 e così fortemente indirizzato da Draghi, il cuore della parte del progetto che riguarda le infrastrutture è fare arrivare l’Alta Velocità fino in Sicilia, collegando il Sud al resto d’Europa (in particolare attraverso il Brennero) e garantendo l’interoperabilità delle nuove tratte con le ferrovie europee e con moderni porti e interporti. E’ un aspetto del progetto concordato con Bruxelles (nota 2). L’Italia è al centro del Mediterraneo e al di là a poche centinaia di km. c’è l’Africa, il cortile di casa delle potenze europee, insidiato da Cina e Russia, oltre che dagli Usa. Macron in primis, ma anche la Germania, stanno riflettendo su una EurAfrica, dove all’Africa tocca il ruolo di fornitrice di materie prime, ma anche eventualmente di fabbrica decentrata, grazie al suo potenziale demografico. Eni e Snam la vedono strategica da subito per le forniture di gas e domani per le fonti energetiche alternative (energia solare e idrogeno verde). Del resto i paesi del Nord Africa (Marocco Algeria, Egitto) stanno costruendo porti modernissimi che possano diventare il punto di collegamento con nuove strade e ferrovie dall’interno dell’Africa Nera. Escluso che Russia e Cina rinuncino pacificamente ad esserci e per questo è così importante per la Russia tenersi la Crimea e Sebastopoli. Dal punto di vista geopolitico quindi la partita è ancora tutta da giocare.

Draghi ha citato questo ruolo potenziale di hub del gas per l’Italia anche a fine marzo 2022, collocandolo in una prospettiva di mediazione italiana fra USA, Russia e Ucraina, con un occhio di riguardo al ruolo “pacificatore” della Cina (nota 3).

Per questo il Sole 24 Ore dell’11 maggio, forse sognando, si intitola “Rivincita mediterranea della partita del gas”, rivincita che riguarderebbe oltre l’Italia, anche Grecia, Spagna e Portogallo, paesi Mediterranei che possono svolgere un ruolo decisivo per le forniture africane.

L’ipotesi Mediterraneo Orientale

L’articolo del Sole cita anche il progetto del gasdotto Eastmed, di recente rilanciato dalla videoconferenza del 9 maggio dai ministri degli esteri di Usa, Grecia, Israele e Cipro (nota 4). L’Italia è coinvolta nel progetto, ma anche nella gestione dei pozzi recentemente scoperti fra Cipro e Israele. Molto promettenti, ma anche al centro di controversie pesanti con la Turchia e pericolosamente vicini agli avamposti navali russi in Siria.

Un futuro instabile e pericoloso

Il futuro durante e dopo la guerra in Ucraina si presenta instabile e pericoloso anche in relazione alle nuove rotte energetiche.

La guerra in Ucraina e le sanzioni, volute fortemente dagli Usa e da Zelenski sono scelte che determinerebbero cambiamenti epocali nelle rotte energetiche, ma anche nei rapporti all’interno del Mediterraneo che non è più un mare “chiuso”, ma un mare dove circolano le navi, commerciali ma anche militari delle principali grandi potenze. Una maggior spinta italiana ed europea nel Mediterraneo porterà a nuovi scontri per definire aree di influenza e di sfruttamento. Aumenterà l’aggressività degli imperialismi europei minacciati di ulteriore ridimensionamento. Aumenterà fra di loro e in competizione con USA, Cina, Russia e le giovani potenze regionali, che abbiamo già visto all’opera in Libia, dalla Turchia al Qatar, dall’Arabia Saudita al Qatar all’Iran. In Africa sarà lo stesso: nuove strade, ferrovie, pozzi di petrolio porteranno sviluppo “capitalistico” e inquinamento, sfruttamento, scontri, in un continente in cui le guerre non mancano (dal Sahara-Sahel al Congo, al Corno d’Africa).

Non stiamo perciò parlando di questioni geopolitiche da lasciare agli esperti. Sono questioni che sconvolgeranno la vita quotidiana dei lavoratori europei, africani, medio orientali e altri. E occorre occuparsene per tempo. La guerra in Ucraina è già una guerra mondiale per le sue conseguenze a lunga scadenza.

Note

1: cfr. PM n.50 – dicembre 21 “Algeria: le mire dell’imperialismo italiano in Nord Africa

2: https://www.combat-coc.org/le-infrastrutture-nel-pnrr-parte-i/

3: https://www.huffingtonpost.it/politica/2022/03/31/news/mario_draghi_russia_ucraina-9074082/

4: È stimato che nella sola regione del Mediterraneo orientali siano stoccati sottoterra circa 3,5 mila miliardi di metri cubi di gas naturale. Di qui il progetto presentato da Edison e dalla greca Depa di un gasdotto di 1900 km (due terzi in mare) che trasporti in Europa il petrolio scoperto fra Cipro e Israele. Eni Total e Chevron sarebbero fra i promotori. L’Europa ha dato il suo benestare.
Per la videoconferenza cfr. https://formiche.net/2022/05/eastmed-riunione-formato-31/

Leave a Reply