LE BORSETTE DA MILLE EURO E I GIOCHI MEDIORIENTALI

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Il dibattito condotto dai media internazionali sul Medioriente riguarda in modo prevalente gli interessi geo-politici, i conflitti tra le medie potenze nell’area mediorientale, la guerra in corso contro lo Stato Islamico, i cambiamenti di alleanze come il recente accordo Usa-Iran, la “svolta” militare decisa dal turco Erdogan che mobilita le sue forze contro IS – per avere mano libera nella repressione del movimento autonomista curdo della Rojava siriana e in Turchia. In breve gli scontri tra le varie borghesie per il predominio.

Non viene menzionata, o perlomeno vi è dato scarso rilievo, la lotta di classe che, nonostante le condizioni di forte repressione da parte del regime, è in corso anche in quell’area, in risposta al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei salariati.

In Turchia è in vigore una legge che prevede che il consiglio dei ministri possa arrestare uno sciopero per 60 giorni, se considerato pregiudiziale per la salute pubblica o per la sicurezza nazionale. Se entro 60 giorni non viene raggiunto un accordo, l’alto collegio arbitrale può cercare di risolvere la controversia su richiesta di una delle parti. Se ancora non c’è accordo tra le parti, “le competenze del sindacato dei lavoratori divengono nulle”. Tra il maggio 2000 e i gennaio 2015, 10 grandi scioperi sono stati sospesi in base a questa legge. Il 30 gennaio 2015 sono stati sospesi, ad es., gli scioperi di circa 15 000 metalmeccanici – aderenti al sindacato Birleşik Metal-İş – indetti per il 29 gennaio e il 19 febbraio in una quarantina di fabbriche. Nell’estate 2014, il governo ha fermato lo sciopero di 5800 salariati, aderenti al sindacato Kristal-İş (vetro, cemento, ceramica, suolo) in dieci fabbriche di Şişecam, il maggior produttore turco di vetro. (Jacobinmag, 05.04.’15).

In Turchia le conquiste operaie di un decennio di forte crescita economica – durante il quale il potere d’acquisto dei salari era raddoppiato passando da circa €175 mensili del 2002 ai €350 – sono state fortemente erose negli anni seguenti la crisi internazionale del 2008. Nell’ultimo anno il salario dei lavoratori ha perso il 25% del suo potere d’acquisto; quasi 5 milioni di salariati non sarebbero più in grado di pagare i debiti contratti (cfr. Lutte Ouvrière, n.169)

Abbiamo già riferito su questo sito delle battaglie condotte dai salariati dell’auto e della componentistica (cfr. “Turchia: la lotta degli operai dell’auto continua”, 23.05.2015) che hanno assunto una dimensione nazionale trascinando anche altri settori, dall’elettricità alle raffinerie, e hanno portato ad alcune significative conquiste, sia salariali che politiche.

Aggiorniamo qui sui risultati ottenuti in particolare nell’accordo siglato a fine maggio presso Oyak-Renault:

– nessun licenziamento o sanzione per gli scioperi;

– ritiro delle denunce depositate contro i lavoratori accusati di compllotti criminali;

– i lavoratori che non erano in precedenza iscritti al sindacato (filopadronale, Türk-Metal-İş) potranno eleggere i propri rappresentanti responsabili della comunicazione tra impresa e lavoratori. Fino a queste elezioni vengono riconosciuti gli attuali rappresentanti;

– riconoscimento a tutti i salariati della libertà di affiliazione sindacale, e dei delegati eletti dagli operai come unici interlocutori validi.

– Il sindacato Türk-Metal-İş è stato svuotato del suo potere, rimanendo con soli 60 iscritti su 5700 dipendenti del gruppo, dopo la prova di forza in cui i lavoratori hanno imposto la loro libertà di scelta sindacale revocando in massa la delega.

Dal punto di vista economico:

– impegno del padronato ad aumentare i salari base entro giugno, con aumenti in proporzione inversa all’ammontare dei salari esistenti. Da rilevare che, a fine giugno, i lavoratori non soddisfatti della proposta della controparte, sono riusciti a strappare quasi il doppio di quanto offerto;

– un bonus una tantum di €350;

– a fine anno introduzione di un bonus legato alla produttività (mensile?) a partire da € 200 netti, per ognuno; (il salario medio mensile era in precedenza di €165, dati IndustriAll; Lutte Ouvrière parla invece di €200 di premio annuale immediato, e €480 in seguito);

– retribuzione dei giorni di sciopero

Ma il padronato è passato al contrattacco, ha comunicato il licenziamento di 82 operai in Tofaş-Fiat, e di altre decine di lavoratori nelle fabbriche della componentistica.

Riferiamo ora di una nuova battaglia ingaggiata dai salariati turchi di SF Leather, una fabbrica di pellame dell’area industriale speciale di Izmir, il cui principale acquirente (90%) è il marchio di lusso britannico, Mulberry. Le borse prodotte dallo stabilimento di Izmir sono vendute a più di €1000 ognuna, ma i salari operai sono pari al salario minimo e l’orario di lavoro è molto lungo, e negli ultimi mesi sono andate peggiorando le condizioni di lavoro e retributive. I lavoratori hanno cercato di organizzarsi, di aderire ad un sindacato, Deriteks, il sindacato del settore pellame e tessili, affiliato al sindacato internazionale IndustriAll, per ottenere il diritto ad una contrattazione collettiva. A questa mobilitazione il padronato ha reagito chiedendo di stracciare le tessere sindacali e minacciando il licenziamento. Quattordici attivisti che a marzo avevano aderito al sindacato sono stati subito licenziati. Deriteks ha avviato una campagna per il loro reintegro e per il riconoscimento del sindacato, campagna appoggiata dalla federazione IndustriAll.

SF Leather ha però continuato a esercitare pressione e fare opera di intimidazione perché i lavoratori non aderissero al sindacato.

Un rappresentante dei lavoratori informava a fine maggio che lo sciopero durava già da 70 giorni, sostenuto dalla solidarietà di altri operai, dagli amici e dalle famiglie, senza alcun fondo sociale di resistenza (Morning Star, 27.05.’15)

SF Leather sta procedendo penalmente contro i lavoratori e contro il sindacato Deriteks, accusati di aver danneggiato i suoi interessi commerciali con la tattica organizzativa e le assemblee di protesta, che chiedono il reintegro dei lavoratori licenziati.

La società è riuscita a far sì che il tribunale locale facesse sequestrare uno striscione su cui si chiedeva che Mulberry rispettasse i diritti dei lavoratori, e a imporre il blackout dei siti internet turchi che riportavano informazioni sulle attività sindacali. SF ha persino presentato una richiesta di risarcimento danni nel confronto del sindacato, e ha comunicato che reintegrerà i lavoratori licenziati a condizione che straccino la tessera sindacale.

Deriteks continua ad esigere il reintegro senza condizioni dei lavoratori licenziati, e sollecita un incontro negoziale con la controparte, alla quale chiede inoltre di sospendere tutte le cause penali aperte contro gli attivisti e di porre fine alle intimidazioni.

Il sindacato si è appellato ai maggiori clienti di SF Leather, Mulberry in particolare, che hanno riconosciuto i “Principi del Global Sourcing – Forniture globali”, tra i quali la tutela dei diritti dei lavoratori ad aderire ad un sindacato e a un contratto collettivo, principi che SF Leather ha evidentemente violato.

Ma, alla richiesta avanzata da Deritek di condurre un’indagine sulle pratiche anti-sindacali di SF Leather, Mulberry ha risposto che dall’indagine già in corso non risulta che i licenziamenti siano stati dovuti a questioni sindacali, e ha poi aggiunto che non può esprimersi a riguardo dato che è in corso una causa legale.

IndustriAll da parte sua insiste perché Mulberry si assuma la responsabilità dei fatti di Izmir e prenda misure immediate per risolvere la questione.

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Dunque c’è in Medio Oriente una lotta di classe, il cui potenziale può travalicare sia i confini sindacali che quelli nazionali se collegata ad una organizzazione politica di classe.

Pensiamo che la conoscenza degli episodi della lotta di classe, che neppure un regime semi-dittatoriale come quello turco riesce a far tacere, serva ai militanti internazionalisti come conferma che in tutto in mondo stanno operando le forze in grado di produrre quel rivolgimento sociale a cui essi tendono, e da incoraggiamento a proseguire il lavoro per la loro organizzazione. Anche se in un paese imperialista come l’Italia il movimento operaio sembra temporaneamente sopito.