Le prime crepe nel sovranismo europeo
Attenti Salvini e Di Maio!

Qualche settimana fa Salvini esaltava come suo modello il premier ungherese Orbán, un sovranista duro e puro, che, a sentire il sovranista nostrano “aveva il consenso del suo paese” grazie alle sue bordate contro gli immigrati e la sua linea dura contro la UE.

Oggi il governo giallo verde si è ridotto a censurare stampa e TG sotto il proprio controllo perché non si parli delle manifestazioni proletarie e “popolari” contro il governo Orban.

Come volevasi dimostrare i sovranisti di tutto il mondo prima sparano a zero e costruiscono muri contro gli immigrati, qualche minuto dopo colpiscono duro i propri lavoratori. Salvini e il suo tirapiedi Di Maio hanno fatto prima il Decreto Sicurezza che riempirà le nostre strade di stranieri clandestini e comminerà pene detentive altissime contro gli italiani sfrattati e i lavoratori in lotta.

A Budapest e Szeged, dall’8 dicembre, i lavoratori ungheresi hanno manifestato contro la recente modifica del codice del lavoro soprannominata, dai critici, “legge sulla schiavitù”: la riforma aumenta fino a 400 le ore di straordinario annuo che i datori di lavoro possono chiedere ai dipendenti, aumenta a tre anni i tempi di pagamento di quegli straordinari e prevede che le trattative possano essere fatte direttamente tra dipendenti e aziende, senza la contrattazione dei sindacati.

I manifestanti hanno anche protestato contro la creazione di un sistema parallelo di tribunali amministrativi alle dirette dipendenze del ministro della Giustizia e che si occuperà anche di questioni politicamente delicate come legge elettorale, corruzione e diritto di manifestare.

Orbán, che si è garantito il controllo poliziesco della televisione di stato ha impedito che la voce dei lavoratori arrivasse nelle case ungheresi; ha accusato il solito Soros di finanziare l’opposizione e ha arruolato Cristo nel suo partito (chi protesta contro di lui, infatti, è… anticristiano).

Sembra che Orbán abbia con la prima legge accontentato le case automobilistiche straniere, in primis tedesche, che lavorano nel paese. Il massimo per un sovranista!

Queste aziende non hanno a disposizione i lavoratori stranieri (bloccati da Orbán alle frontiere) e quindi hanno chiesto di poter obbligare agli straordinari i lavoratori ungheresi rimasti in patria (dal 2010, anno in cui è andato al potere Orbán, su 4 milioni di occupati ne sono andati all’estero 600 mila, in particolare i più istruiti).

Con la seconda legge Orbán mira a controllare più strettamente i giudici che non potrebbero più sorvegliare sulla regolarità delle elezioni. Queste norme arrivano dopo quelle che limitano la libertà di stampa (come quelle auspicate da Di Maio e da De Battista, i cui padri sono notoriamente solerti nel pagare i propri dipendenti o metterli in regola).

Orbán negli ultimi mesi non ha disdegnato “azioni alla turca” contro deputati e sindacalisti oppositori del regime, malmenati per ridurli al silenzio.

Il malcontento popolare riguarda anche il sistema sanitario. l’Ungheria si colloca in fondo alla classifica dell’Indice Sanitario Europeo del Consumatore, a pari merito con la Polonia, ma dietro ad Albania e Montenegro: l’Ungheria ha uno dei peggiori tassi di sopravvivenza di persone malate di tumore in tutta Europa, lunghissimi i tempi di attesa per le TAC, i medici statali chiedono costantemente di essere pagati un extra per cure più attente. Infinite le barzellette amare sul fatto che i pazienti sono tali per la pazienza con cui aspettano di essere curati.

Il regime di Orbán, illiberale, islamofobo e catto-fascista, è anche uno dei più corrotti, secondo la valutazione della Banca Mondiale. Anche la UE ha avviato un’inchiesta perché nel 2017 il 36 per cento delle offerte effettuate per la realizzazione di progetti pubblici con denaro comunitario aveva avuto un solo offerente, di solito appartenente all’entourage parentale del presidente. Come Trump anche Orbán ha un genero prendi-tutto.

L’Ungheria esibisce uno dei tassi più bassi di disoccupazione (3,8%), ma lo ha ottenuto pagando a circa 200 mila lavoratori poco qualificati un salario di circa 130 euro al mese per piccoli lavori. L’Ungheria ha comunque un PIL pro capite più basso di Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia.

Infine l’Ungheria euroscettica cresce grazie ai contributi UE: nel 2017 il PIL è cresciuto del 4%, ma secondo l’FMI il 3,2% è dovuto agli investimenti legati al contributo netto UE (pari a 3,6 miliardi di €), quindi la crescita dovuta a investimenti propriamente nazionali è dello 0,8%.

Le attuali proteste non sono putroppo tali da scalfire il potere di Orban che con il 49,5% dei voti controlla i 2/3 del Parlamento, ma sono un segnale importante.

Anche per i sovranisti di casa nostra.