LE PROTESTE CONTRO MISERIA E FAME, AGGRAVATE DALLA GUERRA (1)

I media dei principali Paesi imperialisti danno voce ai timori per la crescita delle proteste contro il carico che la guerra impone ai lavoratori e agli strati popolari più disagiati, come quelle in Perù e nello Sri Lanka, che si aggiunge ai problemi precedenti di varia origine, di cui la pandemia Covid-19 è il fattore più recente.

Quelli statunitensi si sono particolarmente occupati di quanto accade in Perù, dato l’interesse diretto dell’imperialismo americano per il paese e per l’America Latina in generale. Mentre non danno meno peso o ignorano le rivolte popolari di altri paesi, come lo Sri Lanka, il Libano, la Tunisia, etc.

Viceversa i giornali del S-E asiatico, ma anche tedeschi, britannici, e francesi, danno spazio alle rivolte dello Sri Lanka. Evidentemente ci sono interessi più diretti in quest’area.

Naturalmente, le notizie di queste rivolte servono ai media anche per rafforzare l’attacco ad uno solo dei contendenti nella guerra in Ucraina, la Russia. Si guardano bene dal criticare il proprio imperialismo, artefice alla pari dei disastri derivanti dalla guerra.

Bloomberg, 5 aprile, parlando del coprifuoco imposto a Lima, Perù: «I prezzi in aumento minacciano i governi ovunque. … Mentre in alcuni Paesi i cittadini accettano di pagare di più per fare pressione sulla Russia e fermare la guerra, in molti altri accuseranno chi è al governo. E questo rappresenta un rischio per tutti i leader mondiali, al di là di cosa pensino di Putin».

La delegazione dell’Unione Europea in Sri Lanka, preoccupata per il rischio di radicalizzazione delle proteste, ha osservato che «Lo stato di emergenza non aiuterà certo a risolvere le difficoltà del Paese e potrebbe avere un effetto controproducente».

Peru

In Perù è scoppiata un’ondata di violente proteste, partite il 28 marzo con lo sciopero nazionale dei lavoratori dei trasporti su gomma, sostenuti dai loro stessi datori di lavoro, e dei camionisti autonomi contro l’aumento del prezzo del gas e dei carburanti in generale. Le proteste si sono rapidamente allargate coinvolgendo i piccoli agricoltori della regione impoverita degli altopiani centrali del Paese, ma anche i giovani e i lavoratori della capitale Lima – con 11 milioni di abitanti terza maggiore metropoli sudamericana – e hanno dato luogo a grandi manifestazioni antigovernative con cortei e il blocco di almeno nove principali arterie stradali. Durante le varie proteste, almeno sei persone sono morte, decine i manifestanti feriti dalla polizia.

La crisi in corso è una conseguenza diretta della guerra in Ucraina. Il Perù importa la maggior parte del suo fabbisogno di petrolio; dalla Russia importa la metà dei fertilizzanti necessari alla sua agricoltura. È quindi esposto più di altri paesi latino americani alla recente impennata dei prezzi, che colpisce la sua economia mentre si stava riprendendo dall’impatto della pandemia di Covid-19 e dai lockdown.

A marzo l’inflazione ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 26 anni, il settore più colpito è stato quello dei generi alimentari e dei carburanti, con un aumento dei prezzi del 9,54% rispetto allo scorso anno (Banca centrale peruviana). Il 19 marzo, il governo ha dichiarato lo stato di emergenza per l’insicurezza alimentare derivante dall’aumento del costo dei fertilizzanti.

Il 7 aprile la Confederazione Generale dei Lavoratori Peruviani ha chiamato allo sciopero generale, con manifestazioni in tutto il paese e con un corteo verso il palazzo presidenziale. In risposta, Castillo ha decretato un quarto stato di emergenza per altri 30 giorni, dopo quelli del 2 febbraio, 17 marzo e 4 aprile – che avevano già sospeso vari diritti fondamentali nella capitale Lima e nella vicina provincia di Callao.

Lo stato di emergenza consente il dispiegamento delle Forze Armate a supporto della polizia per mantenere “l’ordine interno”; permette perquisizioni domiciliari e arresti arbitrari e sospende libertà di movimento e di riunione. Con il decreto del 4 aprile, temendo tumulti popolari, Castillo ha inoltre imposto il divieto totale di movimento pubblico a Lima e Callao, impedendo a tutti, tranne ai lavoratori dei settori essenziali, di uscire anche per andare al lavoro o per fare la spesa. L’ordine di chiusura vietava le assemblee pubbliche, e persino l’apertura dei siti di vaccinazione COVID. I timori della borghesia peruviana sono stati espressi dal deputato della destra, Jorge Montoya, il quale il 4 aprile ha dichiarato che lo stato di emergenza e il coprifuoco erano necessari perché masse di peruviani impoveriti si stavano preparando a «scendere dalle colline e saccheggiare la città, non solo qui [a Lima] ma anche in diversi luoghi del Paese”. La capitale è un simbolo e deve essere protetta».

Ma, nel pomeriggio del 5 aprile, migliaia di persone hanno manifestato nel centro di Lima sfidando il coprifuoco. E in centinaia hanno espresso la loro rabbia attaccando edifici governativi, tra cui la Corte Superiore di Giustizia, scontrandosi con la polizia, e chiedendo le dimissioni di Castillo, il quale è stato così costretto a fare marcia indietro, revocando il coprifuoco.

Castillo, ex insegnante della regione rurale di Cajamarca e leader sindacale è stato eletto nel 2021, anche con i voti di una parte della classe lavoratrice, per le sue promesse di miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro. Ma salito al potere, ha collaborato con le banche e il capitale finanziario straniero per attuare l’austerità, rinnegando le promesse di riforma sociale. Questo non basta alla borghesia peruviana, che lo attacca tramite gli esponenti della destra accusandolo di non saper fermare le proteste popolari.

La sua popolarità è scesa al minimo, solo un peruviano su quattro lo sostiene. Il suo elettorato di riferimento, la classe operaia urbana della periferia di Lima e i contadini delle campagne di tutto il Paese, sono i più colpiti dalla spirale inflazionistica, perché pagano prezzi più alti per cibo e trasporti.

Non è bastato a calmare la rabbia dei lavoratori l’accordo tra governo e sindacati per la riduzione temporanea delle tasse sul carburante, tagli ai prezzi dei generi alimentari e l’aumento del 10% del salario minimo, portato a circa 332$ al mese. Queste concessioni sono state fatte a seguito dello straripamento delle proteste fuori dalla capitale. Migliaia di persone hanno manifestato nella città di Huancayo, negli altipiani centrali, a circa 150 miglia da Lima; a Ica, nel sud, i lavoratori agricoli impoveriti hanno attaccato e bruciato caselli autostradali. Lavoratori salariati, braccianti e piccoli contadini sanno che, con il perdurare del conflitto in Ucraina l’inflazione continuerà a salire, e peggiorerà la crisi economica e sociale.

L’unica soluzione per alleggerire l’impatto della crisi sarebbe quella di costringere Castillo a mantenere le sue promesse elettorali, finanziando aumenti salariali e sussidi con maggiori contributi fiscali a carico della borghesia peruviana.

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