Le sanzioni, l’atlantismo e l’ipocrisia del capitalismo italiano e dei suoi politici

Dall’inizio della guerra in Ucraina i partiti italiani si compongono e si scontrano sul tema delle sanzioni alla Russia e del taglio alla dipendenza dal gas russo. La “fedeltà atlantica” si misura sia da questo che dalla disponibilità a fornire armi all’Ucraina. Ambiguo comprendere se questo coincida o meno con la fedeltà all’Europa, viste le divisioni che su questo tema la spaccano letteralmente a tutto vantaggio degli Usa in questo momento. Draghi fra i leader europei è uno dei più allineati col bellicismo statunitense, ma deve fare i conti con una crescente opposizione politica fra le file del suo governo e con frange economiche “disobbedienti”. In questa situazione è evidente e da evitare il rischio che i lavoratori siano arruolati da una o dall’altra parte, in un versante italiano della guerra che li vede come coloro che “pagheranno” letteralmente ciascuna scelta

Abbiamo già accennato in un altro articolo ai rapporti della Russia con molti partiti europei, compresi quelli italiani (cfr. https://www.combat-coc.org/putin-la-destra-russa-e-la-destra-europea/ ). Da settimane giornalisti e opinionisti italiani si accusano l’un l’altro di filo-putinismo, mentre i media, in particolare televisivi, si sono scatenati in una campagna bellicista, accusando nel contempo non meglio identificati governi del passato per la dipendenza dal gas russo, scelta “sciagurata” a vantaggio di un regime autocratico.

Vista da questo punto di vista la pantomima del Quirinale, svoltasi circa un mese prima dello scoppio della guerra in Ucraina e quando già Biden accusava la Russia di prepararsi all’invasione, si è conclusa nel migliore dei modi per Washington, col duo Mattarella-Draghi, di sicuro orientamento atlantista, riconfermato. E con uno sguardo retrospettivo fa riflettere il fatto che durante la presidenza dell’isolazionista Trump hanno prosperato i governi Conte I e Conte II, mentre a distanza di un mese dall’insediamento di Biden (20 gennaio 2021) alla Presidenza del Consiglio italiana si sia stato insediato Draghi (13 febbraio 2021).

Il sito Wikileaks del 2010 rivelava che gli Usa ritenevano l’asse Berlusconi-Putin come frutto di corruzione da parte di quest’ultimo verso i vertici di Eni e verso esponenti del Popolo delle Libertà. È possibile. Ma Berlusconi ieri, come Salvini o Conte oggi, sono comunque rappresentativi di interessi di gruppi economici italiani, industriali, commerciali e finanziari.

L’atlantismo di Draghi e il ruolo svolto nella BCE, a sua volta, riflettono il suo collegamento con gruppi di interesse diversi da quelli di un Salvini o di un Conte. Non migliori o meno capitalistici, semplicemente diversi

In Italia c’è ancora qualcuno che pensa che il problema della guerra in Ucraina sia la Nato ed è ancora affezionato allo slogan “fuori l’Italia dalla Nato”, non comprendendo che l’adesione dei governi italiani alla Nato e la risultante degli interessi prevalenti dei gruppi capitalistici italiani. Fuori dalla Nato e in assenza di una dimensione militare europea, l’imperialismo italiano non avrebbe una sufficiente “autorevolezza” militare per sostenere i propri interessi all’estero.

Le oscillazioni in politica estera dell’Italia, d’altro canto, sono il frutto della frammentazione del capitale, rappresentato da pochi grandi gruppi e una miriade di medie, piccole e piccolissime imprese, il che rende difficile una sintesi duratura degli interessi contrapposti a livello dello stato. 

Draghi al governo ha significato un PRRN di un certo tipo, ma anche una scelta più decisa per il 2% delle spese militari nella Nato, sia pure da realizzare entro il 2028.

Salvini, Conte Meloni cercano comunque di rappresentare opzioni diverse. Ma soprattutto è interessante che a fine gennaio 2022, nonostante la disapprovazione esplicita di Draghi e della Farnesina, 16 aziende italiane abbiano partecipato a un summit online con Putin, (nota 1).

Il capitalismo italiano fra atlantismo e legami con la Russia

Per tutto questo riteniamo utile accennare brevemente alla storia dei rapporti Italia -Russia (prima URSS) nel passato, per comprendere e fare chiarezza sul presente.

Pochi ricordano che l’Italia inizia i suoi rapporti d’affari con l’Urss staliniana nel 1922 e che essi prospereranno in pieno regime fascista, con il gerarca Itali Balbo ricevuto con tutti gli onori a Odessa (allora sovietica) nel 1929 o il patto italo-sovietico di non aggressione del 1933. Quanto alla Fiat era di casa nell’Urss già nel ventennio avendo inaugurato a Mosca nel 1932 una fabbrica di cuscinetti a sfera, la GPZ, tanto che il quotidiano “La Stampa” fu negli anni ’30 la punta avanzata dell’informazione in Europa sugli affari moscoviti (nota 2). La collaborazione riguardò anche la costruzione di fonderie e di dirigibili (con la collaborazione di Umberto Nobile).

Questo non impedì poi al governo di Mussolini di partecipare all’operazione Barbarossa a fianco della Germania nazista nel 1941.

Poi ci fu la guerra fredda durante la quale il PCI era fedelmente filo russo e la DC fedelmente filo Nato. E non a caso al governo rimase la DC, perché questa era la divisione in sfere di influenza decisa a Yalta.

Tuttavia fu un democristiano doc come Mattei, che guidava l’ENI, a iniziare intensi rapporti economici con l’Urss fra il 1954 e il 1961, con conseguente importazione di petrolio russo a prezzo più basso di quello imposto dalle “sette sorelle” americane (intermediario l’Egitto) ed export italiano di tecnologie e materiali per oleodotti. La prevista fornitura di petroliere prodotte da Fincantieri fu impedita dalla Nato. Anche allora quindi l’Italia era politicamente atlantista ma guardava alla Russia per l’energia a buon mercato.

La morte di Mattei, con gli Usa come probabili mandanti, non bloccò il processo di “complementarità” con la Russia. Nel ’66 la Fiat iniziò a costruire a Togliattigrad una fabbrica per automobili. Nel 1969, con la firma del primo contratto ufficiale per la fornitura di 6 miliardi di metri cubi/anno di gas naturale, Eni e Gazprom avviarono un rapporto di collaborazione che si protrae fino ai nostri giorni.

 Eppure l’Urss degli anni ’50, nonostante il disgelo, era quella dei lager siberiani, della repressione della rivolta operaia ungherese del 1956 (che ricorda la repressione russa contro gli operai del Kazakhistan contro cui gli Usa non hanno detto nulla). Poi c’è stato l’intervento militare contro la Primavera di Praga nel ’68 e l’invasione militare dell’Afghanistan nel 1979. Che i governi italiani siano stati di manica larga con gli autocrati e i regimi repressivi lo dimostrano ad es. i lucrosi affari con l’Algeria negli anni ’90, nonostante i 200 mila morti provocati dal governo nel “decennio nero” (cfr. PM n.50 – dicembre 21 “Algeria: le mire dell’imperialismo italiano in Nord Africa). E non è che il gas liquido eventualmente importato dal Qatar profumi di democrazia.

Come diceva un imperatore romano il denaro, gli affari cioè il profitto, “non puzza” da dovunque provenga. Questa è la regola anche del capitalismo oggi. Modernizzato in “business is business”.

Gli ultimi vent’anni

Non abbiamo spazio per approfondire la storia dei rapporti italo russi del ‘900. Limitiamoci a quanto è successo negli ultimi vent’anni attraverso i governi Berlusconi (II, III, IV), Prodi II, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte I e II, fino a Draghi.

Finora possiamo aver dato l’impressione che il nesso Russia Italia sia fondamentalmente rappresentato dai bisogni energetici italiani e dalla fame di capitali e tecnologia della Russia. Abbiamo citato solo Eni e Fiat (che oggi è Fiat-Chrysler-PSA (Stellantis) e in Russia assembla le Jeep, macchine agricole e come Iveco produce veicoli militari Lince). Il corteo di aziende che firmano accordi con la Russia a cavallo dei due millenni è molto più ampio. Fra le grandi imprese vanno citate ovviamente Eni (che collabora con Gazprom, ma anche con Rosneft e Novatek), Saipem, Enel (che oggi assicura con centrali di sua proprietà i due terzi del fabbisogno elettrico delle Ferrovie russe), Alenia (Finmeccanica) che collabora con la russa Sukhoi al Super Jet 100, Fincantieri, Pirelli. Nel settore finanziario possiamo citare Intesa San Paolo, Unicredit, Mediobanca, Poste italiane e Generali. Accanto alle grandi una folta schiera di medie e piccole aziende (nota 3). Una spia dell’importanza e attualità di questi rapporti economici sta nel fatto che fra il 2005 e 2015 l’italiano è la seconda lingua straniera studiata in Russia, dopo l’inglese e prima del francese e del tedesco, visto come opportunità di lavoro se inserito in un curriculum professionale.

Nel primo decennio del 2000 è Berlusconi a sostenere la necessità di rapporti più stretti tra Russia ed Unione europea, addirittura ipotizza nel 2002 una entrata della Russia nella UE. L’anno successivo ENI e Gazprom iniziano a costruire in joint venture Blue Stream, il gasdotto che collega la Russia alla Turchia e all’Europa.  Il progetto di Prodi di raddoppiare con il South Stream, “saltando” la Turchia, (nota 4) naufraga definitivamente nel 2014 con l’invasione russa della Crimea. Qui le pressioni Usa funzionano in una specie di anteprima della situazione attuale. Non dimentichiamo che fra le questioni emerse prima dello scoppio del conflitto attuale c’è la messa in funzione del Nord Stream 2 che collega Germania e Russia “saltando” l’Ucraina.

Gli affari proseguono anche con Monti e con Letta. Gli Usa tentano di ostacolare la nomina da parte di Renzi alla Ue della Mogherini, considerata filo russa. In realtà la Mogherini lavorerà d’accordo con Obama per ricucire lo strappo con l’Iran.

Durante la crisi del 2008 (invasione russa della Georgia), l’Italia si barcamena con una politica di bilancia.  Se critica la decisione di Bush di schierare un sistema di difesa antimissile in Europa orientale e si oppone alla sua intenzione di offrire a Georgia e Ucraina il Nato Membership Action Plan, tuttavia riconosce l’indipendenza del Kossovo, osteggiata da Putin, e condanna l’intervento militare russo in Georgia. Scelte per cui non paga pegno perché nel 2009 la presidenza Obama opta per un pragmatico riavvicinamento alla Russia con la reset policy. La politica italiana è quindi libera di tenere buoni rapporti con la Russia.

Il commercio tra Italia e Russia raddoppia dal 2000 al 2010. Funziona una Camera di commercio italo-russa che comprende 500 aziende italiane, con un interscambio che nel 2011 arriva a 27,3 miliardi di euro. L’acme dell’interscambio si ha nel 2013 con 31 miliardi. Cresce soprattutto l’export russo complice la drastica riduzione delle forniture dalla Libia.  Poi inizia il declino legato agli avvenimenti ucraini del 2014 (invasione russa della Crimea, guerra in Donbass), alle reciproche sanzioni (nota 5). Il made in Italy che paga di più è rappresentato dall’agroalimentare, dal settore macchine utensili dal tessile, arredamento, pelletteria e servizi all’industria. L’Italia di Renzi non si oppone alle sanzioni (nonostante gli appelli di Putin presente all’Expo 2015). Secondo la Cgia Mestre, il valore economico delle perdite nelle esportazioni (tra il 2013 e il 2015) si aggira intorno ai 648 milioni di euro, principalmente subiti dalle piccole e medie imprese di Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Marche. Questi settori non si sentono rappresentati dal PD e hanno come riferimento la Lega. Nel 2016 Renzi partecipa al business forum russo di San Pietroburgo, si firmano altri accordi e nel 2017 l’export italiano in Russia aumenta del 19,3% e gli investimenti diretti passano da 27 a 36 miliardi di €. Il commercio infatti non è l’unico aspetto di coinvolgimento italiano in Russia. Molte imprese italiane investono nelle Zone Economiche speciali russe sfruttando gli incentivi fiscali, doganali e amministrativi, ma soprattutto puntando a una manodopera di buon livello formativo e a basso costo.

 Putin nel frattempo rivolge le sue attenzioni alla Lega Nord e al M5S, accusato dal PD di pubblicare “le menzogne” russe di Sputnik e Russia Today senza alcun filtro. La stessa accusa è sostenuta da Biden, responsabile dei rapporti con l’Ucraina per conto del presidente Obama. Il 24 ottobre 2018 Conte va a Mosca e firma una serie di intese economiche per 1,5 miliardi. Il Donbass è ormai un “conflitto a bassa intensità” e entrambi i paesi si adattano a fare affari attraverso intermediari, rispettando formalmente le sanzioni.

Durante la sua presidenza dell’Osce nel 2018 l’Italia ha messo al centro del suo programma il dialogo e le misure di confidence-building (letteralmente, ‘costruzione della fiducia’) con un’attenzione particolare verso l’Ucraina e gli altri conflitti irrisolti nello spazio ex sovietico, segnatamente in Georgia, Azerbaigian e Moldavia. Negli Usa Trump non sembra un ostacolo.

Nel 2021 per l’export italiano la Russia pesa per 7,696 miliardi di euro, cioè l’1,5% del totale. Le importazioni dalla Russia, pari a 13,984 miliardi, sono il 3% di tutto l’import italiano. Percentuali non paragonabili a quelle europee (rispettivamente la Ue a 17 pesa il 52,2% sull’export italiano e copre il 57,4% dell’import) o nordamericane (9,6 e 3,4). La corrispondente percentuale per l’Ucraina è di 0,4% sull’export italiano e dello 0,7% sull’import.

Analogo il discorso se parliamo di investimenti diretti italiani all’estero e in Italia. L’ultimo dato disponibile è del 2020.  Lo stock degli IDE (Investimenti Diretti all’Estero) italiani negli Usa vale 42,8 md di €; quello in Russia 11,5. Lo stock degli IDE Usa in Italia vale 15,3 miliardi di €; quello degli IDE russi lo 0,63 (nota 7).

Senza voler essere meccanici, i dati elencati sopra sono un’altra spiegazione per l’appartenenza italiana alla Nato e alla UE: è nell’interesse dei gruppi economici prevalenti.

Le conseguenze del conflitto

Questo non impedisce che economisti e politici siano allarmati per il blocco dei prodotti che arrivano dai due contendenti: il grano, l’acciaio grezzo dall’Ucraina (Azovstal alimentava le fabbriche venete e friulane), grano, carbone, petrolio e soprattutto gas dalla Russia. Per il grano non si tratta di forniture strategiche, per il gas sì.

Draghi riconosce che c’è una certa incoerenza fra il fornire armi all’Ucraina e finanziare Putin pagandogli il gas (ci permettiamo peraltro di ricordate che spesso l’Italia ha venduto armi a due fronti opposti di guerra)

Resta il fatto che la richiesta di Biden e Zelensky di azzerare l’import del gas russo da subito è stato definito da molti una specie di suicidio per l’economia italiana (nota 8). Il gas russo non è sostituibile se non fra 3 o 4 anni. Senza questo gas (è di ieri la notizia che gli ucraini hanno già bloccato il 30% delle forniture “perché non possono garantire la sicurezza del gasdotto), l’Italia con le sue riserve arriva ad ottobre 2022. Nel frattempo, Draghi, Di Maio e C. stanno girando il mondo per trovare delle alternative. Per la Russia sarebbe una forte perdita di entrate per i prossimi anni, e le nuove fonti sarebbero più instabili oltre che più costose per i paesi europei. Gli Usa promettono gas liquido (molto più caro), ma non da subito.

Chi si aspettava grandi risultati dall’incontro del 10 maggio fra Biden e Draghi è stato ovviamente deluso. Draghi è primo leader europeo che va negli Usa dall’invasione russa. Ha cercato di proporsi come una sorta di ambasciatore della UE (attualmente travagliata dagli scontri interni sulle ulteriori sanzioni). Davanti ai giornalisti Draghi ha confermato l’alleanza con gli Usa, l’invio di soldati in Ungheria e Bulgaria, l’invio di armi ad alta tecnologia all’Ucraina, ma ha sottolineato che “gli europei” vogliono la pace, si chiedono come fermare il massacro. Biden ha glissato, perché con i 40 miliardi ottenuti dal Congresso vorrebbe una lunga guerra che logori, insieme alla Russia, anche i paesi europei.

Tornato a casa Draghi ha lanciato l’idea di un “cartello” dei consumatori di gas e petrolio per tenere bassi i prezzi. E ovviamente l’Italia continuerà a importare gas e petrolio dalla Russia, pagandolo in rubli, sia pure tramite scappatoie formali.

In giugno ci saranno i vertici del G7 e della Nato e pensiamo di non essere molto originali se riteniamo che lo stato di guerra permarrà. E con esso continueranno massacri di popolazione civile ucraina e di soldati ucraini e russi; aumenterà contemporaneamente l’effetto inflazione che taglieggia i redditi dei lavoratori italiani.

NO ALLE SANZIONI CHE COLPISCONO I LAVORATORI

NO ALLA PARTECIPAZIONE ALLA GUERRA con invio di armi e di soldati nell’Est Europa


NOTE:

Nota 1: dai giornali si è saputo solo qualche particolare sui partecipanti. L’ENI si è sfilata all’ultimo momento dalla riunione cui invece hanno partecipato Enel, Pirelli, Snam Progetti, Barilla, Tecnimont, Unicredit, Banca Intesa, Generali

Nota 2: https://torino.corriere.it/cultura/22_marzo_14/quando-fiat-sbarco-mosca-fascismo-parlava-il-comunismo-34d3095a-a3cb-11ec-9af1-c1077f9ccdda.shtml

Nota 3: Ne elenchiamo alcune:
– nell’agroalimentare: Parmalat, Ferrero, Zuegg, Perfetti, Colussi, De Cecco, Inalca-Cremonini, Barbaro;
– per gli elettrodomestici: Indesit, Candy, Ariston, de Longhi;
– per l’edilizia  infrastrutture Mapei, Marazzi piastrelle, Buzzi Unicem che ancor oggi ha una posizione di monopolio nella produzione del cemento )(, Astaldi, Rizzani De Eccher, Salini, Merloni progetti;
– nel settore energetico oltre a Eni-Saipem, Enel, la Coeclerici e Technimont;
– per la farmaceutica Menarini;
– per la metallurgia Techint, Danieli, Marcegaglia
– per aerospaziale-difesa-telecomunicazioni Finmeccanica-Alenia-Agusta-Ansaldo-Selex, Italtel, Technosystem

Nota 4: progetto per il South Stream:
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Nota 5:

Da “Le relazioni tra Italia e Russia” a cura dell’Osservatorio di politica internazionale novembre 2018
Le cifre del 2014-16  sono in parte distorte perché incide anche il calo del prezzo del petrolio a livello internazionale

Nota 6: l’ICE per il 2021 quantifica il peso dei vari settori sull’export:
27,8% macchine e apparecchiature
10,4% abbigliamento
9% prodotti chimici
6,1% apparecchiature elettriche
5,5% agroalimentare
5% pelletteria
4,9% prodotti in metallo
4,8% prodotti farmaceutici
4,3% mobili
4,1% autoveicoli
https://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=88#

Nota 7: https://www.infomercatiesteri.it/public/osservatorio/schede-sintesi/stati-uniti-damerica_55.pdf
https://www.infomercatiesteri.it/public/osservatorio/schede-sintesi/federazione-russa_88.pdf

Nota 8: valga per tutti l’articolo di Dario Rivolta, che milita nelle file di Forza Italia
https://www.notiziegeopolitiche.net/lucraina-la-russia-e-i-nostri-interessi-voglio-dire-a-mario-draghi-che/

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