L’uso politico dell’ecologia

Un minatore scende in una miniera di rame e cobalto a Kawama, nella Repubblica Democratica del Congo, l’8 giugno 2016.

Dagli ampi studi scientifici di Marx, e in particolari da quelli riguardanti il rapporto – uomo-natura, l’ecologia, rileviamo qui alcuni punti fermi, utili a nostro avviso all’attuale dibattito sul cambiamento climatico. Punti di riferimento validi tanto nel caso che la tesi assunta sia che il cambiamento climatico in corso “è un prodotto dell’attività umana” oppure “un misto tra cicli ‘naturali’ e attività umana”, e sulle misure per contrastarlo.

  1. «L’universalità dell’uomo appare praticamente proprio in quella universalità, che fa della intera natura il corpo inorganico dell’uomo, sia perché essa 1) è un mezzo immediato di sussistenza, sia perché 2) è la materia, l’oggetto e lo strumento della sua attività vitale. La natura è il corpo inorganico dell’uomo, precisamente la natura in quanto non è essa stessa corpo umano. Che l’uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell’uomo sia congiunta con la natura, non significa altro che la natura è congiunta con sé stessa, perché l’uomo è una parte della natura.» (nota 1)
  2. «Come attività conforme allo scopo di adattare l’elemento naturale in una forma o nell’altra, il lavoro è condizione naturale dell’esistenza umana, è una condizione del ricambio organico fra uomo e natura.» (nota 2)
  3. Ma … il capitalismo ha rotto questa unità fondamentale, costitutiva tra l’umanità e il suo corpo inorganico, rendendo improvvisamente la prima estranea al secondo e viceversa. Il capitalismo ha sostanzialmente prodotto l’alienazione tra uomo e natura, espropriando i produttori, sottraendo loro i mezzi di produzione, di cui la terra è quello principale, e asservendo anche questo mezzo di produzione a scopi diversi e spesso antitetici al soddisfacimento dei bisogni vitali dell’umanità. In sintesi al raggiungimento del massimo profitto del capitale investito.
  4. Spezzata l’unità originale uomo-natura, Marx rileva come ora la natura nel suo insieme, intesa mondo fisico-materiale, opponga resistenza al capitale, alla immodificabile pretesa del capitale di accumulare indefinitamente profitti saccheggiando al tempo stesso il lavoro vivo e la natura non umana. Dunque, non solo il capitale contro la natura, ma anche la natura contro il capitale… Il che avviene tramite una serie di reazioni/eventi non dettati da una coscienza, da un piano cosciente, con la pandemia Covid quale drammatico esempio recente.

È con queste coordinate che propongo una riflessione su un tema campione specifico del dibattito ecologico attuale. Quello dei mezzi di trasporto a motore elettrico.

Lavoratori congolesi in piedi accanto a sacchi pieni di scorie di cobalto e rame presso l’impianto di lavorazione STL di Lubumbashi, Repubblica Democratica del Congo, il 1° dicembre 2011.

La rivista americana Foreign Policy (FP), del gruppo del Washington Post, in un suo recente articolo pone questa domanda: Qual è il vero costo delle auto elettriche?

Per rispondere, recensisce il libro di Henry Sanderson, Volt Rush: The Winners and Losers in the Race to Go Green (La corsa dei volt: vincitori e perdenti nella corsa all’energia verde), il quale conclude che le auto pulite alimentano attività molto sporche e regimi corrotti.

In questa “guerra” per la produzione dei motori elettrici, tra i vincitori sono le compagnie che estraggono il rame, sfruttando anche il lavoro minorile, quelle che estraggono il nichel scaricando tonnellate di rifiuti in mare, imprenditori cinici che pagano politici africani corrotti e una serie di miliardari cinesi. 

E qui si scopre il principale obiettivo politico dell’articolo. Imperialismo americano contro imperialismo cinese, in una campagna contro i grandi gruppi cinesi che hanno raggiunto la preminenza mondiale del settore. Il che non significa che siano false le accuse mosse, ma sono accuse che rappresentano ovviamente solo una parte del quadro complessivo.

Il libro, commenta FP, contribuisce a demolire la retorica utopica secondo la quale i veicoli elettrici sarebbero i salvatori dell’ambiente a costo zero. Certo, da una parte contribuiscono a limitare le emissioni di gas serra che si riversano nell’atmosfera e riscaldano il pianeta. Ma dall’altra, optare per le Tesla e i loro concorrenti, finanziati da decine di miliardi di dollari di sussidi governativi in tutto il mondo, comporta anche notevoli danni ambientali e geopolitici.

Sottolineo “geopolitici”, perché nella sostanza è questo il focus di tutto l’articolo. Come impedire che i rapporti di forza internazionali si spostino ulteriormente a vantaggio di Pechino, anche grazie alla “produzione verde”.

Le proposte a riguardo giungono alla fine dell’articolo, e le accenneremo in seguito.

L’attacco ai gruppi cinesi e al governo di Pechino si sostanzia come segue, denunciando l’estrazione delle materie prime occorrenti come molto energivora, e strumento di predazione dell’Africa (e il colonialismo, europeo, la tratta degli schiavi, etc??!!), la concorrenza sleale dei cinesi perché attuata grazie al protezionismo e sussidi statali. Una breve stoccata anche all’imperialismo tedesco, che ha permesso alla Cina di decollare grazie all’accordo siglato da CATL, il maggior gruppo cinese del settore, con la filiale cinese di BMW.

Lo sporco segreto dell’energia verde: la sua fame di risorse africane

La corsa ai metalli per le batterie ripropone una delle dinamiche più distruttive della storia economica globale.

Le batterie agli ioni di litio, la tecnologia più utilizzata per i veicoli elettrici, necessitano di grandi forniture di litio, rame, nichel e cobalto, che miniere cinesi non producono in quantità sufficiente.  Di conseguenza i gruppi cinesi, non disponendo in Cina delle materie prime necessarie per garantirsi un ruolo di primo piano nel settore veicoli elettrici, dovevano entrare nel minerario globale – con finanziamenti governativi – dando così il via ad una “corsa alle materie prime”.

Le auto elettriche richiedono una quantità di rame tre volte superiore a quella delle auto a benzina; e gli autobus elettrici addirittura di 16 volte di più. L’estrazione richiede molta energia, spesso fornita da impianti a carbone, che incide profondamente sul risparmio complessivo di emissioni delle auto elettriche rispetto a quelle convenzionali.

Le batterie sono il cuore dei veicoli elettrici e la Cina è il centro della produzione di batterie avanzate. Pechino ha elaborato la sua politica industriale, tesa al perseguire il predominio nella prossima generazione di auto e veicoli commerciali, ricorrendo a sussidi e protezionismo, sostenendo le imprese del settore, spingendo alla continua riduzione dei costi e favorendo gli investimenti esteri. Pechino ha imposto che, entro il 2030, il 40% dei veicoli venduti in Cina sia elettrico.

Per diversi anni Pechino ha negato i sussidi ai veicoli elettrici che utilizzano batterie straniere, in modo da rendere non competitivi in Cina i produttori di batterie stranieri, garantendo a CATL, Contemporary Amperex Technology Co. Ltd., un mercato protetto fortemente avvantaggiato rispetto ai gruppi sudcoreani, in precedenza erano tecnologicamente in vantaggio, ma che rimangono comunque rivali. CATL è ora leader mondiale nel settore delle batterie. Ha raggiunto questa posizione grazie all’accordo con la joint venture cinese di BMW, e ai suoi standard elevati. CATL sta ora producendo esso stesse innovazioni e, come il gigante delle telecomunicazioni Huawei Technologies Co., intende vendere apparecchiature all’avanguardia a livello globale.

Sulle energie rinnovabili c’è in Cina una spietata concorrenza interna che abbassa i prezzi internazionali. I bassi prezzi cinesi dei materiali e dei componenti solari hanno, da una parte portato al fallimento i concorrenti europei, giapponesi e statunitensi, e dall’altra hanno contribuito a rendere l’energia solare accessibile.

Con quest’ultimo dato di fatto gli altri imperialismi ora devono confrontarsi. Perciò, conclude FP:

I paesi occidentali ora devono scegliere tra bloccare le importazioni cinesi per sostenere le imprese nazionali o ammetterle a favore dei consumatori nazionali.

FP denuncia delle malefatte nella corsa al minerario africano anche il gigante anglo-svizzero Glencore.

Dan Gertler, l’avventuriero israeliano ultraortodosso agente di Glencore, sfruttando i suoi legami con il presidente congolese Joseph Kabila e pagando nel decennio 2005-2015, tangenti per oltre 100 milioni di dollari, acquisì i diritti sul cobalto e sul rame congolesi per una frazione del loro valore.

Ma poi continua denunciando il supersfruttamento della mano d’opera africana da parte delle compagnie cinesi che:

hanno acquistato cobalto in Congo. La Huayou Cobalt Co. si è avvalsa dell’”estrazione arti-gianale”, cioè di minatori singoli che scavano per trovare il cobalto per 2 o 3 dollari al giorno senza attrezzature di sicurezza, spesso utilizzando bambini come manovali. Secondo Sanderson, nel 2019 la Cina ha lavorato il 90% del cobalto del Congo, con Huayou come principale fornitore.

Un rapporto intitolato “This Is What We Die For” di Amnesty International del 2016 denunciò Huayou per il ricorso al lavoro minorile.

Una denuncia dovuta, ma che dimentica il supersfruttamento di forza lavoro a livello globale nei paesi in via di sviluppo, come pure dei lavoratori immigrati, soprattutto di quelli mantenuti ad arte “illegali” in casa propria da parte dei capitali “occidentali”.

Vengono brevemente (e solo superficialmente) fatte considerazioni tecnico-scientifiche a dimostrazione che la produzione stessa per le batterie elettriche necessita spesso l’utilizzo di combustibile altamente inquinante come il carbone.

Le miniere di nickel e le fabbriche per la sua lavorazione vengono generalmente alimentate a carbone, il che significa che il nichel prodotto per le batterie in Indonesia, da vari gruppi cinesi, che vi hanno costruito stabilimenti per la sua lavorazione (come Tsingshan Holding Group) produce probabilmente il triplo delle emissioni di carbonio rispetto a operazioni simili in Canada e Australia.

Rilevando che l’autore del libro recensito non ha analizzato il bilancio complessivo, il rapporto costo-benefici del motore elettrico, FP accenna a stime al riguardo.

Partendo dall’estrazione del litio e di altri minerali fino al ciclo vitale medio di un’automobile, quale vantaggio in termini di emissioni avrebbe una Tesla rispetto a un’auto simile alimentata a gas?

Esistono molte stime a riguardo. L’anno scorso la Reuters ha calcolato che il modello 3 di una Tesla negli Stati Uniti doveva essere guidato per 13.500 miglia prima di produrre meno danni ambientali di una Toyota Corolla.

Come ridurre il danno ambientale? Riciclaggio delle batterie? Sì, ma non basta. Estrazione del litio sul modello della Cornovaglia utilizzando energia geotermica? Sì, ma anche questo non basta.

Ed ecco la conclusione, il suggerimento “strategico” alla questione reale che preme a FP, non alla questione ecologica ma la competizione contro la Cina.

Per vincere la concorrenza della Cina: ci vogliono fondi per la ricerca e incentivi per la produzione nazionale. (?come fa la Cina?)

In questa direzione le due recenti leggi emanate dall’amministrazione Biden: una sovvenziona la produzione di semiconduttori; l’altra sovvenziona l’energia rinnovabile, compresi i veicoli elettrici e l’energia solare.

E

Essendo la Cina leader in tecnologie e industrie importanti, tra cui l’energia solare e le batterie, la politica più intelligente è quella di incoraggiare la Cina a investire negli Stati Uniti, a inviarvi i suoi ricercatori e contare sull’apertura degli Stati Uniti per dare all’America un vantaggio.

Da una parte riteniamo indubbia la capacità della ricerca scientifica di contrastare, riducendolo, il tasso di inquinamento ecologico provocato dalla produzione umana, e infine lo stesso cambiamento climatico che stiamo vivendo drammaticamente.

Dall’altra siamo ben consapevoli che la classe che possiede i mezzi materiali, i capitali, che potrebbero essere utilizzati a questo scopo, e che guida le decisioni politiche dei governi nazionali ha altre priorità, come detto sopra. Il governo della borghesia americana, italiana, tedesca, cinese, giapponese, etc. favorirà la costruzione di auto verdi se riesce a prevalere sui concorrenti e se questi investimenti garantiscono buoni profitti ai capitali nazionali. Inoltre, all’interno dei vari paesi è accanito lo scontro, la lotta all’ultimo sangue tra i gruppi legati alla produzione di energie non rinnovabili e quelli legati alle rinnovabili; tra le produzioni energivore e quelle che lo sono meno… Chi vincerà?

Se il conto contingente, come sta accadendo in questa fase di crisi bellica e di forte aumento dei prezzi energetici, richiede di riattivare anche le centrali a carbone, o quelle atomiche, il “verde” verrà posto in secondo piano, e magari presentato come nemico delle famiglie che devono pagare bollette salate. I media racconteranno solo le storie che demonizzano le alternative alla produzione energetica attuale, parleranno di perdita di posti di lavoro, etc., di conti statali in salita.

Noi sosteniamo invece che le possibilità a riguardo non dipendono da disponibilità di capitali (ce ne sono, e abbondanti, per le bombe, tanto per dirne una), da costrizioni “oggettive”, ma da scelte politiche, da rapporti di forza politici. Dalla lotta tra le classi sfruttate e sottomesse e la classe al potere. Per i bisogni di tutta l’umanità contro i profitti della piccola minoranza che detiene i capitali.

Occorre ricostruire l’unità uomo-natura, eliminando la divisione sociale in classi.


Nota 1: Marx, Manoscritti economico-filosofici (1844).

Nota 2: (Grundrisse, cap. 1. La merce)

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