Minoranza PD: dai ruggiti ai guaiti

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Dopo tante rimostranze e proteste, la minoranza PD si è messa in riga. L’imposizione della fiducia sull’approvazione al Senato ha fatto passare con buon margine (165 Sì, 111 No e 2 astenuti) la legge delega che dà al governo il mandato per preparare una nuova legislazione del lavoro, ma già nella riunione di direzione del 29 settembre il provvedimento era passato di gran carriera e gli “irriducibili” avevano promesso il proprio appoggio.

Nella delega appena votata al Senato – ennesimo certificato di subalternità del Parlamento all’esecutivo – non c’è un esplicito riferimento all’articolo 18, ma l’intento dichiarato del governo e confermato in aula dal ministro Poletti è quello di ridimensionarlo ulteriormente.

Dopo gli squallidi spettacoli dei “partiti di lotta e di governo” offertici da Rifondazione Comunista durante l’ultimo governo Prodi, e alcuni decenni fa dal PCI, ora abbiamo assistito a quello di una “minoranza di lotta e di governo”, che già nelle “stanze interne” del partito rinuncia ad ogni coerenza.

Per anni la precarietà è stato l’oggetto di scontro fra la destra berlusconiana e la “sinistra”. Nel 2002 il tentativo del governo Berlusconi di sospendere in alcuni casi l’applicazione dell’articolo 18 nelle medie aziende provoca una fortissima reazione della CGIL, tanto che gli stessi esponenti del grande capitale italiano – i primi colpiti dagli scioperi ma gli ultimi a beneficiare da questa nuova norma – suggeriscono di soprassedere.

Uno scontro che era strumentale alla competizione parlamentare: le grandi manifestazioni di lavoratori sono servite al segretario CGIL di quel tempo Sergio Cofferati per tentare – senza riuscirci – la scalata ai vertici dei DS, ma anche all’opposizione di centrosinistra per bersagliare il governo in carica.

Soprattutto uno scontro che mascherava una continua corsa alla precarizzazione di fasce sempre più ampie di lavoratori, corsa portata avanti da entrambi gli schieramenti: dal Pacchetto Treu varato dal centrosinistra nel ’97 che introduce in Italia il lavoro interinale alla legge Biagi – varata proprio mentre Cofferati cavalcava la difesa dell’articolo 18! – che crea una lunga serie di tipologie di contratto precario: a progetto, a chiamata, ecc. fino al governo Renzi, che inventa il contratto a termine “a ripetizione”, cancellando di fatto l’assunzione a tempo indeterminato.

Oggi questo scontro è diventato quello tra il segretario del principale partito di centrosinistra e una minoranza interna di “trombati”, che però alla resa dei conti hanno messo da parte i nobili propositi di tutela di diritti e principi e si è messa in linea, cercando di far passare la propria incoerenza come amore per il proprio partito o come senso di responsabilità verso l’Italia.

Nel voto parlamentare di ieri si sono nuovamente distinti i senatori Cinquestelle con una delle loro consuete “azioni di disturbo” buone solo per avere il proprio quarto d’ora di celebrità. Pagliacciate messe in atto da una forza politica che è in buona parte espressione di quella piccola e media borghesia che spinge pesantemente per una maggiore precarietà; la loro stessa proposta di legge di un “reddito di cittadinanza” è perfettamente compatibile col progetto dichiarato dal governo di accompagnare la maggiore flessibilità con un sostegno alla disoccupazione esteso a tutte le categorie (proposta dichiarata, ma ancora senza copertura finanziaria).

Davanti a questo spettacolo, è evidente a tutti non solo quanto sia marginale un parlamento che delega al governo il compito di legiferare, ma anche quanto siano marginali – e spesso ipocriti – coloro che nelle aule parlamentari si atteggiano a difensori dei lavoratori, vuoi come minoranza critica di un governo che però sostengono anche quando è indifendibile, vuoi distinguendosi con sceneggiate estreme nella forma quanto inconcludenti nella sostanza.

L’unica strada per difendere e là dove è possibile estendere i diritti dei lavoratori è la lotta di classe, contro il padronato che li attacca e i suoi governi che li stanno smantellando.