Mobilitazioni degli operai del settore energetico in Turchia

Turkey protest update

Venerdì 18 aprile gli operai del settore energetico e i minatori di Yatağan nell’Anatolia sudoccidentale, di Yeniköy e Kemerköy nei pressi della capitale, in lotta da mesi contro il piano di privatizzazioni portato dal governo dell’AKP hanno dato il via all’occupazione delle centrali termoelettriche e delle miniere di carbone, bloccando la produzione e negando l’ingresso ai dirigenti e ai reparti delle forze dell’ordine inviati per abbattere le barricate costruite dagli operai con il sostegno dei familiari accorsi in sostegno alla protesta.

Nel frattempo ad Ankara mentre si svolgeva la trattativa tra le compagnie private, governo e i sindacati, la polizia comprese alcune unità a cavallo circondava il presidio della delegazione operaia arrivata da Yatağan nel parco antistante alla sede istituzionale, sparando proiettili di gomma e utilizzando gli idranti. Dopo la carica gli operai, raggiunti da attivisti, studenti e ultras, sono partiti in corteo lanciando un messaggio chiaro ai vertici della confederazione sindacale Türk-İş, il principale sindacato del paese, responsabile di una condotta inerte e assolutamente prona agli interessi del governo e delle compagnie private, occupandone la sede centrale. Dalle centrali e dalle miniere occupate i lavoratori hanno manifestato la volontà di resistere con ogni mezzo al piano di privatizzazione dichiarando l’occupazione a oltranza e annunciando di essere pronti a gestire loro stessi la produzione. Alla mobilitazione hanno espresso la propria solidarietà i lavoratori della centrale elettrica di Seyitömer (nell’Anatolia nordoccidentale), che dopo aver già subito dagli esuberi causati da un analogo piano di privatizzazione lottano per il reintegro dei licenziati.

È necessario ricordare che la lotta dei lavoratori del settore energetico si inserisce in un contesto che vede numerosi segnali di protagonismo operaio capace di rompere i confini imposti non solo dalla borghesia ma anche dalle burocrazie sindacali, soprattutto se si contano anche le mobilitazioni in corso a Istanbul dei portuali della Kumport, quelle dei lavoratori dei tessili della Punto Deri e l’occupazione della Greif durata oltre due mesi, lotte sviluppatesi contro il padrone e contro i sindacati di regime.

Il dato che accomuna queste lotte è il fatto che si siano sviluppate in aperta contrapposizione con la cornice autoritaria e clientelare che sta dietro alle relazioni di fabbrica, in un contesto in cui un fitto tessuto di piccole e medie imprese manifatturiere all’origine del cosiddetto “boom” economico turco trae un flusso enorme di profitti basandosi su un brutale sfruttamento di forza lavoro con paghe giornaliere che spesso non superano le 20 lire turche (poco meno di 10 euro). Il tutto si inserisce nel più generale contesto politico, che pur avendo registrato la vittoria di Erdoğan alle scorse amministrative è ben lontano dal dirsi pacificato se si tengono presenti anche gli scontri nelle settimane successive al voto – scoppiati a seguito di numerose di segnalazioni di brogli nelle zone a maggioranza curda a favore dell’AKP – e i preparativi per il primo maggio accompagnati dalla consueta offensiva mediatica del governo per giustificare le misure preventive quali la chiusura di piazza Taksim a Istanbul a qualsiasi corteo. In ogni caso quello che appare certo è che nonostante il lavorio dei sindacati di regime per frammmentare e depotenziare le lotte, questo primo maggio in Turchia non sarà una pura ricorrenza.

Venerdì 18 aprile gli operai del settore energetico e i minatori di Yatağan nell’Anatolia sudoccidentale, di Yeniköy e Kemerköy nei pressi della capitale, in lotta da mesi contro il piano di privatizzazioni portato dal governo dell’AKP hanno dato il via all’occupazione delle centrali termoelettriche e delle miniere di carbone, bloccando la produzione e negando l’ingresso ai dirigenti e ai reparti delle forze dell’ordine inviati per abbattere le barricate costruite dagli operai con il sostegno dei familiari accorsi in sostegno alla protesta.

Nel frattempo ad Ankara mentre si svolgeva la trattativa tra le compagnie private, governo e i sindacati, la polizia comprese alcune unità a cavallo circondava il presidio della delegazione operaia arrivata da Yatağan nel parco antistante alla sede istituzionale, sparando proiettili di gomma e utilizzando gli idranti. Dopo la carica gli operai, raggiunti da attivisti, studenti e ultras, sono partiti in corteo lanciando un messaggio chiaro ai vertici della confederazione sindacale Türk-İş, il principale sindacato del paese, responsabile di una condotta inerte e assolutamente prona agli interessi del governo e delle compagnie private, occupandone la sede centrale. Dalle centrali e dalle miniere occupate i lavoratori hanno manifestato la volontà di resistere con ogni mezzo al piano di privatizzazione dichiarando l’occupazione a oltranza e annunciando di essere pronti a gestire loro stessi la produzione. Alla mobilitazione hanno espresso la propria solidarietà i lavoratori della centrale elettrica di Seyitömer (nell’Anatolia nordoccidentale), che dopo aver già subito dagli esuberi causati da un analogo piano di privatizzazione lottano per il reintegro dei licenziati.

È necessario ricordare che la lotta dei lavoratori del settore energetico si inserisce in un contesto che vede numerosi segnali di protagonismo operaio capace di rompere i confini imposti non solo dalla borghesia ma anche dalle burocrazie sindacali, soprattutto se si contano anche le mobilitazioni in corso a Istanbul dei portuali della Kumport, quelle dei lavoratori dei tessili della Punto Deri e l’occupazione della Greif durata oltre due mesi, lotte sviluppatesi contro il padrone e contro i sindacati di regime.

Il dato che accomuna queste lotte è il fatto che si siano sviluppate in aperta contrapposizione con la cornice autoritaria e clientelare che sta dietro alle relazioni di fabbrica, in un contesto in cui un fitto tessuto di piccole e medie imprese manifatturiere all’origine del cosiddetto “boom” economico turco trae un flusso enorme di profitti basandosi su un brutale sfruttamento di forza lavoro con paghe giornaliere che spesso non superano le 20 lire turche (poco meno di 10 euro). Il tutto si inserisce nel più generale contesto politico, che pur avendo registrato la vittoria di Erdoğan alle scorse amministrative è ben lontano dal dirsi pacificato se si tengono presenti anche gli scontri nelle settimane successive al voto – scoppiati a seguito di numerose di segnalazioni di brogli nelle zone a maggioranza curda a favore dell’AKP – e i preparativi per il primo maggio accompagnati dalla consueta offensiva mediatica del governo per giustificare le misure preventive quali la chiusura di piazza Taksim a Istanbul a qualsiasi corteo. In ogni caso quello che appare certo è che nonostante il lavorio dei sindacati di regime per frammmentare e depotenziare le lotte, questo primo maggio in Turchia non sarà una pura ricorrenza.