Myanmar, proteste contro la giunta militare e contro i capitali – cinesi

Il 14 marzo, lo stesso giorno della feroce repressione dei militari contro i manifestanti, che ha portato a 183 le vittime complessive a seguito del loro colpo di stato del 1° febbraio (cfr. art. https://www.combat-coc.org/sangue-sulla-birmania/), nella zona industriale Hlaung Tharyar di Yangoon, in cui sono state incendiate almeno dieci fabbriche, per lo più dell’abbigliamento, con capitale a partecipazione di imprenditori cinesi.

I leader della protesta hanno accusato degli incendi forze di sicurezza in borghese, negando la responsabilità del Movimento di Disobbedienza Civile (CDM). Il regime della giunta del generale Min Aung Hlaing, ha invece incolpato i manifestanti e, su richiesta della Cina, ha immediatamente allargato la legge marziale ad altre municipalità, sei fino ad ora in totale.

Cina – Myanmar

Il Partito Comunista Cinese mantiene da sempre strette relazioni con i generali del Myanmar, e dal 1988 al 2013, quando vennero sanzionati e ostracizzati dall’Occidente, hanno loro garantito un sostegno diplomatico e investimenti.

Dal 1988 al 2019, la Cina è stata il maggiore investitore in Myanmar, con oltre 20 miliardi di dollari, pari al 26% del totale degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) del paese, (dati Myanmar Investment Commission). Poi, nel 2020, Singapore ha superato la Cina per IDE totali.

Gran parte degli investimenti cinesi ha riguardato energia idroelettrica, petrolio e gas e il minerario, ma anche il manifatturiero di fascia bassa, come il tessile.

La Cina sta pompando miliardi di dollari anche in progetti per la Belt and Road Initiative (BRI), tra questi un porto d’alto mare e una zona economica speciale a Kyaukphyu, nello stato occidentale di Rakhine. I cinesi stanno investendo anche nel progetto per una “nuova città” a Yangon, che, se completato, dovrebbe rivoluzionare il volto dell’ex capitale dell’era coloniale.

Un oleodotto e un gasdotto parallelo – infrastrutture fondamentali della BRI cinese in Myanmar – attraversano il paese da nord a sud per oltre 2.000 chilometri fino al porto Kyaukphyu sull’Oceano Indiano, da cui parte verso il Sud Cina.

Il gasdotto Myanmar-Cina serve per diversificare ulteriormente le importazioni di carburante e garantire la sua sicurezza energetica della Cina. È lungo 2.520 chilometri, parte dal porto di Kyaukpyu sulla costa occidentale del Myanmar, entra in Cina nello Yunnan e termina nella regione autonoma del Guangxi Zhuang. Fornirà il gas naturale a tre province sudoccidentali (Guanxi, Yunnan e Guizhou. Il gasdotto, la cui costruzione è iniziata nel giugno 2010 e completato nel 2013, ha una capacità di fornitura annuale di 12 miliardi di metri cubi.

Oleodotto e gasdotto da Myanmar verso la Cina rappresentano per Pechino un’alternativa cruciale per le sue esportazioni dal Medio Oriente, che passano per lo più attraverso lo stretto di Malacca, una strozzatura che Pechino teme che gli Stati Uniti possano bloccare in caso di conflitto. Alti funzionari per gli Esteri della Cina avrebbero chiesto ai generali di garantire la sicurezza degli oleodotti, temendo azioni di boicottaggio da parte degli oppositori al regime.

Dati i suoi importanti interessi economici e strategici, Pechino ha difficoltà a barcamenarsi nella la crisi del colpo di stato.

L’ambasciatore cinese, Chen Hai, evitando di denunciarlo apertamente come putsch, l’ha definito “cambiamento della situazione politica” e “affare interno”. Xinhua, l’agenzia statale cinese di media ne ha parlato come “importante rimpasto di governo”, nonostante la giunta militare abbia incarcerato i leader civili, tra i quali anche il primo ministro de facto Aung San Suu Kyi.

Secondo gruppi per i diritti umani, Huawei, il gigante tecnologico cinese, avrebbe fornito telecamere di sorveglianza con capacità di identificazione facciale e delle targhe automobilistiche, il che sarebbe servito alla giunta militare per identificare e arrestare i leader della protesta.

La grande diga, priorità bipartisan per gli affari, disastro per le popolazioni locali

Tra gli investimenti cinesi contestati dalla popolazione birmana, c’è il grande progetto della diga Myitsone, costo 3,6 miliardi di dollari, nello stato settentrionale di Kachin, alla confluenza dei fiumi Mali e N’mai, dove nasce il fiume Irrawaddy (nota 1). La costruzione è stata avviata dalla Upstream Ayeyawady Confluence Basin Hydropower Company, una joint venture tra China Power Investment Corporation (CPI), la società elettrica statale birmana Myanma Electric Power Enterprise (MEPE) e la conglomerata Asia World Company (nota 2).

Benché solo il 44% della popolazione del Myanmar abbia accesso all’elettricità, il 90% dell’energia prodotta dalla diga verrebbe esportata in Cina.

La diga sommergerebbe un’area delle dimensioni di Singapore, facendo sfollare 47 villaggi e circa 15.000 persone, secondo il Kachin Development Network Group (Associazione per lo sviluppo Kachin) (nota 3). La pianura alluvionale dell’Irrawaddy è la zona agricola più importante del paese. Da uno studio della Yangon School of Political Science del 2016, risulta che l’85% della popolazione del Myanmar era contrario alla diga.

L’Irrawaddy è considerato sacro, il “fiume madre” di Myanmar. Il movimento anti-Myitsone è partito dalla popolazione Kachin, il più immediatamente colpito dalla costruzione della diga. Nel mito delle origini, la confluenza di Myitsone è il luogo di nascita del popolo Kachin.

Dopo il recente putsch, il generale Min Aung Hlaing, in continuità rispetto alle posizioni del governo di Aung San Suu Kyi, ha annunciato la ripresa di progetti idroelettrici attualmente in stallo, con evidente riferimento alla contestata diga Myitsone, una mossa per assicurare il sostegno della Cina al suo regime.

Fino ai primi anni ’90, la maggior parte di Hpakant era gestita dall’Organizzazione per l’Indipendenza Kachin (KIO) (nota 4).

Le miniere di Hpakant sono state rilevate dalle forze armate del Myanmar, note come Tatmadaw, e suddivise in concessioni a grandi aziende, spesso legate ai militari. Nel 2014, l’anno di picco di questo settore, Global Witness ha valutato che il valore del commercio di giada del Kachin era di circa 31 miliardi di $, il 50-80% del quale venduto illegalmente alla Cina.

Prima del passaggio di Hpakant in mano ai militari e poi ai concessionari, i piccoli minatori potevano scavare liberamente pagando tasse informali a KIO, in sale, riso e denaro. Verso la fine degli anni ’90, coloro che non lavoravano per le compagnie con licenza governativa sono stati esclusi dalle aree migliori, e si trovarono costretti a setacciare illegalmente i siti delle compagnie durante le ore di pausa, di notte alla luce delle torce e, nella stagione delle piogge. Setacciano i siti abbandonati dalle compagnie, i cumuli di rifiuti, scavano tra i giacimenti di minore qualità ai margini, e infine sono costretti a smerciare illegalmente le gemme.

Con l’estrazione intensiva si sono susseguite crisi sociali e ambientali. Centinaia di migliaia di minatori sono affluiti nella zona da tutto il paese. Droga, crimine e violenza sono aumentati in maniera esponenziale, mentre le esplosioni minerarie scuotevano le case e le compagnie minerarie se ne andavano lasciando indietro pozzi vuoti ed enormi cumuli di rifiuti.

Le miniere di Hpakant sono in perenne rischio di collasso, con frequenti frane durante la stagione delle piogge. Mentre le società minerarie sono costrette a cessare le operazioni durante questa stagione, i minatori più disperati non si fermano.

Ogni anno vengono sepolti decine di cercatori, con un record crescente di vittime e di vedove.

[Fonti: Asia Times, 16.03.2021/Foreign Policy, 23.02.2021; Pulitzer Center.org. 19.08.2019/24.08.2020; Kachin development Networking Group, 02.07.2020; bnionline.net, 16.01.2019; Aseantoday, 29.04.2019]


Nota 1: vedi https://www.chiangraitimes.com/thailand-national-news/myanmar-myitsone-dam-damming-of-the-irrawaddy-river/

Nota 2: Asia World Company è la maggiore conglomerata di Myanmar, il suo AD (Amministratore Delegato) è Htun Myint Naing, noto anche come Steven Law e Lo Ping Zhong, è uno degli uomini d’affari più potenti e ben collegati in Myanmar con stretti legami con la Cina. Steven Law è figlio di Lo Hsing Han, uno dei più noti trafficanti di droga del paese; possiede anche il Magway FC. Law ha sposato una imprenditrice di Singapore, Cecilia NG, la quale, oltre alle numerose società legate al traffico di droga, possiede Golden Aaron Pte Ltd, che ha legami con il gigante statale cinese del petrolio e del gas, China National Offshore Oil Corporation (CNOOC).

Nota 3: I Kachin sono popolazioni tribali che occupano parti del Nord-est del Myanmar e aree contigue dell’India (Arunachal Pradesh e Nagaland) e della Cina (Yunnan). Si calcola che, a fine 20° secolo, fossero circa 712.000, difficile la valutazione per assenza di censimenti. Il maggior numero di Kachin vive in Myanmar (circa 590.000), ma circa 120.000 vivono in Cina e alcune migliaia in India. Parlano varie lingue del gruppo tibeto-birmano. (Britannica) Tra i due terzi e il 90% sarebbero di religione cristiana.

Nota 4: Fondata nel 1961, KIO è uno dei molti gruppi etnici armati che perseguono l’autonomia politica – e con essa il decentramento della gestione della terra e delle risorse – da quando il Myanmar ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna, nel 1948. Dal 2011, quando i militari posero fine alla tregua durata 17 anni con KIO, più di 100mila Kachin sono stati costretti alla fuga.
Quando NLD, il partito di Aung San Suu Kyi, salì al potere, molti Kachin e altre minoranze etniche furono sperarono nel progresso della decentralizzazione e di un maggiore peso politico delle minoranze etniche sui temi che le riguardavano, compreso un accesso più equo alle risorse nei loro stati. Ma il governo NLD non ha affrontato in modo significativo la gestione della terra e delle risorse, mentre gli scontri armati si sono intensificati su più fronti.


Vedi anche:
Sangue sulla Birmania
Putsch a Myanmar

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