NON CI UNIAMO AL CORDOGLIO SU SERGIO MARCHIONNE

Da giorni, da quando è rimbalzata la notizia sulle condizioni “irreversibili” di salute di Sergio Marchionne, si è scatenata sui mezzi di informazione una buriana mediatica che è possibile osservare solo a fronte di eventi “epocali”.

Non che Sergio Marchionne fosse uno qualsiasi: essere AD di un gruppo internazionale come Fiat-Chrysler mette per forza di cose il personaggio al centro dei riflettori.

Ma, a parte il fatto che – ancora vivo – il suo “de profundis” è già stato recitato con molta “eleganza”, ed umanità (com’è nello stile della borghesia) nominando prontamente il successore (Michael Manley, il quale fa prontamente fuori il “competitor” Alfredo Altavilla), non si può comunque non rilevare che la “fama” che Marchionne si è guadagnata deriva non dal “rilancio” del marchio FCA, ma dalla sua politica di sistematica demolizione degli operai. Dalla sua persistente e “cocciuta” linea di superamento del Contratto Nazionale, di ancoraggio dei salari ai profitti, di precariato diffuso, di licenziamenti facili (una delle “muse” del renziano Jobs Act fu proprio Marchionne), di taglio dei tempi di lavoro, di “flessibilità” degli orari, e di autoritarismo aziendale condito col paternalismo.

Questo ultimo aspetto, a fronte di un uso indiscriminato della cassa integrazione in tutti gli stabilimenti italiani del gruppo, ha portato tra l’altro all’esasperazione e poi al suicidio di alcuni dipendenti FCA, senza che la cosa – ricordiamolo – provocasse particolari “emozioni” tra i giornaloni di Regime, né tantomeno “minuti di silenzio” in parlamento.

Dal momento che cinque compagni di lavoro dei suicidati si sono sentiti di denunciare quanto accaduto “prendendosela” con un manichino dello stesso Marchionne, si sono visti mettere sulla strada: licenziati in tronco per “offesa all’immagine dell’azienda”.

Questi compagni, per rompere la canea di “lodi sperticate” provenienti dai “lorsignori” e dai loro megafoni, hanno scritto un Comunicato che condividiamo pienamente e che pubblichiamo.

Sappiamo che la forza del capitalismo sfruttatore, purtroppo, non sta nei singoli individui.

Ciò non significa che i comunisti non riconoscano il ruolo degli individui nella lotta di classe, l’influenza delle personalità, l’esigenza di farci i conti. Finché la società rimarrà divisa in classi, rimarrà divisa tra sfruttati e sfruttatori, tra oppressi ed oppressori, PER NOI GLI UOMINI NON SONO TUTTI UGUALI.

Piangiamo la morte – quotidiana – dei nostri compagni di classe assassinati dal profitto; non ci uniamo affatto al cordoglio per la morte di quello che il Resto del Carlino ha definito “un grande italiano”. Marchionne in vita era uno sfruttatore, e dei peggiori. La morte non cancella certo la sua responsabilità di avere contribuito a rendere un inferno la vita dei salariati del gruppo FCA.

La CGIL rammenta in Marchionne “l’avversario”, il “duro negoziatore”, come se si fosse ad una partita di calcio o alla compra-vendita di un immobile…

Nossignori: Marchionne era un nemico di classe, un funzionario di quel Capitale che sfrutta, affama, uccide in Italia e nel mondo. L’onore delle armi lo si dà a chi lotta per il suo superamento.