Rapporto Chilcot: atto d’accusa contro gli imperialismi. E in Iraq il massacro continua.

Non avevamo bisogno di leggere il Rapporto Chilcot per sapere che Blair e i suoi consiglieri si inventarono le “armi di distruzione di massa” per scatenare la guerra all’Iraq del 2003, e non ne aveva avuto bisogno il milione e più di persone che il 25 febbraio 2003 manifestarono per le strade di Londra contro la guerra, inascoltate dal governo inglese. La verità storica emerge 13 anni dopo, quando non nuoce agli interessi dell’imperialismo inglese e quando l’opinione pubblica inglese è concentrata sulle conseguenze della Brexit e sulla contemporanea crisi di leadership dei tre partiti maggiori.

Ma c’è il feroce attentato nel quartiere a maggioranza sciita di Karrada, a Bagdad (250 morti ad oggi, in maggioranza donne e bambini), rivendicato dall’ISIS, a ricordarci quale disastro ha lasciato dietro di sé questa guerra (Iraqi Freedom), cui si associò anche l’Italia di Berlusconi: 150 mila morti iracheni per cause belliche dirette, altri 250 mila indirettamente, 1 milione e più di profughi, una guerra civile interminabile e da ultimo la nascita dell’ISIS, che lo stesso Blair ha riconosciuto essere “figlia illegittima” del conflitto.

L’attentato a Bagdad è l’attesa “vendetta” per la caduta di Falluja, che era in mano all’ISIS ed è stata riconquistata dall’esercito iracheno, appoggiato dalle milizie iraniane, e dall’aviazione statunitense. Falluja è la città che dopo il 2003 ha avuto più bambini malformati che non Hiroshima (a causa del fosforo bianco usato dalle truppe d’occupazione per domare la rivolta), una città sunnita che inizialmente ha accolto come liberatori i guerriglieri dell’ISIS, in odio al governo “sciita” di Bagdad.

L’assedio per riprenderla ha visto una sorta di guerra fratricida all’interno della minoranza sunnita, con padri, fratelli, figli e nipoti presenti nelle file dell’esercito iracheno come nelle file dell’ISIS, che, come abbiamo più volte scritto, rappresenta anche il revanchismo sunnita, di quella minoranza irachena che con la caduta di Saddam prima e il ritiro americano dopo, è stata estromessa dal potere politico, ma anche dai proventi del petrolio.

Falluja conquistata ha visto il solito corollario di saccheggi e massacri che hanno caratterizzato le riconquiste di Tikrit e di altre città strappate all’ISIS, in cui è sempre e soprattutto la popolazione civile a pagare i costi più alti.

Il rapporto Chilcot, frutto di sette anni di ricerche e interviste, voluto dal governo Brown nel 2009, osteggiato da esercito e servizi segreti, che non volevano “mollare” i documenti compromettenti, afferma che:
a) il Regno Unito scelse di unirsi all’invasione dell’Iraq prima di aver esauriti tutti i tentativi di soluzione pacifica;
b) la certezza con cui si presentò il pericolo delle armi di distruzione di massa non aveva alcuna giustificazione;
c) le azioni del Regno Unito rappresentarono una violazione dell’autorità dell’ONU;
d) le forze inglesi inviate in Iraq mancavano di una adeguato equipaggiamento (veicoli corazzati, elicotteri, assistenza) e solo con un ritardo ingiustificato si provvide a colmare il gap con le esigenze belliche;
e) i piani e la preparazione per l’Iraq del dopo-Saddam furono del tutto inadeguati;
f) in seguito a questa guerra sono morti 200 cittadini britannici e non meno di 150 mila cittadini iracheni; più di un milione sono stati migranti forzati;
g) Blair sovrastimò la sua capacità di influire sulle decisioni statunitensi e gli USA non diedero agli inglesi supporto incondizionato.

Frasi che, per chi ricorda gli avvenimenti, suonano come una accusa di mendacia per Blair, ma soprattutto di denuncia di come e da chi nella democrazia borghese vengono prese decisioni terribili, con la conseguente morte di centinaia di migliaia di persone.

Interrogata da Al Jazeera una giovane gallese che aveva partecipato alla marcia contro la guerra del 2003, ha commentato: “Dopo che non tennero in nessun conto in quanti protestavamo contro la scelta di iniziare la guerra, ho perso qualsiasi fiducia nei politici e nella politica”.

Ma secondo noi non si tratta soltanto di non aver fiducia in quei politici e nella LORO politica.

Si tratta di combattere contro un sistema sociale basato sullo sfruttamento che produce guerre, profughi e fame nonostante l’abbondanza di risorse disponibili per l’umanità (anzi, proprio perché le risorse sono abbondanti, le borghesie si contendono i mercati da sfruttare calpestando le vite umane).

Si tratta di rovesciare un sistema politico guidato da bugiardi che scatenano guerre sanguinose sulla base di pretesti e falsità, dove i governi “democratici” sostengono i peggiori dittatori oppure invadono e bombardano i paesi in cui governano a seconda della convenienza delle proprie borghesie.

Si tratta di smascherare mass-media e pennivendoli pagati per montare campagne belliciste strumentalizzando il tema dei diritti umani – per altro ampiamente violati anche dai paesi “democratici” – o propagandando bugie su armi di distruzione di massa che non vi sono.

Si tratta di far maturare l’indignazione per le guerre e per la malafede di chi le vuole in una coscienza politica e in una militanza comunista.