Roma: dalla sfilata alla lotta

Manifestazione 25 ottobre

La passeggiata romana della CGIL è riuscita. L’iperbolica cifra di un milione di partecipanti non si vede neppure col binocolo, ma in tempi in cui scendono in piazza le migliaia, i manifestanti di sabato sono molti.

E’ stata la manifestazione dell'”opposizione di sua maestà”, di quegli apparati sindacali e di quella minoranza interna che Renzi ieri aveva irriso e oggi cerca di rabbonire, la manifestazione di chi è rimasto escluso dai giochi della concertazione o delle dinamiche interne del PD, di chi ha votato il Jobs Act pur criticandolo e di chi ha tenuto bordone ai “governi amici” e alla loro politica di promozione della precarietà, di chi si è mobilitato in forze solo perché vedeva minacciato il proprio apparato e le prospettive per una futura carriera politica.
Ma è stata anche una manifestazione che ha veicolato la sana reazione di tanti lavoratori all’ennesimo attacco del governo padronale. Una reazione senza la quale nessuna burocrazia sindacale, per quanto estesa e organizzata, sarebbe riuscita a portare in piazza centinaia di migliaia di partecipanti.

Sui media viene dato molto risalto al contrasto fra quei PD che dalla piazza criticano le scelte politiche che loro stessi hanno votato e gli altri raccolti intorno al premier alla Leopolda, da dove imprenditori e politici sostengono le scelte governative fino alla “fuga in avanti” del finanziere Davide Serra che chiede un ridimensionamento del diritto di sciopero per gli statali (i vertici del PD disapprovano, ma se è per quello qualche mese fa disapprovavano anche l’abolizione dell’articolo 18…). I dirigenti del PD in piazza ripetono concetti come “ascolto”, “rispetto”: si rivolgono al premier e ai suoi per avere voce in un confronto interno. I media nazionali danno peso allo scontro interno al partitone e alle sue appendici sindacali per favorire una soluzione “in famiglia”.
I rischio è che questo gioco delle parti diventi anche per i lavoratori l’unico orizzonte visibile, dividendoli fra quelli che detestano un sindacato che li ha sempre trascurati e coloro che lo vedono come un valore in sé. Un altro rischio è che si punti tutto sulla difesa dell’articolo 18 – che nella legge delega appena votata non è neppure citato – lasciando passare in cavalleria tutto il resto, esattamente come si è fatto nel 2002 con la famigerata Legge Biagi.

Ma per quanto strumentale e “governata”, questa manifestazione dimostra che anche in Italia non mancano certo le energie di lavoratori, precai, disoccupati, giovani, in grado di far rimangiare a Renzi il suo polpettone avvelenato. Manca invece una coerente e genuina direzione classista di queste energie, in grado di fare una lotta vera, e non una caricatura di essa. A prescindere che la minaccia di sciopero generale lanciata dal palco abbia realmente un seguito, serve uno sforzo comune per raccogliere e unificare le tante lotte e le tante insofferenze che si manifestano a macchia di leopardo e che in buona parte hanno dato spazio all’ultima passerella romana. Ma per questo occorre avere come riferimento la classe lavoratrice, non il proprio sindacato o sindacatino, occorre unità d’azione e di lotta, non settarismo e autoreferenzialità. Occorre intervenire là dove ci sono i lavoratori anche se vengono mobilitati da sindacalisti corrotti e cavalcati da politici borghesi. Occorre una politica di classe e obiettivi unificanti, quali aumenti salariali e riduzione d’orario generalizzati, garanzia di salario e di abitazione e stabilizzazione di tutti precari.
Occorre una politica comunista che coniughi la difesa immediata dei lavoratori con la lotta per una nuova società.