Solo la lotta di classe paga!

La questione dell’acqua non e’ una questione solo, ne’ soprattutto nazionale, per le implicazioni e le filiere di interesse e speculazioni tipiche e diffuse sul mercato mondiale. E’ una questione legata alla guerra ed alla poverta’, in ultima analisi al profitto, ed allo sfruttamento delle risorse. Una questione internazionale, mondiale, non solo ne’ soprattutto patrimonio di un qualche comune o di una qualche cittadinanza della metropoli.
Un tema quindi da affrontare da un punto di vista di classe, e di critica complessiva al sistema capitalistico, vero colpevole della sete dell’umanita’.
Un tema che puo’ essere svolto solo in un’ottica di conflitto, che riconduca ogni specificita’ nel percorso generale della lotta di classe e non la affoghi nell’attesa di un risultato referendario, tanto improbabile quanto localistico.
Finche’ non si riesce ad innervare ogni movimento civile della pulsione anticapitalista per spiegare le reali motivazioni di ogni devastazione della natura, ci sara’ sempre qualcuno, interessato, ad utilizzarlo per scopi ed interessi non propri.
Sono state le lotte, le mobilitazioni, gli scontri, i tentativi di unita’ con gli operai dell’energia a produrre prima una vera campagna di opinione di massa e poi la vittoria referendaria. Non il processo contrario, come si vorrebbe adesso, col serio rischio di non giocare nemmeno la partita. Senza forza, e senza lotta, la stessa sanzione giuridica e legale, per quanto temporanea e vincolata al comando ed al ciclo capitalista, resta un miraggio.

Si vorrebbe, oggi, qui ed ora, l’acqua bene comune.
O e’ un utopia, o e’ un imbroglio. E comunque non potra’ essere certo sancita senza mobilitazione diretta, da un improbabile risultato referendario.
Questa non e’ una societa’ comunista, appunto del bene comune, dove la proprieta’ privata non esiste piu’. Questa e’ una societa’ capitalista, in cui l’acqua, come tutto il resto, ha i suoi padroni, i suoi distributori interessati, legati spesso al profitto ed alle cosche. E non parliamo solo della sete dell’Africa o dell’India, ma anche di quella della “civile” Europa, se non addirittura della patria dell’acqua santa: l’Italia. Quanti sono i paesi ed i quartieri metropolitani senza acqua o con l’acqua a singhiozzo, in quante zone le fonti e la distribuzione sono in mano ai mafiosi od ai camorristi, quante sono le acque “minerali” che producono profitto, e chi sono i loro padroni? Anche oggi, decreto Ronchi o no, l’acqua non e’ una risorsa immune da speculazioni, non fosse altro che e’ inserita da decenni sul mercato. Le piu’ grandi aziende municipalizzate che ne hanno la gestione sono quotate in borsa, dove diventa sottilissima la distinzione tra societa’ controllate dall’azionista pubblico o privato. Tutti e due si muovono per il profitto, e si muovono su un mercato mondiale difficilmente controllabile.
Le stesse societa’ non quotate, con partecipazione di minoranza dei privati, hanno amministratori delegati con precisi obblighi di bilancio. Vogliamo dire che per rendere sul serio l’acqua pubblica, “bene comune”, dovrebbe essere privata di ogni valore economico, cioe’ dovrebbe essere tolta dal mercato. E questo, permettetecelo, e’ materia di una rivoluzione sociale, piu’ che di una campagna referendaria.
Ma anche lasciando stare i massimi sistemi, ci sembra evidente che la gestione degli enti locali sull’acqua produce il 30% di perdite medie della rete idrica, mentre la sua qualita’ e’ scadente, soprattutto al meridione, e le bollette sono fuori controllo. Le tariffe applicate non possono essere eque perche’ servono a scaricare le inefficienze politiche dei gestori locali sulle bollette.
Contro la privatizzazione certo, ma anche contro il mercato capitalista, e contro gli “interventisti umanitari”.
Tanto per non prendersi in giro.

COMBAT (marzo 2011)

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